Maddaloni, ricordare don Salvatore d’Angelo a 23 anni dalla morte, 2000 - maggio - 2023 |
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Scritto da Michele Schioppa |
Martedì 30 Maggio 2023 05:47 |
MADDALONI (Caserta) – Quest’oggi si celebra il ricordo, a 23 anni dalla morte, di don Salvatore d’Angelo. Alle ore 10 nella Sala Cholet della Fondazione “Villaggio dei Ragazzi” ci sarà celebrazione della Santa Messa per gli studenti e il personale della Fondazione nonché per gli ex allievi che sarà presieduta da padre Leonardo Cuccurullo, rettore della chiesa della SS. Annunziata di Maddaloni retta dai Padri Carmelitani Scalzi, alla cui cura spirituale è affidata dal vescovo di Caserta l’assistenza degli studenti e del personale della fondazione maddalonese. Va altresì detto che, nell’ambito delle procedure di risanamento della Fondazione Villaggio dei Ragazzi “don Salvatore d’Angelo” di Maddaloni, che tra le altre cose vede già una procedura esecutiva di vendita di beni non funzionali alle finalità educative per il risanamento del debito di cui alla vecchia gestione, vi è la messa all’asta di beni personali del sacerdote per la stessa finalità. Circa quest’ultima “alienazione” un ex allievo del “Villaggio”, Giuseppe De Lucia, si è fatto promotore di una iniziativa volta a salvare questi oggetti personali al fine di conservarli presso l’attuale sede istituzionale. L’iniziativa è denominata “Insieme per il Villaggio dei Ragazzi” ed è disponibile al seguente link (clicca qui). Ecco il messaggio contenuto nella pagina della raccolta, avviata lo scorso 20 maggio: “Ciao, sono Giuseppe - un ex allievo del Villaggio dei Ragazzi che, come tanti di voi, ha trascorso un pezzo della propria vita nel cortile della nostra Fondazione. Prima come componente della banda musicale e poi come studente dell'ITI, ho vissuto quegli ambienti e quella comunità per più di 10 anni. Come tutti voi sono legato fortemente alla sua storia e al suo fondatore, Don Salvatore d'Angelo. Dopo la sua morte, la fondazione è stata oggetto di una cattiva gestione che ne ha compromesso l'attività. Solo negli ultimi anni, grazie alla gestione commissariale, al contributo della Regione Campania ed al sacrificio dei tanti dipendenti, la struttura sta tornando a realizzare il mandato per cui era stata fondata - la formazione delle nuove generazioni e della nuova cittadinanza. Purtroppo, sulla struttura pesa un debito enorme che è attualmente gestito con il concordato preventivo per soddisfare i creditori e che prevede la vendita di alcuni beni (appartamenti e altre proprietà immobiliari). Tra le tante cose messe all'asta, non sfugge anche una lista di oggetti (un centinaio) regalati a Don Salvatore da alcuni privati, come segno di affetto e di riconoscenza del suo operato - Litografie, libri, tappeti - oggetti ed altro, che in alcuni casi valgono poco più di 100 € e per un valore complessivo di 47.100 € (da vendere in un lotto unico). Ecco, Vorrei soffermarmi proprio su questi ultimi. Si tratta di oggetti privati, segno dell’affetto di cui era circondato il nostro Don Salvatore e la sua Fondazione e che solo chi ha vissuto le scuole ed è cresciuto sotto la Sua protezione, può comprendere appieno. Proprio per questo motivo, anche per non perdere memoria della bontà e delle opere da lui realizzate, sarebbe bello che noi ex allievi ci facessimo carico di una raccolta fondi per partecipare all'asta e fare in modo che questi oggetti, che hanno un grande valore affettivo, possano rimanere ancora presso la Fondazione - un modo, questo, per restituire a Don Salvatore, parte dell’amore che ci donato. Confido in tutti voi e, come ci ha insegnato il nostro Don Salvatore, non chiedere agli altri ma insegna loro la gioia di donare”. Ebbene, leggendo i nomi di chi ha iniziato a sottoscrivere e sostenere la raccolta, si notano persone che dal sacerdote e dalla Fondazione non hanno ricevuto tornaconti e il gesto è per la salvezza di oggetti che continueranno a caratterizzare la figura del sacerdote e la sua memoria. Mi chiedo se le migliaia di persone che, invece, dal sacerdote e dalla Fondazione dello stesso creata 75 e più anni fa, hanno ricevuto del “bene” senza dare nulla in cambio si mobilitassero a versare una cifra simbolica di 10 o 15 euro, riusciremo a “salvare” gli oggetti personali del sacerdote per consentirne la conservazione nei luoghi deputati? Certo, la domanda sarà anche lecita, ma la risposta dipende dalla coscienza dei destinatari. A questo punto non mi resta che fare un ricordo, excursus, sulla vita di don Salvatore d’Angelo. Cercando di far tesoro dello studio biografico che ho avviato da qualche anno su don Salvatore d’Angelo (Maddaloni 25 gennaio 1920 - 30 maggio 2000), recuperando parti di articoli già editi e richiamati nella parte iniziale, con una considerevole parte inedita (e lo studio essendo in corso riserva ancora delle novità), presento questo articolo cercando di suddividerlo in paragrafi per facilità di lettura degli argomenti. Introduzione Il 30 aprile 2015 in occasione della presentazione del libro di Giusto Nardi su don Salvatore d’Angelo e il suo Villaggio, il vescovo emerito di Caserta, mons. Raffaele Nogaro ebbe a riferire, parlando anche della vita e delle opere del sacerdote maddalonese che “l’invidia verso le persone che fanno del bene è altissima”, don Salvatore aveva “una personalità straripante, che dava l’impressione di invadere strade altrui”. Il Vescovo, di don Salvatore d’Angelo ha detto che è stato un “creatore di vita nuova e di tempi nuovi”, e che “sapeva creare la storia”. Aggiungendo che “nella nostra terra bisogna ricordare queste figure esemplari”. In quando don Salvatore era un “creatore di vita nuova e di tempi nuovi”, e che “sapeva creare la storia”. Aggiungendo che “nella nostra terra bisogna ricordare queste figure esemplari”. Nogaro ha poi aggiunto che “l’invidia verso le persone che fanno del bene è altissima”, e in più don Salvatore aveva “una personalità straripante, che dava l’impressione di invadere strade altrui”. Don Salvatore fa parte della vera storia di Maddaloni ed è stato un vero ed indiscutibile riferimento spirituale e di vita per tante famiglie e per tanti figli della fame, della miseria; ha sopportato le ingiurie di personaggi che si ritenevano, nella menzogna, i tutori dei diritti della gente. Eppure, non solo pochi tutt'ora coloro che sono riconoscenti a don Salvatore per l’affetto e sicurezza ricevuta, amandolo, rispettandolo e ricordandolo con dovuta gratitudine. Volendo usare le parole di Pierferdinando Casini alla notizia della morte di Giulio Andreotti, anche don Salvatore «è stato un grande personaggio, uno statista di cui si è parlato bene e male alternativamente e la storia gli darà un giudizio più serio di quanto i suoi detrattori gli hanno dato in vita». Del resto, don Salvatore, quale uomo di fede ed educatore, non può che essere inteso come vero Uomo di Chiesa e di Vera Fede, non bigotto, Uomo tra gli uomini, e Vero Educatore, in quanto ha sempre mirato ad inculcare nei fanciulli, i suoi ragazzi, i valori della vita e di evitare quanto già aveva annunciato Platone con la sua “Mala Pianta”. Valori questi che venivano strumentalizzati in negativo da coloro che confondevano la libertà con il libertinaggio. Don Salvatore si è operato e ha indicato quale percorso educativo quello dei suoi ragazzi un percorso basato su di un vissuto sereno, orientato ai validi valori della comprensione dialogica, della solidarietà e dell’amore. Una indagine statistica di qualche decennio fa riportava che solo il 2% dei ragazzi che hanno frequentato il Villaggio, con cui si è riusciti nel tempo a mantenere traccia dello sviluppo della loro vita, hanno avuto delle devianze rispetto alla strada maestra insegnata. Quello di don Salvatore e della sua opera costituisce un ruolo di supplenza dello Stato, don Salvatore ha fatto ciò che lo Stato avrebbe dovuto fare ma non ha potuto preso dalle mille e più realtà territoriali ugualmente bisognose, e a Maddaloni don Salvatore si è fatto carico del ruolo e della funzione dello Stato. Don Salvatore che ha vissuto gli anni della svolta nella Chiesa, nella Chiesa di Roma, sente come la stessa Chiesa del dopoguerra il bisogno di fare la propria parte. La fortuna di Maddaloni sta nel fatto che il sacerdote essendo nato in questa terra in essa ha deciso di orientare le sue forze, diversamente, per come era proteso a dare il suo contributo alla rinascita del Paese, se fosse nato e vissuto in altro luogo avrebbe probabilmente fatto lo stesso, del resto il Paese era a “terra” ovunque. Il metodo educativo che don Salvatore ha di fatto realizzato e sperimentato, con innovazioni anche antesignane rispetto al Bel Paese nei decenni, è stato inteso a conseguire un’educazione globale della persona da qui la variegata articolazione di indirizzi di studio da quelli pre obbligo a quelli dell’obbligo a quelli post obbligo ed universitari, senza mancare di apertura alla professionalizzazione professionale extra scolastica e comunque innovativa o antesignana come lo è stato per gli indirizzi linguistici, aeronautici e prima ancora elettrotecnici. E, l’apertura mentale ha consentito dopo i decenni della ripresa dove la funzione dell’accoglienza ricettiva e ristorativa era base vitale, di continuare con i convittori e i semi convittori per offrire la possibilità comunque, al di là di specifiche esigenze rispondenti alle finalità statutarie, di beneficiare di tale opportunità. Una sperimentazione educativa sempre aperta al vissuto del territorio e dove il territorio entrava pienamente anche nelle attività di tempo libero e estive, beneficiandone come se si fosse trattato di utenza interna, perché la città di Maddaloni era il Villaggio e viceversa, pur restando una città nella città con tanto di rappresentanze (nomina e gestione esistita fino agli anni ’60 allorquando il sacerdote si rese conto che i ragazzi non avevano raggiunto il grado di maturità per quel tipo di responsabilità e per evitare che diventasse uno scimmiottare la politica degli adulti preferì dedicarsi alla formazione per la politica degli stessi, da qui la scuola di formazione per la gioventù democristiana interna al Villaggio dei Ragazzi) che dalla prima ora in libera elezione sceglievano sindaco e consiglieri a cui era affidato il compito di relazionarsi con il sacerdote per ogni evenienza. Ciò ha consentito al sacerdote alla fine degli anni ’80 di essere riconosciuto per la sua azione e funzione educativa anche oltre oceano stante, a quel tempo, l’offerta del suo Villaggio (al di là delle strutture semiconvittuali e convittuali) articolata in: scuola materna, scuola primaria dell’obbligo, scuola media dell’obbligo, istituto tecnico dell’elettronica industriale, liceo linguistico, istituto superiore di interpreti e traduttori, centro di ricerca di tecnologie didattiche, centro grafico editoriale (attraverso le pubblicazioni di promozione del villaggio presentava e diffondeva la conoscenza di preziosità storiche ed artistiche locali), centro di produzione di programmi televisivi, borsisti della Catholic University of America, polisportiva, banda musicale del villaggio ed attività estive (almeno due colonie in contemporanea). Il Sacerdote Don Salvatore ha sempre garantito il rispetto della libertà altrui sui sentieri della vera libertà e di conseguenza della propria Città, contro un mondo di imbrogli e di rapsodiche attenzioni al sociale da parte degli altri. Don Salvatore era l’uomo delle grandi passioni per cui o lo amavi o lo odiavi; infatti, in tal uni suscitava ammirazione per quanto faceva e ad altri antipatia, dava fastidio, per quelle stesse cose. Il Ruolo di Don Salvatore, quindi, è stato soprattutto quello di un irreprensibile precettore, pur se in modo severo, indirizzando i suoi ragazzi, persone del futuro, al rispetto prima per se stessi e poi per gli altri, delle istituzioni etc. etc., portandoli a riconoscere i propri e responsabili ruoli futuri in ambito sociale. Operando, pertanto, esclusivamente solo per il loro bene, trasmettendo il dovere della cultura, della conoscenza, delle responsabilità e quindi dell'osservanza delle regole, in una società, ora come allora, indifferente, incosciente e disordinata. Don Salvatore ha donato la sua stessa vita alle sue opere prime tra tutte la Fondazione. La sua Vita era il Villaggio. Probabilmente anche la stessa carriera ecclesiastica non lo avrebbe soddisfatto quanto la Vita nel e per il Villaggio. E comunque non si sarebbe impegnato quanto si è impegnato per il Villaggio. Era un dono di Dio che si portava dentro e che rappresentava il suo sogno, la sua aspirazione la sua appagazione. Va detto che per lui i Fanciulli rappresentavano tutto. Diceva infatti che il Villaggio esiste perché esistono i ragazzi, i ragazzi sono lo scopo della Fondazione con il loro recupero, la loro formazione e il loro inserimento. Del resto, la famiglia del Villaggio era fatta dai fanciulli, dai ragazzi, i dipendenti erano essenzialmente dei collaboratori. Lui diceva “io mica ho dipendenti, ho solo dei collaboratori”. E con gli stessi aveva un rapporto particolare e taluni ricordano, tra gli insegnati, che a fine anno non mancava di portarli in luoghi splenditi (vi è un ricordo in particolare a Sorrento del 1959) per festeggiare la fine dell’anno scolastico. E lui era un Volontario del Villaggio, il volontario, come si leggeva sul su budget numero uno. Certamente parlare di don Salvatore d’Angelo oggi è difficile al di fuori del Villaggio. Don Salvatore è nato per realizzare il Villaggio. La sua missione nella vita non poteva essere che questa, e così è stato. Con il Villaggio don Salvatore ha dato alla Città e a tanti tutto quanto poteva, se poteva. Amici e nemici. Don Salvatore è stato un grande politico e un grande comunicatore, basta pensare alla nascita sviluppo e funzione de “Il Corriere della Campania”, con firme anche