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Essere solidi PDF Stampa E-mail
Scritto da Gianrolando Scaringi   
Martedì 22 Aprile 2014 21:09

 

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Essere solidi.

 17 solidita 22.04.2014 

 

 

                Solido. Dal latino solidus, letteralmente «intero, compatto, massiccio, senza cavità o vuoti interni». Principalmente, sta per «stabile, ben piantato, resistente, robusto».

                Solido non è forte. Solido è, appunto, stabile. Ma, stabile, non è fermo. Stabile è saldo. E saldo è, contemporaneamente, legato e slegato. Legato a ciò che è sicuro, che è, per l’appunto, solido. Slegato da ciò che sicuro non è, che è instabile.

                Siamo abituati a dire «sii forte». Dovremmo cambiare espressione – ed opinione – optando per un «sii solido». Essere forti non è essere solidi. Essere forti vuol dire, soprattutto, reagire, rialzarsi, combattere. Essere solidi vuol dire essere, essere presenti, essere vivi, essere coscienti. Essere sensibili e, senza negarlo, essere fragili. Essere solidi è anche essere forti. Ma essere solidi è anche non esserlo: è saper non essere forti.

                Mi capita, troppo spesso, di confrontarmi con «nostalgici» dell’amore. Sognatori di passioni e sensazioni che propongono (talvolta anche in saldo) un’ampia offerta del meglio di sé dietro una condizione: «se amassi, se fossi amato/a». Insomma, una proposta futura (e futuribile), di dare a sé stessi, e agli altri, il meglio di sé, ma solo ad una condizione: essere amati. Il che, in fondo, vuol dire essere accettati (e, molto più in fondo, accettarsi).

                Finisce così che persone eccezionali – anche dall’estetica invidiabile – cambino, si modifichino, continuamente varino sé stesse per farsi meglio accettare. Per rendersi «appetibili», ecco... tipo merce al mercato. Oppure che, in una condizione di limbo depressifero, si fermino al «sono orrendo/a». Oppure, ancora, che saltino da una condizione all’altra, seguendo lo spirito e l’emozione, finché non si giunge ad un mezzo punto fermo (cioè l’interesse di qualcuno) che cambia tutto. Magari cambia la vita. Almeno finché non si è punto e a capo…

                Poi ti confronti con altre persone. Rispettabilissime ed eccezionali. Magari non così eccezionali (o così belle esteticamente). Persone che, nel desiderio di amore che abbiamo tutti, pur non essendo così incredibili, amano e sono amate. Con naturalezza, con onestà, con sincerità. Senza cambiare, senza variare, senza correre ad essere «appetibili». Talvolta senza aver corso mai.

                Sono persone che seguono le proprie passioni, che si dànno da fare, che studiano e lavorano, che affrontano i piccoli problemi di ogni giorno come tutti gli altri, che hanno paure e dubbi come tutti gli altri. Magari non con quella doverosa forza che potrebbero metterci tanti altri. Ma sono persone interessanti, di quelle che, volendo, ci spenderesti un po’ più di tempo per capire cosa pensano, cosa desiderano, cosa sognano. Persone interessanti. Persone solide. Persone «senza cavità o vuoti interni»… o, almeno, non di immense dimensioni.

                La coltivazione si sé stessi dovrebbe essere una materia scolastica. Il rispetto di sé stessi, non c’è bisogno che lo sia: è parte integrante della coltivazione di sé. Chi è solido impara a conoscersi e rispettarsi e coltivarsi. Chi è solido conosce i propri difetti, si impegna per migliorarsi, si dà da fare, è curioso, si interessa, sa autogestirsi. Chi è solido tende ad imparare cose nuove. Lo fa, innanzitutto, per sé stesso. E, poi, per gli altri, per chi sa che potrebbe aver bisogno di quella conoscenza o saper fare. Chiunque sarà.

                La prima strada per una maggiore solidità di sé e del proprio cuore passa dalla coscienza di sé: «io-sono-io». Non megalomania né desiderio di strafare né inamovibilità. Io-sono-io è un gesto di accettazione e di scommessa, di messa in gioco. Vuol dire non aver paura di esprimersi, di comunicare sé stessi, con tutto quel complesso di talenti, e difetti, che ci rappresenta. Abbiamo bisogno del giudizio degli altri, ne abbiamo bisogno per darci una posizione, una definizione. Ne abbiamo bisogno anche per fregarcene altamente. Ma la paura di un giudizio negativo non deve farci negare quello che siamo. Anche se reputiamo che quello che siamo (o che produciamo) sia orrendo, non degno di nota, indegno di tutto e di tutti. È anche un discorso di rispetto per chi si interessa a noi: se mi reputo zero, ma ti desidero, allora sto bluffando: desidero il tutto offrendo un bel niente.

                Allora, scrivo? Pubblico quello che scrivo. Disegno? Idem. Fotografo? Idem. Mi piace danzare? Danzo. Recitare? Recito. Ho uno spirito ecologico? Mi do da fare. Desidero aiutare gli altri? Lo faccio. Ho da dire qualcosa? Lo dico. Ho una lamentela da fare? Idem. Senza mettermi in mostra, senza strafare, senza paura. Io-sono-io: posso migliorare, posso cambiare, posso evolvere o disevolvere… ma non devo avere paura di quello che sono, anche con le mie fragilità. Tanto, per quanto desideri fuggire da me stesso, prima o poi mi raggiungo.

                La solidità si porta dietro una certa stabilità. Stabilità, soprattutto, nella tempesta. Chi è solido sa a cosa aggrapparsi e cosa lasciar perdere. Chi è solido vive la tempesta, se la prende tutta, con tutto ciò che trascina, ma ne esce. È un esercizio di coraggio, di umiltà e altruismo: chi è solido diventa, presto, un punto di riferimento. Chi è solido, sa che deve darsi da fare, sa che potrebbe non aspettarsi niente, ma fa tutto ciò che ritiene opportuno. Anche controcorrente.

                Un’amica si chiedeva, qualche giorno fa, «ma esistono davvero persone che, quando dici di aver bisogno di loro, escono di casa e corrono da te? O è solo roba da film?». Sai già perché qualcuno si fa una domanda del genere: perché è deluso. Cercare la risposta può essere complesso. Personalmente, non ne ho. Preferisco – e ho preferito – girare la domanda: «tu usciresti di casa e correresti da chi dice di aver bisogno di te? Se sì, allora almeno una di quelle persone esiste. Non ci resta che sperare che ne esistano tante altre». Per essere solidi, è bene farsi poche domande, precise e puntuali. Quando la risposta non dipende da noi, piuttosto che sognare o deludersi, è bene preferire il darsi da fare. Agendo così come si vorrebbe si agisse con noi. Il miglior modo per non essere delusi è non deludersi. Talvolta, anche ragionando a perdere.

                Per essere solidi, tornando al nostro discorso sull’amore, per non subire e tenersi vivi e dare il meglio di sé, a noi stessi e agli altri, sempre, bisogna capire, innanzitutto, che cosa si vuole. Così si dà una vera svolta al nostro essere, trasformandolo in un essere responsabilmente, senza subire ogni situazione come fosse la fine del mondo. Perché una cosa è desiderare di amare qualcuno. Altro è desiderare di non essere soli.