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Caserta, “Lolek”: lo spettacolo dedicato a Wojtyla rinviato al 25 aprile giorno della canonizzazione PDF Stampa E-mail
Mercoledì 23 Aprile 2014 18:30

CASERTA - “Ci sono uomini il cui valore ha la capacità di caratterizzare un’epoca. Caserta ospiterà giovedì la rappresentazione profonda ed intensa di un uomo straordinario, non solo di un grande pontefice: Karol Wojtyla. La Città di Caserta è onorata che i giovani artisti del “Teatro Stabile di Innovazione “Fabbrica Wojtyla” guidati da Patrizio Ranieri Ciu propongano un inedito del papa a pochi giorni dalla sua canonizzazione. Un appuntamento di prestigio, che fa ricca Caserta e la sua offerta culturale. Sono soddisfatto di poter dire che avevamo visto giusto quando l’Amministrazione ha voluto puntare sul progetto di Ciu, capace di aver coinvolto decine e decine di giovani e meno giovani intorno all’idea del teatro quale motore di cultura e di aggregazione sociale”.

Così il sindaco Pio Del Gaudio presenta LOLEK, opera di Patrizio Ranieri Ciu che andrà in scena il 25 aprile alle ore 20,00, presso il Teatro Don Bosco di via Roma  in occasione della canonizzazione di Papa Giovanni Paolo II, prevista domenica prossima in Vaticano. Proprio la Santa Sede, a riconoscimento dell’opera di Ciu, ha inserito l’evento di Caserta nel programma delle commemorazioni ufficiali di Wojtyla. Inediti di rara bellezza scritti dal pontefice - si legge nella presentazione dello spettacolo - si intrecciano con il testo teatrale e le musiche originali di Patrizio Ranieri Ciu come chiave di lettura dei principi, emozioni e valori assoluti che hanno caratterizzato le scelte artistiche ed umane di Wojtyla uomo. Gli interpreti sono i giovani artisti del “Teatro Stabile di Innovazione “Fabbrica Wojtyla” di Caserta, chiamati ad una ennesima prova di qualità professionale in questa stagione teatrale che ha contribuito a caratterizzare l’offerta culturale della città.

Dopo l’originale “Favola dei Beatles”, i temi della comicità con “Prova d’Attore” e quelli della territorialità con “Via Sentimento”, della denuncia sociale per la diversità con “Vinti e Vincitori” e per la violenza sulle donne con “La Coscienza delle Donne”, la messa in scena del LOLEK permette a questi giovani, veri protagonisti della cultura cittadina, di affrontare il tema dell’uomo e dei suoi valori evidenziando il profondo distacco esistenziale tra la sublimazione dell’individuo ed il relativismo di una società sempre più vittima dei suoi peggiori modelli di globalizzazione dovuta alla comunicazione di massa.   La stagione della Fabbrica, dopo questo spettacolo, si concluderà con “Sentinelle di Pace”, il dovuto omaggio ai soldati italiani caduti in missioni di pace con la Fanfara dei Bersaglieri della Brigata Garibaldi, dedicata ai marò prigionieri  in India, che  ha ottenuto anche gli apprezzamenti del Capo dello Stato.  

LA TRAMA

La rappresentazione scenica si attiene all’unica specifica forma di teatro amato da Wojtyla: il Teatro Rapsodico. Il tema è l’esperienza teatrale ed artistica di Lolek, appellativo con cui da giovane era chiamato Karol Wojtyla. È il teatro della Parola, che individua tra i suoi scritti inediti le sue personali riflessioni poetiche derivate dalla sua esperienza diretta: la sorellina perduta, l’affetto della madre scomparsa, il legame con la sua terra aggredita dal nazismo, il lavoro tra le pietre, fino alla scelta che determinerà l’abbandono del teatro per quel sacerdozio che lo porterà alla vetta umana più elevata. Ma quale è il suo più intimo segreto? Una visione fantastica della Via Crucis? L’immagine femminile a cui dedica il suo motto Totus Tuus o il suo “Dialogo con Dio”? Saranno intuizioni musicali, poetiche, monologanti e sceniche a provare a dare una risposta all’enigma finale: chi è Lolek?

 

UN TESTO DI ALDO BELLO SULL’OPERA -  Lo chiamavano Lolek, Carletto. Intelligente, studioso, altruista, e goloso. Abitava al primo piano di una casa a ballatoio, due stanze e cucina, oggi trasformate in museo, tra quelle sue montagne dove poteva montare gli sci di legno o usare la pagaia nelle solitarie discese in canoa lungo i torrenti. Lolek, il monello nelle strade di una piccola città che diventerà il globetrotter instancabile dei viaggi apostolici. Tanto Lolek fu operaio, poeta, attore e drammaturgo, quanto Karol fu teologo e filosofo le cui dimensioni spirituali coinvolsero ragione, fede e intuizione poetica. E il nesso di queste tre forze, nell’unità strutturale in cui si trovano in Wojtyla, costituisce quello che Platone chiamava il “dèmone” con cui l’uomo nasce e da cui è accompagnato per tutta la vita. è la cifra emblematica della spiritualità dell’uomo, il “codice dell’anima”. L’uomo inteso come persona, concetto sconosciuto nell’ambito del pensiero ellenico, che nasce esclusivamente nell’ambito del pensiero cristiano e si è contratto in quello di “individuo” in età moderna e contemporanea.

 

Dunque, per Lolek la pienezza e la perfezione d’essere non si possono rendere se non con la parola “persona”. Dirà: «Dio è Creatore della persona, in essa rispecchia Lui stesso. Creatore della persona, Dio è fonte della personalità individuale». Scrisse un’ultima enciclica, ma senza adoperare le parole, perché non ce n’era bisogno. La manifestò per immagini in diretta, la prima delle quali venne in primo piano quel 13 maggio dell’81 in cui un lupo grigio sparò due colpi di pistola in Piazza San Pietro, trafiggendo Lolek, il ragazzo che voleva cantare insieme con centinaia di migliaia di papa-boys. Sopravvisse Karol, l’Atleta di Dio che alla demolizione del corpo, per quell’odioso agguato diventatogli lentamente ma inesorabilmente nemico, avrebbe opposto un’ostinata resistenza. 

Lo portò in giro per il mondo – come un martirio visibile – quel corpo ogni giorno più piegato, ogni giorno più tremante, ogni giorno più disobbediente. “Un papa degno di questo nome deve passare attraverso la sofferenza” era solito dire. E per quella sofferenza implacabile, sopportata in silenzio, col trascorrere dei giorni ogni passo diventava una sfida, ogni movimento si traduceva in una mal trattenuta smorfia di dolore, ogni parola si perdeva in una scabra eco ondulare. Fu tragica e sublime, l’ultima enciclica muta, nuda, e innocente dell’ignoto prete dell’Est miracolosamente asceso al soglio Pontificio: icona propria di un’incommensurabile Settimana di Passione che fa rivivere la divina tragedia dell’“Ecce Homo!”, il manifestarsi dell’essere umano nella sua fragilità, nella sua esteriore debolezza, nel suo “sfiguramento dolorante”; ma nello stesso tempo icona dell’uomo che ha speso la vita intera per il Vangelo, cioè per tutti gli altri uomini, amando fino all’estrema dedizione, perdonando fin oltre i confini dell’umiltà. Prima di consegnare la propria vita al Creatore.