importanti e di esponenti del giornalismo di Terra di Lavoro come quella di Federico Scialla e Franco Tontoli e sotto la direzione di Antonio Mastella. Anche nella comunicazione politica è stato un antesignano la cui lungimiranza e innovazione ha creato tanto nel territorio, certo è che talvolta il suo protagonismo ha monopolizzato lo scenario e quindi ridotto qualche visibilità di altri politici che nel tempo hanno desiderato, non certamente scavalcarlo, ma sicuramente meritare una visibilità maggiore e accedere a prestigi sovra territoriali come capitava ad altri coetanei in altre aree geografiche. Intanto però don Salvatore si occupava anche della formazione politica ed infatti il movimento giovanile della democrazia cristiana aveva sede e si formava tra riunioni e corsi proprio all’interno del Villaggio. E qui il sacerdote incontrò il giovane quattordicenne nel ’76 (nel ’79 divenne delegato giovanile e membro di diritto del direttivo dove don Salvatore era il vice di Elio Rosati) Andrea De Filippo che fu poi un suo delfino politico fino all’età di trent’anni circa allorquando il futuro sindaco di Maddaloni (candidato per la prima volta al consiglio comunale nel 1983 dove nel ’85/’86 fu capogruppo; don Salvatore nel 1983 divenne Segretario Politico della Dc di Maddaloni comprendente sia la sezione di Maddaloni che di Montedecoro. I rapporti tra i due si inclinarono nel 1989 e fino a quel momento De Filippo era il factotum politico del sacerdote) decise di seguire un percorso autonomo dal sacerdote e che comunque all’opera del sacerdote dopo la sua morte in virtù dei ruoli ricoperti non ha mai mancato di dare sostegno e spendersi a favore. E un rapporto cordiale che all’occorrenza poteva sembrare anche più “duro”, sempre con benevolenza, don Salvatore lo ebbe con uno dei delegati giovanili provinciali della Democrazia Cristiana, il senatore Vincenzo D’Anna che ebbe la sventura di gestire il bilancio e dunque i pagamenti della Provincia di Caserta nei confronti del Villaggio in un momento di ristrettezze, periodo amministrativo con presidenze D'Albore e Iaselli. Il riferimento è al pagamento di una convenzione che il Villaggio di don Salvatore aveva con l’Amministrazione Provinciale per 250 giovani circa ospiti come convittori/semiconvittori. Questa convenzione si tramutava in circa 280 milioni di lire – che non era l’unica ma sicuramente l’entrata principale del Villaggio - di quota da versare, per onorare la convenzione, da parte dell’Amministrazione al Villaggio maddalonese, che veniva onorata a inizio mese. D’Anna, appena nominato assessore al Bilancio, trentaduenne, che conosceva l’attenzione per l’opere di assistenza maddalonese di don Salvatore e casertana di don Mario Vallarelli, ma che ignorava la gestione dei pagamenti dispose che i pagamenti avvenissero in ordine cronologico e non già come usanza e quindi con l’anticipazione mensile consolidatasi negli anni. Dopo qualche giorno di tale disposizione, in tempo perché la notizia fosse formalizzata e giungesse a don Salvatore, il sacerdote chiamò il neoassessore e suo “figlioccio”, politicamente parlando. D’Anna ricorda che prendendo il telefono sentiva dall’altro capo solo una persona piangere e non riusciva a capire il motivo e chi fosse soprattutto. Uno dei suoi “semi tragici” pianti riferisce il senatore nel corso dell’intervista radiofonica del 27 giugno 2015 in cui riporta l’aneddoto, ricordando tra l’altro, come altri hanno riferito che don Salvatore “riusciva anche a piangere con un occhio solo”, tant’è vero che qualcuno riferisce che di mattina faceva anche le prove davanti lo specchio. E la telefonata andò avanti … “Vincenzino come hai potuto …”, “ Don Salvatò siete voi ch’è successo?”, “devi venire immediatamente qua”. Cosa che D’Anna fece subito andò al Villaggio ed entra nel salone dove erano in esposizione giornale d’ogni testata e lingua (“piglio della megalomania dell’uomo abituato a grandi cose”) dagli italiani ai francesi, dai tedeschi agli inglesi, americani e finanche quello degli Emirati Arabi Uniti. Dopo pochi istanti arriva don Salvatore che inginocchiandosi lo cingeva nelle gambe e fu per il futuro senatore una fatica sollevarlo, senza dire il motivo di tutto ciò. Don Salvatore nel loro colloquio non chiese mai quanto volesse ma lo fece capire così rientrato “con la coda tra le gambe” in provincia il giovane assessore dovette confermare che il provvedimento dato era valido per tutti tranne che per il Villaggio di don Salvatore. In questo periodo, per di più, una norma nazionale passava la competenza per l’assistenza ad orfani, bambini bisognosi e situazioni di disagio all’amministrazione comunale di fatto esautorando l’amministrazione provinciale di questo onere, anche nei confronti del Villaggio di don Salvatore. Eppure, l’intera amministrazione provinciale, tutti gli schieramenti politici, per anni ha continuato “contra legem” – assumendosi tutti una responsabilità grave davanti alla Corte dei conti - a rinnovare questa convenzione e liquidare questa spettanza per il ruolo, e il peso, di don Salvatore ma soprattutto per la sua opera di cui beneficiavano non solo i 104 comuni della Provincia. E con don Salvatore e la sua opera a beneficiare di questo “intervento” politico era l’Orfanotrofio Maschile “Sant’Antonio” di don Mario Vallarelli di Caserta. D’Anna apparteneva alla corrente della sinistra di base della Dc mentre don Salvatore era andreottiano. D’Anna fu per un periodo ospite (non convittore) del Villaggio e lui come altri avevano intrapreso la strada dell’impegno civile e politico e don Salvatore di lui come degli altri era particolarmente orgoglioso. Lo stesso parlamentare e presidente dell’Ordine Nazionale dei Biologi ricorda, nelle occasioni in cui contestava il sacerdote (momento storico che tristemente si rinnova nei confronti di chi ha un ruolo di responsabilità e spesso contestatori i giovani), don Salvatore diceva, grosso modo: «i giovani parlano male dei vecchi, e hanno ragione, però verrà il giorno in cui altri giovani parleranno male di loro». Del resto, la contestazione e la voglia di cambiare il mondo è insita nella gioventù e lo è stata anche nella gioventù dello stesso sacerdote e dei suoi compagni, amici e sostenitori d’avventura. Del resto, don Salvatore comprendeva che quelli erano momenti in cui i giovani erano animati, per le loro idee, dall’agire con contestazione – del resto cercava sempre di essere dalla loro parte – al contempo cercava di fargli comprendere che sarebbe arrivato il momento in cui sarebbero stati loro futuri “grandi” ad essere contestati a loro volta. Don Salvatore, riferisce D’Anna era una Istituzione politica e non già un uomo di parte e ‘azione che svolgeva e le benemerenze che gli erano riconosciute, nell’assoluto disinteresse, anche a discapito della famiglia, ne facevano una persona che si elevava dalla consuetudine. Per capire il seguito di don Salvatore, ricorda sempre D’Anna prendendo in prestito un episodio accordo ad Elio Rosati nel periodo in cui era Sottosegretario alla Pubblica Istruzione, e si trovava in Germania con il console del posto a fare un discorso a dei lavoratori sul palco. Il lavoratore esordì, ottenendo anche l’attenzione e interessamento degli altri, “onorè comme stà don Salvatòr?”. Probabilmente la richiesta nasceva dalla conoscenza che Rosati veniva da Maddaloni ma fu posta con una serenità tale come se fosse scontato che un rappresentante dello Stato fosse informato sullo stato di salute e delle attività di don Salvatore d’Angelo. È inutile dire che Rosati rimase basito e non riuscì più a fare il tipo di intervento che aveva in mente. “don Salvatore è un uomo – dichiara D’Anna – che aveva il sentimento dell’umanità, della carità e della bontà. Ma io non gli ho mai sentito fare lezioni da moralista, da buonista. Don Salvatore era un uomo che viveva il suo essere straordinario nell’ordinarietà. L’umiltà di don Salvatore pochi la hanno compresa”. Don Salvatore è stato un anticipatore delle scelte della Chiesa e del Concilio stesso, una persona che viveva l’evoluzione della società e stando a contatto con i grandi maturava anzi tempo l’evolversi dei tempi e si adoperava per anticiparli. Del resto, don Salvatore ha sempre cercato di insediare attività o strutture per la mancanza che delle stesse c’errano nel territorio e se qualcuno ancora contesta al sacerdote non essere riuscito a fare cose come le sue o con le stesse finalità o altre dal medesimo non pensate o fatte, più che nell’opposizione del sacerdote, fa riflettere in una testimonianza Andrea De Filippo, dipendeva dall’incapacità di realizzarle chi le voleva fare. Il sacerdote era capace di vedere nelle proposte e nelle idee le opportunità e di conseguenza se queste fossero valse tutt’al più le avrebbe sostenuto. Forse, perciò, in vita non è stato alcune volte apprezzato e considerato per quello che era”. Se per taluni, riferisce il senatore, don Salvatore poteva essere paragonato al curato di campagna va detto che invece il suo livello era quello di Don Bosco. Ricorda don Matteo, che don Salvatore raccontava “se mi fanno le analisi del sangue esce prima il mio essere prete, secondo il villaggio dei ragazzi e terzo la democrazia cristiana”. Lo Studio su don Salvatore d’Angelo Quello che oggi vede la luce è una tappa di un progetto conoscitivo su don Salvatore d’Angelo a cui è legata una Pagina Social “Don Salvatore d’Angelo” (https://www.facebook.com/donsalvatoredangelo), a cui è stata collegata una mail per chi volesse partecipare portando le proprie testimonianze di vita, documentali e fotografiche ( Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. ) ed ancora #ricordodidonsalvatore per circoscrivere e rintracciare le testimonianze su don Salvatore d’Angelo. Lo studio vede l’aperiodica pubblicazione di contributi giornalistici per la conoscenza del sacerdote sulla testata web “L’Eco di Caserta” (www.ecodicaserta.it) i cui contributi principali sono: “Maddaloni, Cronaca di una presentazione...'Vi racconto il Villaggio. Come l’ho visto e come lo vedo'” (24 maggio 2015); “Maddaloni, ricordare don Salvatore d’Angelo a 15 anni dalla Nascita al Cielo… l’inizio” (28 Maggio 2015); “Maddaloni, ricordare don Salvatore d’Angelo … continua il viaggio della conoscenza del sacerdote” (29 Maggio 2015); Maddaloni, il Vescovo D’Alise ricorda la figura di don Salvatore d’Angelo nel Villaggio (31 Maggio 2015); “Maddaloni, ricordare don Salvatore d’Angelo … il Testamento del sacerdote” (1 Giugno 2015); “Maddaloni, ricordare don Salvatore d’Angelo … testimonianza di Carlo Scalera” (6 Giugno 2015); “Maddaloni, ricordare don Salvatore d’Angelo … testimonianza di Filippo Suppa” (8 Giugno 2015); “Maddaloni, ricordare don Salvatore d’Angelo … testimonianze in Radio il 27 giugno” (24 Giugno 2015); “Maddaloni, entusiasmante puntata di “Dietro l’Angolo” nel ricordo di don Salvatore d’Angelo …” (28 Giugno 2015); “Maddaloni, Ricordare don Salvatore d’Angelo … testimonianza del nipote Franco d’Angelo” (11 Luglio 2015); “Maddaloni, Ricordare don Salvatore d’Angelo … testimonianza di Donato Proto” (15 Luglio 2015); “Maddaloni, Ricordare don Salvatore d’Angelo … precursore del Fundraising” (19 Luglio 2015); “Maddaloni, Ricordare don Salvatore d’Angelo … testimonianza di Antonio Pagliaro” (25 Luglio 2015); “Maddaloni, Ricordare don Salvatore d’Angelo … parla Vincenzo Santangelo” (29 Luglio 2015); “Maddaloni, Ricordare don Salvatore d’Angelo … il ricordo di Amedeo Marzaioli” (1 Agosto 2015); “Maddaloni, Ricordare don Salvatore d’Angelo … un pensiero alle Sig.re Paparelli e Danese” (4 Agosto 2015); “Maddaloni, Ricordare don Salvatore d’Angelo … nelle parole di Salvatore Renga” (6 Agosto 2015); “Maddaloni, Ricordare don Salvatore d’Angelo … nel racconto di Luca Ugo Tramontano” (8 Agosto 2015); “Maddaloni, Ricordare don Salvatore d’Angelo … nel racconto di Francesco Angioni jr” (19 Agosto 2015); “Maddaloni, Ricordare don Salvatore d’Angelo … al via il ‘Meeting per l’amicizia fra i popoli’ 2015” (20 Agosto 2015); “Maddaloni, Ricordare don Salvatore d’Angelo … con Mister Lombardi racconti, ricordi, vittorie e foto” (30 Agosto 2015); “Maddaloni, Ricordare don Salvatore d’Angelo … il racconto di Antonio Ciontoli” (13 settembre 2015); “Maddaloni, Ricordare don Salvatore d’Angelo … nel racconto della prof.ssa Anna Giordano” (23 Ottobre 2015); “Maddaloni, Ricorda don Salvatore d’Angelo … al Convitto Nazionale Statale “Giordano Bruno” il 7” (1 aprile 2016); “Maddaloni, lunedì 30 maggio 2016 don Salvatore D’Angelo avrà una piazza intitolata nella sua città” (25 maggio 2016); “Maddaloni, dal 30 maggio c'è piazza don Salvatore d’Angelo nel ricordo della nascita al Cielo” (2 giugno 2016); “Roma, morto Elio Rosati l’amico di Aldo Moro” (13 giugno 2016); “Maddaloni, Ricordare don Salvatore d’Angelo … testimonianza di Bove del giorno della morte” (4 agosto 2016); “Maddaloni, la ricorrenza del 4 Novembre 2016 del Villaggio dei Ragazzi “don Salvatore d’Angelo”” (5 novembre 2016); “Maddaloni, si rinnova il ricordo di don Salvatore d’Angelo con il Vescovo nel suo “Villaggio”” (30 maggio 2017); “Maddaloni, la Fondazione Villaggio dei Ragazzi “Don Salvatore d’Angelo” celebra il 70°” (9 dicembre 2017); “Maddaloni, a diciotto anni dalla sua nascita al Cielo la città ricorda Don Salvatore d'Angelo” (30 maggio 2018); “Maddaloni, il ragazzo di Pignatari festeggia cent’anni: festa grande per don Salvatore d’Angelo” (25 gennaio 2020), “Maddaloni, don Salvatore d’Angelo 1920 – 2020 festeggia cent’anni, brevi cenni biografici” (25 gennaio 2020), “Maddaloni, per don Salvatore la politica serve alla città e la famiglia alla crescita del Villaggio” (25 gennaio 2020), “Maddaloni, don Salvatore sostenitore del dialogo interreligioso nel ricordo dell’unità dei cristiani” (25 gennaio 2020), “Maddaloni, don Salvatore nel ricordo del centenario della US Maddalonese (1919-2019) ” (25 gennaio 2020), “Maddaloni, questa mattina la Santa Messa in ricordo del centenario di don Salvatore d’Angelo” (25 gennaio 2020). Tanti e tanti altri articoli e studio direttamente o indirettamente su questa testata e non solo a mia firma hanno proposto un ricordo di e su don Salvatore, non ultimo su questa testata giornalistica “Maddaloni, ricordare don Salvatore d’Angelo … aspettando l’anniversario della nascita” (23 gennaio 2022). A questi si aggiungono anche altri contributi: “Maddaloni, don Salvatore d'Angelo: ricordo di un "professorino nei confronti di un uomo potente"” (14 luglio 2014). Ed ancora si rimanda al quotidiano on line L’Eco di Caserta (www.ecodicaserta.it) dove periodicamente lo scrivente Michele Schioppa pubblica approfondimenti storico biografici, aneddoti e curiosità, ampiamente, e dove è possibile, scientificamente dimostrate. Altre testimonianze dirette all’esperienza di don Salvatore sono disponibili tra le voci biografiche curate da Michele Schioppa nella collana editoriale “Chi è?” edita dalla Dea Sport Onlus di Bellona dal volume tre in poi. Sempre bibliograficamente si segnala particolarmente interessante la testimonianza di don Michele Tagliafierro ad un anno dalla morte su “Avvenire - Caserta 7”, poi ripreso sulla rivista diocesana “Vita Diocesana” nel primo numero del 30 ottobre 2001. Testimonianze sul vissuto di don Salvatore e in particolare con aneddotica di Salvatore Cardillo sono presenti nel libro di Michele Schioppa, Aniello Barchetta. Note biografiche sul violinista compositore, Maddaloni 2001. Seguono poi due monografie a firma una di Nunzio Cappuccio e l’altra di Giusto Nardi: Nunzio Cappuccio, “un Sogno e un Progetto educativo …”, Maddaloni Centro grafico editoriale Villaggio dei Ragazzi, maggio 2008. Questi nel libro racconta l’arrivo e la gestione con i Legionari di Cristo e la gestione del villaggio fino al 2007 compreso nonché prospettive per una nuova vita del Villaggio. Inspiegabilmente sarà rimosso dal suo incarico allorquando, secondo le voci di corridoio, la sua gestione troppo severa, e di salvaguardia dell’Ente, non consentiva diverse scelte e orientamenti economico gestionali, al punto da ritrovarsi trasmesso a sua stessa insaputa un fax di dimissione tempo addietro fatto predisporre dalla dirigenza per eventuali divergenze. E così la sera per la mattina si vide dimesso per fax di un foglio di suo stesso pugno. Giusti Nardi, Vi racconto il Villaggio – come l’ho visto e come lo vedo, Caserta Edizioni Saletta dell’Uva, marzo 2015. Altri due contributi editoriali raccontano l’esperienza di don Salvatore e del Villaggio molto da vicino: Ricci Fiorella, il mondo di Gabriellino, Pescara 1958; AA.VV. , “Maddaloni Il Villaggio dei Ragazzi e il grande ciclismo” [a cura di Michele Schioppa, Amedeo e Luigi Marzaioli, Angelo Salvatore Letizia], PPG srl Caserta, maggio 2019. Va da sé che considerate la portata, la rilevanza e l’influenza del sacerdote, la sua figura è richiamata in molteplici altre pubblicazioni. In un excursus della vita de Il Villaggio dei Ragazzi, tratto dalla tesi “Il Villaggio dei Ragazzi di Maddaloni e l’inserimento del servizio sociale”, anno accademico 1958/59 che vide come allieva Maria Lombardi (Marietta la fidata nipote del sacerdote, morta a Maddaloni il 30 maggio 2018) e relatore il prof. Filiberto de Roccanigi, presso la Scuola Superiore di Servizio Sociale O.N.A.R.M.O. di Roma, oltre ad avere uno spaccato del primo decennio del territorio e della vita interna al villaggio, apprendiamo anche una citazione di ricchezza giornalistica nazionale. Tra questi si segnalano L’Europeo dell’8 maggio 1949, il Corriere di Napoli del 31 gennaio 1952, Il Mattino del 31 gennaio 1952, Il Quotidiano del 21 maggio 1952, Il Mattino del 17 luglio 1952, Il Mattino del 28 novembre 1952, Il Tempo del 21 marzo 1953, Il Giornale del 7 luglio 1953, Il Mattino del 22 luglio 1953 e Il Giornale dell’11 febbraio 1955. L’interessante contributo di Marietta e la contestualizzazione su taluni ospiti del Villaggio (i mulatti) furono poi oggetto di un lungo servizio giornalistico a cura di Massimo Mauri nel Settimanale Epoca del 6 marzo 1960. Nella memoria collettiva tanti altri servizi giornalisti resteranno di riferimento, come quello del periodico Gente di cui si parlerà nel testo ed ancora uno speciale su don Salvatore quale assessore de il Resto del Carlino che fece uno speciale sulla sua figura di amministratore. Con l’occasione integro qualche informazione su Maria, detta Marietta Lombardi nasce a Pola il 19 novembre 1936, trasferita a Maddaloni nella prima metà degli anni ’40 esule con la famiglia da Pola, si forma nella città delle due torri prima, all’istituto Sant’Agostino di Caserta e a seguire a Roma. Nella capitale studierà diplomandosi nel 1956 all’ Istituto Magistrale Santa Dorotea prima e prenderà il diploma universitario in Servizi Sociali nel 1959 alla Scuola Superiore S. S. ONARMO con una tesi sulla Casa del Fanciullo Villaggio dei Ragazzi di Maddaloni. Lavorativamente nel 1971 sarà a Prato come vincitrice di concorso quale assistente sociale presso l’ospedale di Prato, salvo rientrare a Maddaloni un ventennio dopo quale insegnante di religione presso le scuole della Fondazione Villaggio dei Ragazzi, in particolare presso il Liceo Linguistico e l’Istituto Tecnico Industriale, oltre ad essere una delle figure portanti dell’organizzazione delle colonie estive della stessa Fondazione e in particolare della sede di Torre Pedrera. Il Memorandum Alla fida nipote e segretaria Marietta Lombardi don Salvatore dettò il seguente “Memorandum” distinto in due macro-capitoli “La mia vita romana” e “La mia vita maddalonese”. «a - La mia vita romana. In questo documento dei “ricordi” voglio evidenziare i momenti e le occasioni più significative della mia vita relazionale che tanta incidenza ha avuto nella mia formazione umana e sacerdotale. A tutti è notorio il fatto che il Signore ha voluto farmi la grazia di essere accolto dal Pontificio Seminario Francese in Roma durante la mia giovinezza. In detto Seminario vigeva l'istituto della “libera uscita” (breve, nei giorni feriali, prolungata, nei week-end). Il suo ordinamento faceva divieto di uscire da soli, mai più di tre e mai con gli stessi amici. Ciò comportava quindi la possibilità di estendere ed approfondire l’amicizia tra tutti i seminaristi provenienti dalle varie Diocesi francesi e da quelle esistenti nei territori coloniali. L'incontro con culture affini ma diverse dalla mia, hanno profondamente inciso nella mia formazione. In quella comunità ho imparato a vivere rapporti interpersonali ispirati alla lealtà ed alla solidarietà. Con quei giovani, miei coetanei, ho sviluppato l'inclinazione verso il centro della cristianità, verso il Papa e verso la Chiesa universale. Les promenades quotidiane ci portavano alla scoperta cognitiva dei monumenti romani, delle ville patrizie, dei parchi, delle chiese, delle catacombe e dei musei. Le escursioni ai cestelli romani nei week-end ci vedevano protagonisti di corali e gioviali merende campestri. Questo stile di vita si proiettava poi anche in piazza della Pilotta durante gli intervalli tra i corsi seguiti c/o l'Università Gregoriana. Lì si entrava in contatto con studenti di altri Seminari e di altre nazionalità. In quei momenti e per quei rapporti che andavamo ad intrecciare diveniva operante quella universalità che la Chiesa di Roma, "Caput Mundi", richiedeva ed oggi richiede. Durante i periodi di vacanze estive le amicizie nate in Seminario mi consentivano di trascorrere alcune settimane nelle varie province di Francia e nei territori di lingua francese sia europei che africani, fino al Madagascar. Per il loro significato umano e culturale, di questi scambi di ospitalità divennero promotori ed organizzatori i Padri di “Santo Spirito”. Sempre con grande affetto ricordo l'élite delle Diocesi francesi che con me ha completato gli studi e la formazione nel Seminario. Molti suoi esponenti hanno assunto ruoli di responsabilità vescovile o cardinalizia. Con tutti ho conservato ed alimentato negli anni rapporti di fraterna e profonda amicizia. Quale cittadino italiano ero autorizzato dai miei Superiori a condividere con i miei connazionali le esperienze sociali e politiche del tempo. Ho potuto così vivere i vari eventi del fascismo ( la drammaticità del bombardamento sul quartiere di S. Lorenzo, la sofferenza della comunità ebraica, la tragedia dei continui rastrellamenti) ed ho visto nascere e maturare in alcuni ambienti il desiderio di una sana democrazia. Il mio incontro con alcuni movimenti democratici mi portò a seguire i Corsi dell’ICAS (Istituto Cattolico Attività Sociali), quelli dei Laici Paolini, alle varie conferenze tenute, nella sala attigua la Chiesa di piazza 12 Apostoli, da Cingolani, Tupini, Canaletti, Gaudenzio, Carneluti, Pastore, Vanoni, etc.. Grande efficacia per la mia formazione civile è derivata dalla diretta conoscenza di don Sturzo e De Gasperi, che conobbi quando era docente, presso il Vaticano, del corso propedeutico di “biblioteconomia” da me frequentato con altri studenti, tra cui Giulio Andreotti. De Gasperi mi dimostrò la sua amicizia in occasione della mia prima celebrazione eucaristica quando, con la sua famiglia, volle presenziare l’evento nella cappella del Seminario francese (venerdì primo aprile I945). Col giovane Andreotti ho avuto un'interrotta frequentazione dal 1940 al 1945 (corso di biblioteconomia, Fuci, gruppi giovanili della D.C.), tanto da vederlo a Maddaloni il 3 aprile I945, con altri amici romani, partecipe al servizio liturgico svoltosi in occasione della mia prima S. Messa a Maddaloni nella chiesa dei Padri Oblati. L’amicizia con Andreotti si è consolidata sempre più nel tempo. Ad Andreotti debbo tanta gratitudine per ogni genere di aiuto che ha voluto e saputo darmi sia nell'attività sociale che ho svolto a servizio degli altri e sia per l'affettuosità con la quale ha seguito la mia vita personale e sacerdotale. Con Giulio ho sempre avuto un'unione di preghiera e di crescita nella fede. Sono altresì lieto ed orgoglioso di essere stato accolto con semplicità ed affettuosità dalla sua famiglia. Di questa famiglia spicca la generosità della signora Livia, sposa esemplare di Giulio,nonché il caro ricordo della di lui madre signora Rosa Falasca, che, finché è stata in vita, ha seguito con attenzione e trepidazione il mio apostolato. Nel mio intimo custodisco un momento particolare, denso di significato emozionale: all’anteprima della proiezione del film “Solo Dio mi fermerà”, tenutasi nella sala Rivoli in Roma, mi son trovato seduto tra mia madre e la madre di Giulio. Durante la mia vita romana ho conosciuto e frequentato tanti uomini della prima ora repubblicana: Gronchi, Cassiani, Segni, Rumor, Colombo, Zaccagnini ed altri. Molti di essi, lungo gli anni, hanno voluto dare testimonianza del loro interesse verso la “Fondazione” con visite al “Villaggio dei Ragazzi”. Tra questi eventi spiccano le visite di Moro e Zaccagnini, sollecitate in verità dall’amico di sempre Elio Rosati. Per il grande valore protettivo ed affettivo, devo ricordare l'azione paterna di SS. Pio XII. Grazie alla disponibile cooperazione di madre Pasqualina, una delle suore che lo accudivano, il Santo Padre, nei momenti più difficili, faceva pervenire al “Villaggio dei Ragazzi” consistenti aiuti alimentari ed economici. Sull’incontro della nostra comunità (ragazzi ed alcuni concittadini) con Sua Santità aleggiò il vento di una profonda commozione: il tutto è storicamente documentato dalla foto ricordo. Compagno di Scuola, tra le amicizie nate nella santa madre Chiesa va ricordato il mio legame con il Sostituto Segretario di Stato, Giovanni Benelli, mediante il quale mi fu possibile conoscere SS. Paolo VI. Altri amici vanno poi ricordati, quali i Cardinali: Caprio, Pappalardo, Augustone e molti Vescovi sia italiani che francesi. Tutti mi hanno assicurato di essere stati vicini alla “Fondazione” con preghiere incessanti. Molti di essi sono stati presenti nella ricorrenza del 25° anniversario del mio sacerdozio. Fu un giorno memorabile non solo per me ma anche la folla riunita nel cortile del Villaggio, specie quando il Sostituto Benelli fece udire la viva voce del Santo Padre che, telefonicamente, benedisse me e tutti i presenti e la Fondazione. b - La mia vita maddalonese. Sulla mia vita maddalonese lascio ai miei concittadini, estimatori e denigratori, il giudizio. Ritengo comunque opportuno ed importante raccogliere i miei ricordi; analizzare le tappe più significative del mio apostolato di cristiano e di Sacerdote; sintetizzare al massimo le esperienze umane vissute nella mia città che tanto ho amato. Ricordo che, dopo la lunga parentesi romana, il mio reinserimento nella comunità cittadina è datato nel biennio 1945- 1947. La collaborazione con il mio parroco di S. Benedetto Abate, don Giuseppe Santonastaso mio padrino, mi portò a stabilire i primi rapporti umani ed etici con un gruppo di cittadini residenti nella zona pedemontana di Maddaloni. La guida dei boys-scouts mi consentì di condividere con molti giovani le problematiche adolescenziali. L'immissione nell'organizzazione aclista mi permise di conoscere la situazione occupazionale della mia provincia e di intervenire con opportuni correttivi nelle situazioni conflittuali del mondo operaio. La povertà di molte famiglie si impose con drammaticità alla mia coscienza. Chiesi aiuto agli amici romani nel desiderio di reperire i fondi necessari perché potessi almeno in parte soddisfare i bisogni economici di qualche famiglia. Mi fu allora concessa l'opportunità di gestire colonie diurne elioterapiche pro-infanzia per conto della P.0.A. Ai bambini di molte famiglie furono così assicurati i pasti giornalieri in un'esperienza di vita comunitaria assistita. Nel 1947, proprio a chiusura di una colonia estiva realizzata con la POA (Pontificia Opera Assistenza), avendo prima iniziato con i boy scouts già dal 1945 e nel corso di questa prima esperienza iniziò a rendersi conto della situazione che. Dopo la colonia del 1947 scoprii che un gruppo di bambini non sarebbe stato accolto dalla famiglia ma dalla strada. Nel 1947 alla scuola Settembrini vi era l’avvocato De Lucia, dell’Associazione dei Reduci e Combattenti, che organizzava un’altra colonia e Marietta era in questa ed aveva come vigilatrice Rosa Suppa poi consorte del senatore Salvatore Pellegrino. La sorella di Maretta, di nome Rosa invece era nella colonia della POA. Di sera Marietta e Rosa battibeccavano su quanto si sarebbe fatto al Settembrini l’indomani o in programma e don Salvatore faceva in modo di informarsi e creava qualcosa di più imponente ed evidente battendo l’altra colonia nella visibilità. La doppia colonia delle due sorelle era dovuta al fatto che due sorelle non potevano stare nella stessa colonia. La mia coscienza non poteva più ignorare la situazione, la mia dignità umana non poteva mostrarle indifferenza né il mio essere sacerdote poteva acriticamente accettarla. L'intuizione del mio apostolato, avuta quando ero ancora diacono, trovò allora concreta applicazione: raccolsi intorno a me quei fanciulli e decisi che con essi avrei formato la mia famiglia. Alienai la dote canonica, occupai l’ala dell'ex Caserma Nino Bixio che era stata precedentemente in parte attrezzata per l'attività estiva (colonia), chiesi al Presidio militare alcune brandine da campo dismesse dai soldati, acquistai coperte e cibo: nacque così la “Casa del fanciullo”. La Caritas svizzera osservò il mio agire e ritenendolo degno di sostegno attrezzo nella “Casa del fanciullo” laboratori di falegnameria, di meccanica, di calzoleria che affiancarono le scuole dell’obbligo istituite dallo Stato italiano (elementari, avviamento professionale e tecnico industriale biennale). La famiglia crebbe numericamente aprendosi a nuove prospettive: furono istituiti i Centri di elettronica e di grafica (privati). La “Casa del fanciullo” dopo pochi anni si trasformò in “Villaggio dei Ragazzi” che occupò tutta l'ex Caserma. La sua numerosa consistenza (750 minori ospitati) evidenziò esigenze consoni ai nuovi tempi. La Scuola di avviamento professionale fu sostituita dalla Scuola media unificata; l'Istituto tecnico industriale biennale ed il Centro di elettronica furono sostituiti dall'Istituto Tecnico per l'elettronica industriale e dall'Istituto Magistrale (parificati). In epoca successiva, nacquero il Liceo Linguistico, la Scuola materna, l'Istituto tecnico per l'informatica, l'Istituto Tecnico Aeronautico e l'Istituto superiore, a fini speciali, per interpreti e traduttori. Non sò se riuscirò a vedere realizzato l'altro mio sogno: la trasformazione dell'I.S.I.T. in Facoltà Universitaria per il rilascio del Diploma di Laurea. Spero che il Signore non farà mai mancare la sua benevolenza a tutte queste attività così come spero nella protezione materna di Maria , Regina della pace, cui è dedicata la chiesa del Villaggio. Spero anche che la piccola Cappella, testimone di lacrime e di sofferenze, ma anche di gioia, ed in cui costantemente è presente il Dio vivente, cioè l'Eucarestia, rimanga il punto di riferimento per tutti. Così come mi auguro che S. Giovanni Bosco, continui a significare l' “AMICO” a cui chiedere costante guida nel lavoro quotidiano e particolare attenzione per i giovani della Fondazione. Tali sentimenti abbiano ad albergare in tutti coloro che vorranno impegnarsi con generosa continuità nell'azione educativa dell’Opera. Nel momento in cui scrivo mi assilla, con tutta la sua gravità, un grande tormento: il domani della Fondazione. Chi deve assumerne la guida e quali devono essere i mezzi da attivare per la sua continuità? Lo Statuto della Fondazione, nei suoi articoli, definisce chiaramente i principi, ma ho la sensazione-che nulla si fa per aiutarmi a tramutarli in concretezza, pertanto il suo domani rimane - allo stato attuale – indefinibile. Spero che non si permetterà la sua fine perché ciò sarebbe, nonostante tutte le mie manchevolezze, un vero tradimento nei confronti dei ragazzi, dei giovani e del personale che in questi anni mi ha collaborato. Fiducioso, quindi, nella continuità dell’Opera; ancora una volta voglio ricordare che bisogna continuare ad alimentare lo spirito vocazionale al sacerdozio; altresì bisognerà fare del tutto perché la formazione cristiana in generale e quella vocazionale in particolare, abbiano a fruttificare sempre nell'animo giovanile». A questo punto vale la pena fare un piccolo approfondimento. Circa la trasformazione della “Casa”, nel giro di qualche anno, nel “Villaggio”, “Villaggio dei Ragazzi”, ciò accadde perché aumenta l’utenza, cambia l’organizzazione e le attività interne, da qui le dimensioni rimandano all’idea, struttura, esigenza e organizzazione di un Villaggio, di una città nella città. Qui vale la pena fare un piccolo approfondimento. Don Salvatore per la sua “Casa”, ma soprattutto per il “Villaggio” si è ispirato, come racconta Marietta che ha studiato e pubblicato come tesi della Scuola Superiore di Assistenti Sociali di Roma l’esperienza della Casa/Villaggio di don Salvatore, all’esperimento che nasce dal gennaio 1945 con monsignor Giovanni Patrizio Carroll-Abbing che fonda “L’Opera per il Ragazzo della Strada”, detta anche “Villaggio del Fanciullo” (Strenna dei Romanisti, 1967, Staderini Editore Roma, Roma 1967) che diede inizio alla sua attività assistenziale a favore dell’infanzia del dopoguerra. Ispirato si dive dall’esperienza fatta della conoscenza della povertà dell’infanzia tra i bassi di Napoli nel 1944. In particolare, l’opera maddalonese, prende le mosse dalla comunità fondata tra Santa Marinella e Civitavecchia, da monsignor Carroll-Abbing e don Antonio Rivolta, Monsignore. La stessa comunità nota come di Santa Marinella poi prese il nome di “Repubblica dei Ragazzi di Civitavecchia”. Da questa nacquero i “Villaggi”, ovvero quello Marinaro, quello Agricolo e quello Industriale. Così si cominciò a dare vita all’autogoverno, frutto della vita quotidiana dei ragazzi e dei loro sforzi nel regolamentare il loro vivere in comunità. A seguire nacque anche l’opera della “Città dei Ragazzi di Roma” per giovani bisognosi, più vicina a Roma. E di questa “Città” la prima pietra fu posta il 6 ottobre 1953, alla presenza di autorità italiane ed estere. In seguito, prenderà il nome di “Opera Nazionale per le Città dei Ragazzi”; fonda, inoltre, l’“Istituto Internazionale per lo Studio dei Problemi della Gioventù Contemporanea”. Monsignor Giovanni Patrizio Carroll-Abbing poco più grande di don Salvatore con molta probabilità sarà entrato in contatto con il sacerdote maddalonese. Ciò perché a monsignor Giovanni Patrizio Carroll-Abbing il Papa affida la rinascita, o meglio la ri-istituzione della Azione Cattolica e suoi collaboratori sono tutti studenti universitari o di quell’ambiente e dalle testimonianze d’archivio abbiamo qualche nome come Aldo Moro, Luigi Gedda e Giulio Andreotti. La collaborazione è registrata nel periodo 1938-1940, ovvero fino allo scoppio della guerra, allorquando il monsignore ebbe come incarico da Papa Pio XII della gestione degli aiuti alle popolazioni martoriate dalla guerra. Nascita e fanciullezza Dunque, i dati anagrafici di don Salvatore d’Angelo. Iniziamo con una curiosità don Salvatore inizialmente si firma con il cognome “D’Angelo”, con la D maiuscola, però nel corso degli anni giunge, fino al periodo finale della sua esistenza in vita, allorquando si firma con il cognome “d’Angelo”, ovvero con la d minuscola. In effetti non vi è errore, come ci ricorda il nipote, l’avvocato Francesco d’Angelo, ma vi è stata una procedura giudiziaria di un parente che ha richiesto e ottenuto il cambio del cognome all’anagrafe. Probabilmente (non c’è dato sapere il motivo sostanziale) la richiesta è nata per ripristinare un errore di trascrizione dei documenti anagrafici nel tempo. A questo punto possiamo riferire che don Salvatore d’Angelo (Maddaloni 25 gennaio 1920 – 30 maggio 2000) nasce da Domenico (Maddaloni 20 novembre 1887 - 29 dicembre 1980) e da Tedesco Teresa (Maddaloni 16 novembre 1889 – 26 gennaio 1970) al vico 21 di via Troiani a Maddaloni, nel quartiere “Pignatari” alla base del monte dedicato al protettore della città a cui il sacerdote sarà legato: San Michele Arcangelo. Dal matrimonio di Domenico e Teresa nasceranno Antonio (1914), Giuseppina (1917), Salvatore (1920), Francesco (1922) Giuseppe (1925). Circa la mamma va detto che ha esercitato sulla persona del figlio Salvatore un grande ascendente, il suo vero maestro di vita, donna di fede, buona e di sani principi. E infatti don Salvatore nella sua vita è stato aiutato dalla Provvidenza e della protezione della Madonna a cui era molto devoto, ed ancora San Giovanni Bosco. Questa è la sintesi della spiritualità di don Salvatore. Va detto che Domenico d’Angelo, il papà di don Salvatore aveva, tra i fratelli e sorelle, due sorelle funzionali all’esperienza di Salvatore. Queste erano zia Maria e zia Rosa. La prima coniugata con Domenico Cotugno aveva lungo la via Troiani , al piano terra del palazzo che fa angolo con il prosieguo della strada che poi sfocia in piazza Santacroce, di fronte il palazzo Cardillo, dove abitava l’amico di don Salvatore, il poi sindaco Salvatore Cardillo, una salumeria, uno spaccio l’unico del quartiere. E non aveva figli. L’altra, zia Rosa ebbe, tra l’altro, una figlia di nome Rosa che era dunque nipote di Domenico d’Angelo e cugina di Salvatore (poi don ) d’Angelo. Figlie di questa cugina Rosa furono, tra l’altro, Elena e Maria (detta Marietta che fu la sua erede spirituale con Francesco d’Angelo) le due donne che hanno rinunciato alla famiglia per assistere, come poi vedremo, unitamente alla mamma finché era in vita, don Salvatore d’Angelo e la sua Opera del Villaggio dei Ragazzi. Questo dopo che sfollati istriani, erano profughi e venivano da Pola, e nell’avvio dell’esperienza del Villaggio dei Ragazzi abitavano nel fabbricato della stessa caserma Bixio ma dal lato dell’attuale piazza della Pace. Salvatore nasce e cresce a via Troiani, quartiere Pignataro, si forma presso la comunità parrocchiale di San Benedetto Abate, curata da don Giuseppe Santonastaso. Questi fu la prima guida spirituale di Salvatore e inarrestabile animatore e attrattore dell’infanzia del posto propositivo delle attività oratoriali sull’insegnamento di don Bosco che sarà di Salvatore suo protettore e protettore dei suoi fanciulli. Uno spaccato di quegli anni, di quell’ambiente e di chi lo frequentava ci viene consegnato dalle liriche di Aniello Barchetta, che fu amico e sostenitore non solo di quella comunità parrocchiale con don Salvatore ma anche amico e collaboratore del fondatore della Casa del Fanciullo. Don Giuseppe, uomo di cultura e rispettato e in vista non solo nella forania di Maddaloni ma anche nella Diocesi di Caserta, prende a cuore le sorti dei suoi piccoli “figliocci” e si preoccupa di offrire loro, grazie anche a iniziative di organismi “definiti” come l’Azione Cattolica, una prospettiva di vita. Tra questi c’è il piccolo Salvatore il cui fabbricato e quasi dirimpettaio della canonica “A’ cunciaria” di San Benedetto ove abitava ed esercitava lo stesso canonico. Lo scenario che vede nascere e i primi anni di Salvatore saranno di forte crisi economica e sociale. Si consideri proprio nel 1920 per poter costituire il consiglio comunale bisognò chiedere al Gen. Lorenzo Ferraro, capo della Brigata di fanteria “Mantova” 1917, per bloccare la serie di commissariamenti, che per questioni di bilancio portarono alla dismissione sia della Banda Musicale (poi ricostituita da don Salvatore nella sua Casa) ma anche del corpo della polizia municipale. Anche i primi anni dell’era fascista non saranno felici, bisognerà attendere ancora un po’, proprio gli anni in cui si vedrà Salvatore andare a Caserta e poi a Benevento, per avere un miglioramento sociale. Il piccolo Salvatore vive pienamente i primi anni nel quartiere Pignatari (e il primo nucleo di ragazzi che avrà nella Casa del Fanciullo da questo quartiere proviene), in quanto, per l’età non va spesso in campagna, gli piace girare con la bicicletta e fare qualche innocente gioco a carte con amici e parenti per recuperare qualche lira per comprarsi il gelato (a Roma era fisso nei viaggi del mercoledì andare da Bernasconi e altri per il gelato e la torta gelato per lui da portare al villaggio e per i suoi accompagnatori. Don Salvatore era frugale nel cibo e gradiva piatti semplici tranne che per il dolce) o altro che necessitasse. Barava anche pur di recuperare le lire ma era un fatto condiviso per consentirgli il diletto. Della casa si occupavano i genitori e appena poté il fratello Antonio. Salvatore, in questo contesto frequentava la chiesa di San Benedetto, così come il suo caro amico il letterato e musicista Aniello Barchetta che frequentò in vita ammirandone le espressioni artistiche (dirà poi Salvatore Cardillo che nel quartiere Pignatari Barchetta sarà il primo – anche per un fatto anagrafico – a scrollarsi di dosso la cultura dell’appartenenza a una classe sociale povera e senza aspettative, puntando sulle Arti, dunque ci sarà chi “fuggirà” dal “carretto” paterno per realizzare un’opera invidiata nel mondo, chi come lo stesso Cardillo godrà del suffragio cittadino e tanti altri anche nelle Armi riscatteranno quel luogo), e qui inizio a maturare l’idea della vocazione, certamente condivisa dalla famiglia nonostante i sacrifici che avrebbe comportato stante il privilegio di avere un sacerdote in famiglia. Va chiarito che il legame di don Salvatore con il suo quartiere non tramonterà mai anzi andrà sempre più consolidandosi, e anche quando per normali distribuzioni dell’assetto ereditario la casa in cui è nato è passata oltre la famiglia era solito do tanto in tanto recarvisi per ricordare la nascita e la fanciullezza. Del resto, don Salvatore, alla morte del suo parroco di don Giuseppe Santonastaso, ha assicurato la conduzione della parrocchia di San Benedetto Abate direttamente o per interposta persona con l’ausilio dei suoi collaboratori, cioè padre Bernardino prima e don Salvatore La Farina poi, a cui si aggiungeva quella di don Salvatore Izzo. Precedentemente essendo in vita don Giuseppe collaboravano anche don Salvatore Letizia e don Giuseppe Magliocca. In seguito, poi all’ordinazione sacerdotale di don Stefano Tagliafierro a quest'ultimo lasciò una certa autonomia di gestione. Bisogna ancora aggiungere che le presenze di don Salvatore nella comunità parrocchiale dopo la morte di don Giuseppe si intensificarono. Don Salvatore con tutti quelli del rione Pignatari mantenne sempre un rapporto di amicizia con i residenti, con i quali ci si dava del tu, negli incontri anche sporadici, nei saluti, etc. Va detto, del resto, che il rione è stato la sua base elettorale, alla luce della partecipazione alle competizioni politiche. Anche perché don Salvatore era visto come persona concreta e pratica, sempre teso a risolvere i problemi della sua Casa del Fanciullo, poi Villaggio dei Ragazzi e della Città di Maddaloni. Sempre in relazione e fin dalla presenza di don Giuseppe Santonastaso alla guida della forania di Maddaloni don Salvatore aveva un ottimo rapporto con il clero locale e finché a capo della Diocesi di Caserta c’era il vescovo mons. Bartolomeo Mangino. Don Salvatore è stato un sacerdote che rispettava l’obbedienza dal vescovo al vicario foraneo. La nipote Marietta, ad esempio, ricorda che mons. Mangino fin dai primi tempi era solito venire alla Casa del Fanciullo alla buon’ora e comunque per le sette e mezza del mattino e andarsene nella cameretta di don Salvatore che se non era ancora addormentato comunque era a letto, e qui il vecchio vescovo si accomodava sul letto del sacerdote e parlavano, sicuramente della cura spirituale ma probabilmente anche di quella materiale di tanti figli di Maddaloni e della Diocesi. Mangino è lo stesso vescovo che intitolò la lettera pastorale alla Diocesi del 24 febbraio 1952 “I problemi della Diocesi. Direttive norme disposizioni. Lettera pastorale per la Quaresima 1952”, tutta incentrata sui problemi sociali, e su tre Enti in quegli anni si focalizzò l’attenzione del Vescovo: il Seminario Diocesano, il Villaggio dei Ragazzi di Maddaloni e l’Orfanotrofio Maschile Sant’Antonio di Caserta. Successivamente con l’avvento dell'Arcivescovo Vescovo mons. Vito Roberti i rapporti si raffreddarono un po’. In effetti il neo Ordinario Roberti non vedeva di buon grado l'impegno politico di don Salvatore. Con Roberti ci fu anche un battibecco perché don Salvatore andò a celebrare un matrimonio di un famigliare a Torino il 29 settembre festa della Diocesi dedicata a San Michele Arcangelo, e anche data del rinnovo della professione di ubbidienza al Vescovo. Occasioni in cui Roberti era alla chiesa del SS. Corpo di Cristo con tutto il clero e nel corso dell’omelia riferì che don Salvatore preferì il matrimonio del nipote alla presenza con tutto il resto del clero a quella cerimonia, anno 1966. Ottimi i rapporti poi con Cuccarese e un po’ meno fluenti con Nogaro anche se entrambi sul finire della vita del sacerdote hanno sostenuto che si erano rinsaldati. E comunque don Giuseppe Santonastaso ed il Vescovo Mangino incoraggiarono la trasformazione della “Casa del Fanciullo” in “Villaggio dei Ragazzi” e al contempo la sua definizione quale “Opera di Beneficenza e di Culto della Parrocchia di San Benedetto Abate”. Questa denominazione cessò con il passaggio dei beni parrocchiali all'Istituto Diocesano di Sostentamento del Clero (L. 222/85). Don Salvatore ebbe l'intuizione e la necessità, per un progetto di continuità, di trasformare il “Villaggio” in “Fondazione”. In effetti la Casa e poi Villaggio avvio il percorso per divenire Istituzione Pubblica di Assistenza e Beneficenza (IPAB), con riconoscimento di Ente Morale nel 1975 (decreto del Presidente della Giunta Regionale della Campania n. 609 del 5 febbraio 1975 e che rivestiva, in base alla L. 17 luglio 1890 n. 6972, della Legge Crispi”, al D.P.C.M. del 22 dicembre 1978, pubblicato sulla G.U. del 29 dicembre 1978, il regime giuridico di IPAB, ed inserita nell’ambito regionale campano. Successivamente con Decreto Dirigenziale della Regione Campania n. 4 del 26 maggio 2014 è trasformata da IPAB in ASP. Circa il forte legame con la parrocchia di San Benedetto Abate si consideri che tutti i riti sacramentali della chiesa del Villaggio, Battesimi, Comunioni, Cresime, Matrimoni erano registrati presso e come svolti nella chiesa di San Benedetto Abate. Della quale, don Salvatore è stato viceparroco e con tale funzione amministrativa allorquando si è deciso, per sua stessa volontà, di far arrivare la Face Standard a Maddaloni per l’occupazione dei suoi studenti e dei cittadini maddalonesi, dovendosi cedere dei terreni, don Salvatore ha ceduto quelli della parrocchia di San Benedetto (previa autorizzazione del Vescovo di Caserta Mangino) che potenzialmente non sono stati mai pagati. Così come mai pagati sono stati i terreni messi, si potrebbe dire a propria insaputa, della moglie del fratello Antonio. Infatti, don Salvatore sacrificava la famiglia, e in questo caso specifico “sfruttava il suo ruolo”, per il bene dei suoi ragazzi e della occupazione cittadina. Il giorno della morte il fratello Francesco ebbe a dire: «La sua famiglia erano questi ragazzi, per tutti noi in famiglia era il prete. Gli volevamo bene ma lui viveva soprattutto per il Villaggio. Faceva di tutto per i suoi ragazzi e quando aveva bisogno veniva a chiederci i soldi. Nostro padre era agricoltore e dovette vendere l’aratro per pagargli gli studi in seminario». Circa il rapporto con il padre e in relazione alla critica che taluni gli muovevano di accentratore don Salvatore di solito raccontava un aneddoto: «Sapete, io sono nato povero; mio padre era un carrettiere. Un giorno io ero con lui sul carro e lui mi disse “Salvatò, portalo tu io sono stanco e mi addormento un po’. Ma sta attento: tieni le redini sempre tirate, altrimenti il cavallo fa quello che vuole”. Da allora le redini tirate le ho tenute sempre ed in ogni situazione». Politica e famiglia in don Salvatore “Vedi questa penna, non appartiene né a me né alla mia famiglia, ma al Villaggio dei Ragazzi”, ovvero a “questi stessi ragazzi”, alla “Città di Maddaloni” questo si sentiva dire che si portava ne suo studio e vedeva prendere dalla scrivania una penna per scrivere al fine di sottolineare come nulla era di sua proprietà ma della comunità. Questo un primo concetto per inciso prima e per capire la relazione e il rapporto di dipendenza e di ritorno alla famiglia di sua provenienza. Infatti, tutto ciò che era nella sua gestione, tutto il suo impegno era vocato per la crescita culturale dei suoi ragazzi e della comunità tutta e non certamente per la famiglia o per i suoi cari, qualunque essi fossero. Ed infatti, una sola cosa ha chiesto ai sacerdoti che ha economicamente e spiritualmente assistito nella sua vita terrena, la partecipazione alla celebrazione del suo funerale. Circa il fratello Antonio va detto che questo era forte di carattere come don Salvatore e spesso andavano in conflitto, entrambi affermati nel sociale Antonio con la Cisl e Salvatore con la FUCI e le ACLI (don Salvatore è stato eletto assistente provinciale ACLI in provincia di Caserta) e quando si entrava sul piano politico era difficile sbrogliare la matassa delle candidature perché la DC non consentiva a due fratelli di candidarsi e quindi bisognava decidere a chi toccava per la tornata elettorale sedere in consiglio comunale. Subito il dopo guerra, nell’ambito dei confronti tra fratelli per il ruolo politico nella DC, don Salvatore pretendeva che anche nella vita politica il fratello Antonio facesse un passo indietro rispetto alla sua passione politica per consentirle a lui di primeggiare rispetto all’opera del Villaggio, e naturalmente Antonio non lo consentiva anche perché rivestiva dei ruoli sindacali provinciali che non permettevano un tale passo indietro. Don Salvatore (ben voluto anche dal vescovo ausiliare di Caserta Monsignor Giuseppe Pietro Gagnor) ebbe la dispensa a poter svolgere l’attività politico partitica da mons. Bartolomeo Mangino, suo sponsor per le opere di misericordia che svolgeva il sacerdote, come faceva anche a distanza mons. Gagnor. A Maddaloni in quegli anni si faceva scuola politica, e durante le riunioni venivano da tutta la provincia per apprendere le tecniche oratorie e la filosofia politica. Un legame tra politica e Diocesi ha culmine dopo le elezioni del maggio 1958 con la nascita dei “Centro Studi Sociali”, fortemente voluti dal Vescovo Mangino e diretti a livello centrale da don Luigi Salzillo, che vedranno animatori in Maddaloni don Salvatore d’Angelo e don Salvatore Izzo e il laico avvocato Giuseppe Pisanti il 15 giugno 1960. Una sorta di anticipazione era stata data nel corso della via crucis cittadina del mercoledì santo 13 aprile 1960 allorquando l’ultima fermata fu caratterizzata dall’arrivo del Vescovo Mangino e fu commentata dal don Salvatore d’Angelo prima della benedizione dello stesso Vescovo. Gli stessi oltre a studiare il territorio e suggerire interventi correttivi avevano la funzione di prevenire lo sviluppo sul territorio del social comunismo. I principali “Centro Studi Sociali” per importanza e attività furono quello di Caserta e Maddaloni in tutta la Diocesi. Don Salvatore sarà assessore sul finire degli anni ’50 e negli anni ’70 oltre ad essere stato per molti anni consigliere comunale. Coprirà la carica di Assessore ai Lavori pubblici. Speso interventi e utenze a carico del Comune si ritrovavano ad essere pro Villaggio dei Ragazzi ma data la funzione, l’attività, l’assistenza e la preziosità dell’opera per il tutto il civico consesso questa cosa passava come concessa. E comunque don Salvatore sarà per la città, infatti, farà asfaltare la sera per la mattina via Capillo, dopo che il mercato boario fu trasferito dopo la zona della “Rotonda”, fece venire la sede delle Poste a Maddaloni, si inventò uno stratagemma per cui non solo venne la Face Standard a Maddaloni ma questo avvenne su terreno dei suoi familiari, compresa la moglie del fratello Antonio, mai pagati e della parrocchia di San Benedetto Abate e quello anche potenzialmente mai pagato. Per cui per assurdo potremmo dire che l’area Face Standard e dei parenti di don Salvatore e della comunità di San Benedetto. E Venne la fabbrica a Maddaloni per occupare i ragazzi gratuitamente accolti, gratuitamente assistiti e gratuitamente formati nel Villaggio dei Ragazzi. Fece il Collettore Fognario e tante altre cose. E comunque, come riferisce nel testamento del 1977 e del 1996, tutto ciò che ha fatto anche con risorse familiari è della sua Opera ovvero del Villaggio dei Ragazzi e il Villaggio dei Ragazzi è della Città, ne consegue che tutto ciò che ha fatto è stato ed è della Città. Alla famiglia spettava l’onere, in ogni caso, di assisterlo quando stava male sia fisicamente che quando era sconfortato per i debiti e i problemi a cui era costantemente chiamato alla risoluzione. Don Salvatore era solido chiedere il massimo ai suoi collaboratori e anche a quelli comunali o comunque la collaborazione ai dipendenti comunali per le diverse occorrenze e non mancava, a tutti i dipendenti comunali, almeno fino ai tempi d’oro, consegnare a Natale (occasione in cui ammirare anche il grande presepe dove con una statua sarà poi raffigurato anche il sacerdote) e Pasqua la Busta con il panettone e il calendarietto del Villaggio. La vocazione Un giorno come tanti, data la centralità viaria di Maddaloni, con l’Appia che porta a Roma, passa per la città, come tante altre volte probabilmente, il Cardinale Luigi Maglione (Casoria 2 marzo 1877 –22 agosto 1944) con la sua carrozza. Caso vuole che ci siano problemi a una ruota e fermatosi in città indirizzano il cocchiere al “portone”, al piccolo cortile della tipica casa a coorte maddalonese dov’è un artigiano abile nel risolvere il problema al prelato. Il Cardinale Luigi Maglione è uomo di rilievo, infatti, sarà Segretario di Stato del Vaticano e nel mentre incontra don Salvatore è stato da poco appena nominato Nunzio in Francia dove sarà dal 1926 al 1935. Prima di diventare Segretario di Stato Vaticano nel 1943 si occupò quale principale collaboratore di Pio XII, durante la Seconda guerra mondiale, di lenire le ferite inferte al senso di umanità dalle conseguenze del conflitto bellico, e prima ancora rappresentante papale temporaneo presso la Società delle Nazioni, e in questo si nota l’impronta lasciata su quello che sarà il pupillo Salvatore, poi don Salvatore d’Angelo. Dell’incontro con il prelato è lo stesso don Salvatore a raccontare. Infatti, se da un lato il giovane Salvatore aveva manifestato la volontà futura di intraprendere la strada sacerdotale da un lato per realizzare il disegno divino che Dio aveva su di lui e forse, stante la miseria e il prestigio di un sacerdote in famiglia, forse dall’altro poteva essere una forma di riscatto per tutta la sua famiglia la dignità di un sacerdote in casa. Comunque, non stando a noi mettere in discussioni i primordiali motivi che lo inducevano a manifestare la volontà di diventare sacerdote, sta di fatto che il prelato nell’attendere che l’artigiano sistemasse la ruota del caro notò nel cortile giovare il giovincello “piscia sotto” (Salvatore soffriva di enuresi), come ironicamente il sacerdote si definiva, e ne fu attratto. Ora, la presenza di un Cardinale in loco non restò segreta e subito si presume essere giunto il canonico Giuseppe Santonastaso, parroco e padre spirituale del ragazzo che aveva la canonica a non più lontano di una ventina di metri. Naturalmente ci sono stati tutti i saluti e i riti di ossequio e tra gli uni e gli altri, data anche la certa e completa ospitalità mostrata al prelato dai residenti, prima tra tutti donna Teresa mamma di Salvatore, non è mancata a don Giuseppe la possibilità di segnalare il desiderio del giovincello che ha catturato la sua attenzione di voler avviare gli studi per giungere alla dignità sacerdotale. Ci è giunta una testimonianza circa il fatto che don Salvatore, dopo che aveva iniziato a maturare l’idea di diventare sacerdote, essendo assenti i suoi perché a lavoro nei campi, oltre a giocare con gli altri coetanei nella stessa situazione (e perché anche qualche volta a litigarci) aveva “il pallino, di celebrare già la Santa Messa, a mò di gioco, nel cortile di casa sua ed addobbava l’altare con delle zucche svuotate, in ognuna di esse ci metteva dentro dei lumini di cera. Va da sé che naturalmente aveva bisogno di un chierichetto e all’occorrenza si prestava il vicino di casa Nicola Santangelo. Il prelato Maglione, tornando all’origine della vocazione, che era in viaggio per Roma, non sfuggì l’occasione provvidenziale che gli si era posta davanti e decise di prendere a cuore il ragazzo così da poterlo avviare al privilegio di accedere al Seminario e alle scuole d’élite romane. E forse, vista la presenza del Cardinale a Segretario di Stato Vaticano non deve essere casuale la scelta di don Salvatore quale segretario di San Giovanni XXIII a Parigi che ivi si trovò subito dopo il conflitto e negli anni dell’ordinazione sacerdotale di don Salvatore quale Nunzio in Francia. Del resto, il legame tra Maglione e don Salvatore favorisce tanto quello del giovane sacerdote con la Santa Sede visto che nel volgo si diceva che la relazione tra Maglione e il Pontefice sarebbe stata così tanta amichevole e salda che gli italiani scherzavano sul fatto dicendo che dovunque andasse Pio XII senza il suo “maglione” prendeva freddo. La Formazione Salvatore frequenta la scuola elementari “L. Settembrini” di via Roma e tra i 7-8 anni, avviato il percorso di discernimento con don Giuseppe Santonastaso, invogliato dalla famiglia per la quale era un onore e prestigio avere un sacerdote in famiglia, va al Seminario Vescovile di Caserta (sempre legato a questo luogo al punto da cedervi alcune sue cucine e suppellettili con la scusa che il detto materiale non era più coerente con le esigenze del Villaggio. Forse ciò è accaduto con la rinascita del Seminario a cura del neorettore don Salvatore Izzo amico di don Salvatore d’Angelo, o comunque non più tardi degli anni 70. Anche la vigilanza privata della “Terra di Lavoro” della portineria del Seminario di Caserta, che si occupava della portineria del Villaggio era a spesa del sacerdote e tale è stata fino ai primi anni ’90 allorquando fu esonerata e vi fu posto il custode Filiberto Fusco a spese della Curia, servendo la vigilanza anche la Curia e l’appartamento del Vescovo) dove conclude gli anni della scuola elementare. Data la sua attitudine allo studio avrà la possibilità di seguire gli stessi passando al Seminario Regionale di Benevento per la scuola media. Ci sono versioni discordanti sul fatto che abbia seguito o meno i due anni di ginnasio a Benevento, certo è che, date le doti spiccate, da qui, potrà frequentare passare al Ginnasio Liceo, e completare il percorso di studi, accademici e di specializzazione, ospite del Seminario Francese di Roma. Dunque, dopo il ciclo di studi a Benevento (non sarà mai al seminario di Napoli nonostante una prima versione ufficiale del Villaggio ne facesse citazione) passò a Roma (Seminario Francese) per il Ginnasio Liceo. Le su doti di studio furono talmente evidenti che si interessò perché giungesse al Seminario romano il Cardinale Luigi Maglione che sarà poi anche Segretario di Stato del Vaticano. La permanenza qui fu di otto anni e più giungendo così a conseguire la Licenza in Sacra Teologia presso la Università Gregoriana, mentre dopo l’ordinazione sacerdotale conseguirà il titolo di Baccelliere in Utroque Jure presso la Pontificia Università Lateranese. Grosso modo il periodo di formazione vede Salvatore andare a Caserta dal 1927 al 1932, da qui passa a Benevento fino al 1937 (oppure 1934-35 in assenza della frequenza del ginnasio, cosa da verificarsi ancora ) e poi a Roma dove resterà fino al 1945 per l’ordinazione sacerdotale e per un breve periodo successivo per baccellierato. Va ricordato il ruolo importa nella formazione di Salvatore del sostegno economico della zia Maria d’Angelo e del fratello Antonio, e quest’ultimo anche dopo il matrimonio, doveva lasciare a casa parte dello stipendio per la famiglia d’origine e in particolare per le spese di studio e le esigenze di Salvatore. Zia Maria, non avendo figli ha, di fatto, prese in carico la maggior parte delle spese di zio don Salvatore, che non erano di poco conto considerando che sia a Caserta, che a Benevento, ma soprattutto a Roma bisognava pagare in anticipo e in modo preciso, sia per la retta che per i libri e le altre occorrenze. Ruolo della famiglia - At 20, 35: Gesù disse: «Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!» Per tutto il periodo della formazione Salvatore sarà sostenuto dalla famiglia, in particolare da zia Maria (che non avendo figli si occupò prima di Rosa figlia di Elena D’Angelo e poi di don Salvatore), coniugata Cotugno, titolare dell’unica salumeria di via Troiani e del circondario; da zia Rosa altra sorella del padre senza figli e relativamente da papà quanto più invece dal fratello primogenito Antonio, il quale, anche dopo il matrimonio doveva cedere una parte dello stipendio per la famiglia d’origine e in particolare per Salvatore, per i suoi studi e le sue esigenze. Esigenze sì, perché, Salvatore soffriva di enuresi notturna e quindi la mamma, e talvolta anche la cognata, la fidanzata poi moglie del fratello Antonio, e/o la sorella Giuseppina (che inizialmente avrebbe dovuto accudire don Salvatore ma essendo a Roma e poi avente quattro figlie non poteva occuparsi di lui da qui la cugina Rosa “Rusinella” Tagliafierro e le due nipoti, cosa che farà prima la cugina e poi le due figli in primis Elena e poi anche Maria “Marietta”. Rosa Tagliafierro (esule da Pola nel 1941 con il marito per quattro anni prigioniero in Africa) era figlia della figlia della sorella del papà di don Salvatore, Elena D’Angelo, e al tempo della prima colonia con gli altri sfollati della guerra vivevano in locali nei locali bassi che si affacciavano nel cortile della Caserma Bixio. Rusinella si ricorda che in occasione della nascita del sacerdote si diedero il prima bacio), dovranno correre, con carretto o senza, a Caserta prima e Benevento poi, fino all’età di 14 anni circa, a cambiare materasso e lenzuola al giovane seminarista studente onde evitare che venisse dimesso. Quindi oltre ai costi della retta, dei libri e quant’altro necessario la famiglia doveva sottostare anche a questa esigenza. Si ricorda che, anche a Benevento e Roma, il papà Domenico o il fratello Antonio, o comunque entrambi, anche e spesso muniti di bicicletta dovevano portarsi a Benevento e Roma a pagare la retta di Salvatore. Lo spirito e il ruolo della famiglia per Salvatore e poi don Salvatore resterà sempre lo stesso, la famiglia deve essere funzionale alla sua missione, prima quella sacerdotale, e dopo questo scoglio, quella della Casa del Fanciullo. E così è stato, ed è evidente dalle tante testimonianze raccolte nel corso di questa indagine. La famiglia doveva dare senza ricevere, del resto anche nei suoi testamenti chiarirà lui stesso come alla famiglia ha chiesto senza dare. Alla famiglia ha dato le preoccupazioni umane di quanto era sofferente perché magari qualcosa non andava al Villaggio, mancavano soldi o non stava bene fisicamente. La famiglia, anche come ricordato nel testamento, doveva essere al servizio del sacerdote e del Villaggio e non viceversa. Don Salvatore alla famiglia chiede di mettere in pratica il suo motto: “Non chiedere mai, ma dona. Dona agli altri la gioia di dare”, che secondo taluni era stato coniato da Salvatore Cardillo. Alla famiglia don Salvatore ha sempre chiesto, al padre “ha rubato” in “campagna” e nel deposito per dare ai suoi orfani, al padre chiedeva, dopo la riconciliazione (inizialmente il padre non accettava la scelta del giovane figlio) di portare i frutti del suo lavoro agricolo ai piccoli del Villaggio e se qualche collaboratrice dalla cucina, di nascosto dava al padre un formaggino, don Salvatore prodigo ogni qualvolta tornava dalla cucina a farlo accomodare nel suo ufficio e fargli svuotare le tasche. La famiglia deve dare senza ricevere. E perché tale sia il risultato del suo agire don Salvatore starà bene attento a prendere le distanze dal coinvolgimento della famiglia in tutte le sue attività, ovvero anche a fare in modo di non far interessare la famiglia delle cose che segue lui direttamente, come nel caso della politica anche se qui non la spunterà perché il fratello, primogenito, Antonio prima e il nipote, figlio di questo, poi diventando anche suo allievo, seguiranno questa passione in modo attivo. La famiglia era dunque quella a cui rivolgersi per una parola di conforto a con cui sfogarsi per i problemi economici e non solo sorti magari per le vicende delle sue attività. Ciò perché all’esterno doveva essere sempre sorridente e sereno. La famiglia era quella che doveva supportare in caso di interventi economici stando attenda, come ricorderà l’on Elio Rosati in un video trasmesso in occasione dell’ottantesimo compleanno di don Salvatore al Villaggio dei Ragazzi, nel gennaio del 2000, a evitare di richiede seppur in parte il tanto fornito a discapito della sussistenza della famiglia stessa. Come si svilupperanno i rapporti familiari è evidente, di supporto e basta. Don Salvatore, con la famiglia, decide di tenere in piedi un solo cordone ombelicale, quello con il fratello più giovane Peppino. E sarà lui l’anello di congiunzione con tutta la famiglia, e sarà l’unico fintantoché non raggiungerà l’età per esserne discepolo, allievo Francesco (Franco) d’Angelo, il figlio del fratello Antonio. Si consideri che un familiare molto stretto per lungo tempo fece anticamere, per giorni se non settimane, e don Salvatore non lo voleva ricevere perché sapeva che la visita era legata alla richiesta occupazionale del figlio. Insomma, perché la cosa andasse a buon fine il familiare dovette chiedere la raccomandazione all’on. Elio Rosati per parlare con il congiunto e fare assumere il figlio. A Rosati don Salvatore non poté dire di no e il ragazzo fu assunto. Precursore del Fundraising Tutto il percorso fu sostenuto dalla famiglia (oltre alle zie si sottolinea l’apporto economico del fratello Antonio) che da sempre ha fatto proprio il passo biblico «Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!» (At 20,35). Salvatore lo fece proprio al punto da essere considerato un precursore italiano del Fundraising. Lo spirito e il ruolo della famiglia per Salvatore e poi don Salvatore resterà sempre lo stesso, la famiglia deve essere funzionale alla sua missione, prima quella sacerdotale, e dopo questo scoglio, quella della Casa del Fanciullo/Villaggio dei Ragazzi. E così è stato. La famiglia doveva dare senza ricevere, del resto anche nei suoi testamenti chiarirà lui stesso come alla famiglia ha chiesto senza dare e nulla doveva essere riconosciuto. Si ricorda, ad esempio, che per la famiglia erano riservate le preoccupazioni umane di quanto era sofferente, non solo fisicamente, e perché magari qualcosa non andava alla Casa/Villaggio: di sovente mancavano soldi. Don Salvatore alla famiglia chiede di mettere in pratica il suo motto: “Non chiedere mai, ma dona. Dona agli altri la gioia di dare”. Va detto che tanti sono stati, anche, gli autori, i letterati, i poeti, che hanno argomentato su questo principio della “gioia” che si “riceve” dal “donare”. Tra questi, e probabilmente sarà stato anche letto da don Salvatore, vi è Khalil Gibran. Il poeta, libanese, è da ritenere che don Salvatore abbia potuto leggerlo, così come la poesia che seguirà, e forse condividerla con i bambini del Libano, proprio con l’avvento di questi bambini del Libano che sul fine degli anni ’80 ospitò don Salvatore nelle strutture del “Villaggio dei Ragazzi” e di cui si ricorda la famosa messa interreligiosa. Messa, forse, realizzata sulla spinta anche dell’incontro avutosi ad Assisi per iniziativa di Giovanni Paolo II con i rappresentanti delle religioni del mondo. Ecco la poesia di Khalil Gibran più volte richiamata, essa ha per titolo “Parlaci del Dare” e in essa si legge “Vi sono quelli che danno con gioia ed è questa gioia la loro ricompensa”. Della gioia del dare don Salvatore d’Angelo ne parla nel Testamento dove si legge all’articolo 2: “Sento anzitutto il dovere di evidenziare che sono stato educato dai miei genitori, dagli zii Maria e Domenico Cotugno, dal mio padrino-parroco Giuseppe Santonastaso ad essere sempre più generoso ed altruista. I valori così acquisiti sono stati consolidati in me, successivamente, dalle esortazioni di Moriondo, Gagnor e mangino, eccellentissimi Vescovi di Caserta. “Non chiedere, ma dona. Dona agli altri la gioia di dare”. A tali principi ho, dunque, cercato di uniformare il mio stile di vita. Non ho mai posseduto, difatti, alcunché, né oggi ho qualcosa di mio. Ho rinunciato a tutto e mai ho ceduto al rammarico”. Che c’entra don Salvatore d’Angelo con il Fundraising? È presto detto, facendo le opportune premesse. Che cosa è il Fundraising? È “l’Arte Gentile d’Insegnare la Gioia del Donare”. Quando dove e con chi nasce il Fundraising? Nasce con la Fund Raising School in San Francisco ad opera di Henry A. Rosso e di due suoi collaboratori nel 1970. La stessa scuola si trasferì a Indianapolis nel 1988, è un anno per opera dello stesso Henry A. Rosso nasce il Center on Philanthropy at Indiana University, specializzato nell’“aumentare la comprensione della filantropia e migliorare la propria pratica attraverso la ricerca, l'insegnamento, e di servizio pubblico”. Ebbene, quindi, fare Fundraising , significa mettere in pratica “qualsiasi forma di ricerca diretta o indiretta di risorse finanziarie, proprietà o crediti, beni materiali utilizzata per fini di solidarietà, promozione sociale e culturale”. Questo è o non è quello che don Salvatore d’Angelo ha fatto dal 1947? E la Fund Raising School nasce o non nasce nel 1970? Se tanto, mi da tanto, don Salvatore è stato un precursore del Fundraising. Non a caso, “Rosso [stesso] sosteneva che il fund raising è l'arte di insegnare alle persone la gioia di donare” Don Salvatore, tra le altre cose, non si è occupato solo del fundraising, ovvero della complessa attività atta alla creazione di rapporti di interesse fra chi chiede risorse economiche, materiali e umane in coerenza con lo scopo statutario e chi è potenzialmente disponibile ad erogare, ma ha pensato anche “People Raising”, pratica molto più recente rispetto al fundraising, ovvero si è preoccupato di ricercare e rendere adepti (e nel corso delle testimonianze abbiamo avuto già qualche anticipazione in tal senso e se ne avranno altre testimonianze a seguire) nuovi volontari per il presente o per il futuro al fine di attuare gli scopi sociale della sua opera. E le persone, anche perché ben motivate dopo aver loro spiegato loro il fine per il quale sono state coinvolte, si sono fatte avanti e hanno offerto liberamente il loro contributo, soprattutto perché hanno compreso le esigenze dell’Opera. Ancora don Salvatore non ha mancato di curare quella che viene chiamata la fundraising oriented, ovvero l’azione comunicativa e relazionale verso il donatore che diventa non occasionalmente legata all’Opera ma stabilmente. I biglietti, il giornale, i raduni con gli ex allievi, i grandi eventi con amici e cittadinanza, etc ne sono una prova concreta. In breve, con decenni di anticipo, da lungimirante quale era, don Salvatore ha attuato il fundraising come sistema integrato e dinamico. Amicizie Romane Salvatore a Roma frequenterà gli ambienti del Partito Popolare di don Luigi Sturzo (don Salvatore racconta ai suoi amici di andarlo a trovare spesso dalle Canossiane) e lo stesso sacerdote. Sarà attivo negli ambienti romani, cosa che gli consentirà di avere continui contatti, tra gli altri, con Alcide De Gasperi e Aldo Moro, oltre che l’amico storico Giulio Andreotti. In quegli anni frequenta in Vaticano il corso di biblioteconomia tenuto da De Gasperi e di cui è allievo anche Giulio Andreotti. Tante le amicizie negli ambienti partigiani e in quello del Partito Popolare Italiano poi Democrazia Cristiana e formazione giovanile in ambiente Cattolico. In quegli anni collaborerà con la Fuci con la presidenza di Aldo Moro proposto da don Giovanni Battista Montini (Paolo VI) assistente spirituale del sodalizio, a cui successe l’amico comune Giulio Andreotti. Furono questi gli anni in cui si andavano meglio consolidando i rapporti tra don Salvatore e le persone che nel tempo hanno ricoperto i più alti incarichi vaticani. Altro luogo di incontro che gli favorì il consolidamento dei rapporti nonché l’inserimento nell’ambiente partigiano, partecipando anche a manifestazioni ed in una di queste fu “fermato” dalla polizia per diversi minuti e poi fu rilasciato, della cui realtà fu componente con tanto di tessera fu quello dell’ICAS cioè dell'Istituto Cattolico di Attività sociale riorganizzato da don Giovanni Battista Montini su richiesta probabilmente di mons. Eugenio Maria Giuseppe Giovanni Pacelli, dal 1939 noto con il nome di Pio XII. In questo contesto si darà vita anche all’Associazioni cattoliche dei lavoratori italiani (Acli). Oltre che Montini, anche Pacelli, alias Pio XII conosceva Salvatore, se non altro per il suo impegno all’interno dei movimenti, di cui sopra, per la guida e l’istruzione dei cattolici. Pio XII ebbe Salvatore, poi don Salvatore d’Angelo come ospite, sia prima che dopo l’ordinazione. Il seminarista prima e il novello sacerdote, dopo, era di casa in Vaticano, e tanti, ad iniziare da quello che poi fu il Cardinale Giovanni Benelli (suo principale riferimento vaticano e spirituale), suoi compagni di studio lo accoglievano e sostenevano, così come sostennero la Casa del Fanciullo poi Villaggio. In questo ambiente dell’ICAS come nell’ambiente dei Paolini Salvatore si faceva apprezzare e consolidava rapporti e amicizie sincere. Pio XII si attivava di sovente con Suor Pascalina Lehnert, suora tedesca sua assistente, perché ai fanciulli dell’amico sacerdote maddalonese arrivasse il necessario. In quegli anni don Salvatore accedeva liberamente nel territorio vaticano e spesso acquistava presso la farmacia di quello Stato, a proprie spese ogni sorta di medicinale per i bisognosi maddalonesi (indipendentemente dal colore politico o stato sociale e comunque a spesa del sacerdote) e non che necessitavano dei farmaci, spesso introvabili altrove. Sostenitore dell’intercultura e del dialogo interreligioso Prima ancora di affrontare il tema interreligioso va affrontato quello interculturale o del semplice colore della pelle perché nel dopo guerra a Maddaloni anche poteva essere “ordinario”. Basti pensare al caso di un piccolo, ma importantissimo riferimento ad un bambino che oggi, adulto, vive in Svizzera , accolto nella Casa del Fanciullo nel 1948. Era maddalonese, d’origine italo-americana e, lo si può immaginare, proveniente da una situazione familiare per niente florida… Si tratta di Tommaso dell’Anno, affettuosamente da tutti chiamato Tommasino. Lo stesso di colore scuro (frutto della breve permanenza anglo americana a Maddaloni in pieno conflitto bellico), a cui nel corso dei servizi giornalistici è stata dedicata anche una particolare visibilità fotografica del tempo, in particolare è apparso anche in foto sul bordo della fontana del cortile principale della Istituzione maddalonese. Ebbene è rilevante ciò in quanto questo bel bambino era un po’ diventato la mascotte della Casa del Fanciullo, poi Villaggio dei Ragazzi. Tutto questo lo si dovette a don Salvatore, e ai suoi collaboratori, tra cui Angioni, che inculcarono nei bambini, sentimenti d’integrazione, rispetto ed uguaglianza. Non li educarono al razzismo, perché Tommasino aveva la pelle nera per via della sua origine, ma ciò non era un segno di discriminazione. S’integrò talmente bene questo bambino nella Comunità fondata da don Salvatore d’Angelo, che partecipò a dei saggi sportivi di cui oggi siamo in possesso di contributi fotografici del tempo, che sicuramente si realizzò tra gli anni 40 e sicuramente gli anni 60. A questo bambino s’affezionarono moltissimo un po’ tutti e la stessa Ida Santonastaso gli portava le sfogliate napoletane. Il tema del fratello di altra Fede è sempre impresso a Salvatore al punto che, avendo preso l’abitudine nel corso del tempo di omaggiare i consiglieri comunali di Maddaloni con delle opere, in occasioni come Natale e Pasqua, ci ritroviamo a vedere come testi regalati, oltre la Bibbia e la Divina Commedia, il Corano, e altri volumi di religione non cristiana. Ciò perché, come ricorda il nipote Francesco d’Angelo (suo erede spirituale con le sorelle Elena e Maria Lombardi), per lui l’uomo è uomo per cui non gli interessava la fede religiosa o l’appartenenza politica, e più era nel bisogno più era cosa sua l’interessamento per le sue sorti. Don Salvatore, dunque, un ecumenico e sostenitore del dialogo interreligioso, avendo, tra l’altro, nel tempo avuto modo di ospitare fanciulli di altre culture (albanesi, africani, etc) e qui rispettandovi le regole del culto di appartenenza. Tra le altre cose si ricorda che nel Villaggio di Maddaloni, dopo il drammatico approdo a Brindisi delle navi cariche di profughi, nel 1991, vennero ospitati i due bambini albanesi “adottati” da Giulio Andreotti. A ciò si ricollega l’estate del 1988 allorquando in Italia si ospitò un congruo numero di minori libanesi, parte alla cura del Villaggio dei Ragazzi. Sul finire di detta estate nella Colonia del Villaggio dei Ragazzi, in Torre Pedrera (Rimini), fu fatta una messa “interreligiosa” testimonianze stampa e fotografiche ricordano l'evento e don Salvatore ne fu l’artefice. Circa questo tema e la sua apertura mentale è da considerarsi la grande attualità del sacerdote che negli ultimi anni di vita mise a disposizione dell’Amministrazione Provinciale di Caserta la sede di Villa Santamaria, in Maddaloni e di proprietà del Villaggio dei Ragazzi, quale Osservatorio Islamico, la cui gestione fu affidata all’Istituto Universitario Orientale di Napoli. Nel febbraio 1999 la Fondazione Villaggio dei Ragazzi concede in comodato gratuito alla Provincia di Caserta, Villa S. Maria consegnata ufficialmente all’Istituto Universitario Orientale, da quel giorno Maddaloni diventa sede del Centro di Studi Islamici che purtroppo nonostante i numerosi sforzi di don Salvatore, i comodatari ne hanno fatto solo una costruzione abbandonata e disabitata. Il progetto con tempo non decollò come ci si aspettava, ricordiamo che da parte di don Salvatore vi fu il solo uso gratuito e non la gestione che ricadeva nel progetto che coinvolgeva sia l’Amministrazione Provinciale di Caserta, al tempo a guida Ventre, che l’Università. Don Salvatore credeva molto nell’opportunità di questo osservatorio e certo non sarà rimasto contento quando la progettualità non è proseguita e attualmente la struttura è abbandonata. Nell’ottica dell’accoglienza e intercultura, dialogo interreligioso don Salvatore nel 1988 don Salvatore accoglie al “Villaggio dei Ragazzi”, 45 bambini ospiti libanesi. Università e giovani universitari Don Salvatore d’Angelo era molto vicino al mondo universitario. Mise a disposizione degli universitari maddalonesi, rappresentati nel CUM, Circolo Universitari Maddaloni, i laboratori del Villaggio dei Ragazzi per la preparazione, nei mesi di maggio di ogni anno, della festa della matricola. Nei laboratori i giovani preparavano cartelloni e carri allegorici per poter fare il processo alla matricola che si svolgeva nella Piazza dei Caduti o Piazza della Vittoria. Nell’ambito del mondo universitario oltre al CUM nacque il CUAC, Centro Universitario di Attività Cristiana, fondato tra l’altro da Vincenzo Santangelo, i fratelli Ceci: Giuseppe – detto Peppe - (cognato dell’on. Gaetano Vairo) e Luigi; ed ancora i fratelli Aveta, Salvetti, Pasquale Razzano, Alfonso Grimaldi e tanti altri fondatori. Don Salvatore cedette al CUAC gratis gli ex locali della cittadina ACLI (di cui era il titolare del contratto d’affitto), in via Marconi, presso l’ex cantina di Bainette. In quegli anni per i giovani di formazione espressamente cattolica erano anni duri, erano gli anni del 1968/1970, le posizioni andavano estremizzandosi e non erano riconosciuti quelli del CUAC nel circolo universitario maddalonese, in quanto fin troppo laicizzato. Poi come ben è noto il 68 ha dato origine a quei fenomeni deprecabili del terrorismo, vera disgrazia per l'Italia. In questa situazione del CUAC, don Salvatore mostrò nei riguardi degli aderenti grande sensibilità e disponibilità e non influenzò mai la loro linea. Va detto che a seguire i giovani universitari maddalonesi era don Salvatore Izzo il cui legame con don Salvatore d’Angelo era molto forte e collaborativo, come l’occasione di svago delle serate primaverili che vedevano i due passeggiare su e giu per il corso cittadino confrontandosi sulle tematiche più disparate. Parlare dell’Università porta alla memoria come lo stesso sacerdote, si sia battuto, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, perché la Seconda Università di Napoli avesse sede a Maddaloni presso il Villaggio e il Rettorato nel Convitto Nazionale “Giordano Bruno”. Il suo rammarico sarà evidente in una pubblicazione documentale del settembre 1992. Don Salvatore è stato sempre a sostegno dei giovani studenti, anche delle scuole superiori ai quali offriva il salone per le feste dei MakP. Innanzitutto, aveva bisogno di conoscere gli organizzatori li chiamava e li incontrava nel suo studio per avere le opportune rassicurazioni. Carlo Scalera, inoltre, ricorda che per meglio forgiarli finanzio a un gruppo di giovani studenti un viaggio in aereo a Santa Ninfa, paese del Belice distrutto dal terremoto. In quella stessa terra dove un giovane Antonio Riboldi si battè per quella popolazione, lo stesso che da Vescovo fu amico e ospite sovente di don Salvatore e del Villaggio di Maddaloni. Non solo universitari ma anche lavoratori e universitari allo stesso tempo e da qui nel 1968, con la collaborazione anche di don Matteo Coppola ed altri decide di far nascere a Maddaloni la sezione del Movimento Cristiani Lavoratori da dedicare a “Vincenzo Sarracco” che era stato collaboratore di don Salvatore, e la prima sede era destinata al quartiere de “mulini”. E, ricorda Giuseppe Vigliotta, la stessa Cisl a Maddaloni giunse e ebbe sviluppo per intervento e volontà di don Salvatore d’Angelo. Sviluppo locale Ed ancora si ricordano le iniziative a favore della localizzazione del CIRA a Maddaloni (don Salvatore con tanto di suo editoriale – “Storie del Sud che, manco a dirlo, sembra destinato a rimanere, nonostante tutto, sempre più profondo. Storia d’una città in cerca del suo futuro: un grande futuro, è fuor di dubbio ma, purtroppo, già dietro le spalle?”- dedicherà all’argomento uno Speciale de “Il Corriere della Campania” del 26 luglio 1986), anziché a Capua, cosa iniziale prevista e poi, sembrerebbe per ragioni politiche, non concretizzatasi. In tal ottica si vedano anche gli indirizzi di studi, per primi in assoluto nel territorio, di tipo aeronautico, che ha introdotto la sua Fondazione maddalonese. Collegato al CIRA, almeno negli ultimi mesi, è il MaCriCo di Caserta, altra monumentale opera che don Salvatore, nel corso della sua lunga presidenza dell’Istituto Sostentamento Clero della Diocesi di Caserta è riuscito a restituire a Diocesi e Città di Caserta. Nel corso della sua presidenza all’Istituto economico della Diocesi sono state inventariate le proprietà e messo realmente in ordine i conti. Ha ricoperto anche altri incarichi diocesani, come nell’ambito dei Beni Culturali, o foraniali quale viceparroco di San Benedetto. La sua figura è stata primaria e di influenza. Don Salvatore ha avuto la capacità di influenzare tutti, anche per il passato, quando il suo Villaggio dei Ragazzi non era quello che ha lasciato quando è morto, nel suo piccolo riusciva ad arrivare dovunque. Riusciva ad affrontare tutte le situazioni. E per questa cosa era capace di andarsi a immischiarsi in tutte le situazioni precarie, agitate, problematiche. A chi gli chiedeva perché si andava ad inserire in situazioni che prima o poi si trovano inserite in contesti problematici a cui far fronte piuttosto che portare a casa qualche “opportunità” positiva senza rimetterci, lui replicava che era fatto così, che gli avevano insegnato a cercare e lasciarsi coinvolgere dove c’è bisogno di dare una mano piuttosto che trarne profitto. Don Salvatore è stato uno dei primi sostenitori delle cooperative a Maddaloni favorendo l’occupazione locale, con sviluppo dei servizi in ambito pubblico e privato. Essendo assessore ai lavori pubblici e vicesindaco di Maddaloni nel periodo 1957/1961 si adoperò per l’insediamento a Maddaloni della Face Standard Spa per lo sviluppo industriale nel ramo telefonico della multinazionale. Si consideri che al di là dell’impegno di cui in seguito si parla, don Salvatore per i primi due mesi di avvio della fabbrica, era stabilmente presente per l’organizzazione degli operai avendo la giusta esperienza nell’organizzare la complessa e polivalente macchina del Villaggio compreso i laboratori interni. La Face Standard nasce per volontà di don Salvatore e sui terreni della parrocchia di San Benedetto Abate (magari pagati alla parrocchia e dunque alla Diocesi), della famiglia Tedesco e di proprietà della cognata Maria Tedesco, moglie di Antonio, ove intervenne il sacerdote a nome e per conto dell’ignara cognata e dei cugini del sacerdote della famiglia Ferraro (commercianti di frutta) di altri come gli Ocarino che in cambio del terreno ebbero delle occupazioni in famiglia. Intanto a questi appena citati per circa venti milioni di lire i terreni non sono stati mai pagati per il bene della città e de suo sviluppo lavorativo. La stessa parrocchia avrebbe dovuto avere pari terreni concessi (la maggior parte) in altra area di Maddaloni così mai avvenuta. Ma anche il terreno della detta Maria Tedesco ceduto al comune nella persona del Sindaco Salvatore Cardillo per poterlo a sua volta cederlo alla curia per il detto ragionamento ha qualcosa di strano in quanto l’atto di cessione, redatto dal notaio Delli Paoli, porta la firma della cedente che era analfabeta e quindi non sapeva scrivere ma la grafia ricorda molto quella di don Salvatore. Un escamotage per il bene della città ed infatti Antonio d’Angelo che sapeva dell’operazione del fratello, per quanto fossero rivali politicamente, non gli ha mai contestato questa operazione (a suo danno economico) per il benessere della città. Intanto anche in Consiglio comunale si dovette il 20 luglio 1961 deliberare per la sottoscrizione di un prestito cambiario con il Banco di Napoli di 12 milioni di lire per l’acquisto del terreno, poi ceduto alla Face Standard Spa. Si consideri che la scelta del terreno non fu casuale, infatti, in quegli anni assistiamo a uno sviluppo industriale che si va localizzando sostanzialmente lungo la grande rete viaria costituita dall'Appia, che per Terra di Lavoro interessa la tratta Sessa Aurunca – Maddaloni. Da dove viene la Face Sandard Spa? Ebbene bisogna risalire al 1930 allorquando la Western Electric Italiana, presente in Italia dal 1909 con la realizzazione di impianti ed apparecchi telefonici, diviene una Divisione della FACE (Fabbrica Apparecchiature per Comunicazioni Elettriche) con sede a Milano. Poi, negli anni ’50 la FACE STANDARD Spa diventa parte della ITT (International Telegraph & Telephone) Corporation. Ma come si è arrivati alla Face Standard? Siamo nella seconda metà degli anni ‘50, ricorda Michele Zimbardi, allorquando un gruppo di ex allievi, fuoriusciti dopo la formazione, alla ricerca di lavoro, ebbero l’opportunità di accedere a un concorso promosso dallo Stato attraverso il CIME per corso di formazione che si doveva fare in Sicilia a Messina per tornitori e aggiustatori e il lavoro era poi da svolgersi in Brasile. Il pagamento era tutto a carico dello Stato così come anche la borsa di studio a chi partecipava che ogni quindicina pagava il 50% del dovuto e l’altro 50% totale sarebbe stato pagato solo a coloro che fossero andati in Brasile (50 tornitori e 50 aggiustatori). Il gruppetto di otto – che nel Villaggio avevano conseguito con la Scuola “Osvaldo Conti” la Licenza Tecnico Industriale, ovvero due anni dopo la Scuola di Avviamento professionale sempre fatta nel Villaggio dei Ragazzi - fece la domanda e furono accolte per cui prima di partire passarono a salutare don Salvatore a cui raccontarono il tutto al che il sacerdote, pur celando la cosa, ebbe a commuoversi e infatti celere fu il gesto di prendere il fazzoletto nella manica della talare per asciugarsi gli occhi. La scusa, avendo notato gli astanti la cosa, disse di essere raffreddato. Don Salvatore non accettava che dopo tanti sacrifici, dopo la formazione i suoi ragazzi dovessero andare così lontano. Senza dimenticare che già genitori e fratelli, nel mentre e dopo la guerra, avevano cercato e trovato lavoro in Svizzera, Germania e altri Paesi del Nord Europa o oltre oceano se non fortunati nel Nord Italia. Don Salvatore inizio a pensare cosa fare e nel mentre disse ai ragazzi di andare nella zona de “mulini” dove si trovava un calzaturificio e farsi consegnare a nome suo delle paia di scarpe da portare al seguito in Sicilia per il corso semestrale da seguire. Intanto si riaggiornò con i ragazzi a breve. Nel frattempo, inizio il sacerdote a pensare come risolvere il problema di questi e di tanti altri giovani. Celere fu la telefonata all’amico Giulio per individuare uno stabilimento americano che desse le garanzie occupazionali sul suo territorio. Da qui l’amico Giulio gli fisso un incontro presso la sede di Milano della Face Standard dove il sacerdote andò con il sindaco pro tempore, Salvatore Cardillo. Qui i funzionari della multinazionale chiesero il terreno e le infrastrutture, strade, acqua, etc. E don Salvatore diede garanzia, alla presenza del sindaco un po’ preoccupato per le esigenze ma rassicurato allo stesso tempo per l’impegno diretto dell’amico sacerdote, e in un anno, record probabilmente per questo tipo di iniziative la sede della Face Standard vide la luce. A fine lavori don Salvatore fece preparare un pranzo per tutte le maestranze che addirittura fu portato con i camion alla nuova sede della fabbrica maddalonese. Nel frattempo, finito il corso a Messina, ricorda Zimbardi, piuttosto che partire per il Brasile, in vista del lavoro alla nuova fabbrica maddalonese, ci si adoperò a cercare altri lavori e lui andò in una fabbrica a Napoli. Ma il suo ruolo non finì perché a chi era andato a Messina a formarsi ora spettava il compito di formare chi non era andato iniziando dagli allievi fino agli ex allievi a cui era destinato il lavoro alla Face Standard e anche dopo l’apertura della fabbrica i corsi di preparazione, oramai consolidata la formazione per le specifiche esigenze della Face Standard, avvenivano nel Villaggio e tra questi anche una giovane che proveniente dal napoletano sarà poi sposa adorata dello stesso Zimbardi. Cosa non nuova perché tanti nuclei familiari sono nati tra le mura del Villaggio e tanti matrimoni (cerimonie, mobilio e lavoro magari per l’imminente crescita familiare) sono stati benedetti e realizzati grazie al sacerdote, anche per coloro che con la sua fondazione non avevano nulla a che fare. Una ricostruzione storica dei fatti dell’inaugurazione della Face Standard viene fatta fa il cav. uff. Salvatore Borriello, che è stato dipendente della stessa fabbrica. Nel suo ricordo, oltre a ribadire la forte volontà di don Salvatore d’Angelo, al tempo anche Assessore ai Lavori Pubblici della comune, ricorda come i lavori di realizzazione iniziarono nel corso 1960 e per la fine dell’anno erano quasi del tutto completati e quindi le prime assunzioni si ebbero nel 1961 con ragazzi maddalonesi preparati ad affrontare il nuovo lavoro proprio nel Villaggio di don Salvatore doveva avevano partecipato a corsi di formazione adeguati al lavoro da svolgere nel complesso delle telecomunicazioni elettriche come quelli guidati anche da Zimbardi. Non si perse tempo a iniziare i lavori tanto è vero che don Salvatore, per essere concreto, fece avviare le attività anche senza inaugurazione che avvenne a distanza di qualche mese dopo. Infatti, l’inaugurazione avvenne domenica 1° aprile 1962 dalle ore 11,30, con la partecipazione del Presidente della Camera on. Giovanni Leone, il Ministro dell’Industria e Commercio on. Emilio Colombo, di S.E. l’on. Crescenzo Mazza Sottosegretario di Stato alle Poste e Telecomunicazioni e altre autorevoli personalità politiche, civili e militari. La stampa dedicò molto spazio a tutta l’iniziativa sia locale che nazionale avendo un intervento dello stesso Sole 24 Ore, si consideri che al momento la Face Standard aveva sedi a Milano, Roma, Napoli e Maddaloni. Dalla stampa del periodo apprendiamo l’annuncio e la presenza anche della radio e della televisione. Quel giorno, autorità, clienti, tecnici, rappresentanti del mondo culturale e industriale cominciarono a giungere alla fabbrica verso le ore 10,30, impressionati dalla modernità ed efficienza degli impianti. Gli intervenuti erano ricevuti dai dirigenti e funzionari che al loro arrivo furono fatti accomodare in un salone ricavato in un lato del capannone di lavorazione in attesa dei macchinari per entrare in attività. Qui si attese l’arrivo del Presidente della Camera on. Leone, di S.E. Colombo Ministro dell’Industria e Commercio e di S.E. Mazza Sottosegretario di Stato alle Poste e Telecomunicazioni ed ancora del Vescovo di Caserta S.E. Mons. Magnino. Tra la commozione e l’entusiasmo generale, dal tavolo della presidenza, ove era seduto don Salvatore d’Angelo stabilmente, dove si alternavano i relatori fatta eccezione per gli illustri ospiti, intervennero, tra l’altro, il Presidente della Face Standard dott. Ing. Conte Carlo della Rocca de Candal che dice come l’inaugurazione dello stabilimento di Maddaloni sia un avvenimento di grande risalto per la Società e per i suoi collaboratori di ogni grado. Interverrà l’Amministratore Delegato ing. Carlo Roda; in rappresentanza del Sindaco, l’Assessore ai Lavori Pubblici di Maddaloni ovvero don Salvatore d’Angelo che parla anche dell’interessamento dell’amico Andreotti. Lo stesso ricordò l’impegno dell’amministrazione e l’importanza per la città e ancora di aver celebrato messa sul terreno il giorno di inizio lavori e lo stesso terreno con la fabbrica da lì a poco sarebbe stato benedetto dal Vescovo Mangino. Seguirono altri interventi e poi la visita dello stabilimento che naturalmente fu la parte più lunga della cerimonia. È interessante riportare un passo del benvenuto ufficiale dell’ing. Conte Della Rocca De Candal: «E veramente caro qui ricordare l’entusiastico fervore dimostrato per la nostra iniziativa, fin dalla prima ora, da don Salvatore d’Angelo, Assessore ai Lavori Pubblici: Don Salvatore benemerito fondatore e anima di quel meraviglioso Istituto che è il Villaggio dei Ragazzi, vanto di Maddaloni, la cui fama da tempo ha superato i confini di questa regione, e alla cui eccellente scuola di addestramento attingiamo notevole parte del nostro personale». La Face Standard è parte integrante del periodo di modernizzazione della provincia di Caserta, nella sua trasformazione da agraria a industriale, avvenuta tra la fine degli anni ’50 e la fine degli anni ’70, dove il primo insediamento ad arrivare fu nel 1957 la Saint Gobain e gli ultimi, agli inizi, degli anni 70 furono l’Olivetti e l’Indesit. Si consideri che secondo l’Istituto per lo Sviluppo Economico dell'Italia Meridionale nel periodo 1954 – 1962 sono stati finanziati per l’industria circa 60 miliardi di lire, di cui ben 42 nel triennio 60-62 ed in questi interventi rientra anche Maddaloni. Una ultima considerazione da fare è quella secondo la quale per un momento Maddaloni ha avuto come zoccolo economico, come reddito cittadino, il personale occupato e in pensione della Face Standard e della Fondazione del Villaggio dei Ragazzi, così da consentire ai buoni osservatori di capire come il sacerdote, tra la fabbrica, la sua fondazione, le cooperative e gli “aiuti” occupazionali e d’insediamenti vari, è stato un frangente l’artefice della spina dorsale economica del territorio. E don Salvatore, nell’ottica dello sviluppo e della professionalizzazione, aveva deciso di dare una nuova svolta. Infatti alla fine del 1999 chiamò Michele Zimbardi, già coinvolto nella formazione di coloro i quali andarono a lavorare alla Face Standard, e gli disse che aveva dei ragazzi che non andavano bene a scuola e forse non era il caso per loro continuare nei banchi di scuola. Però dal settembre successivo, settembre 2000 il primo dopo la morte, avrebbe voluto riattivare le officine e Zimbardi gli serviva come volontario istruttore per iniziare da capo una nuova avventura di opportunità per questi giovani. Don Salvatore purtroppo muore prima di riavviare nuovamente l’avviamento/le professioni artigiane che tutto sommato allora come oggi costituisce comunque una professione molto ricercata. Darsi all’altro anche dopo la morte Ultimo particolare sull’importanza dell’uomo, al di là dell’appartenenza religiosa e/o politica, è quello che lo vede il 28 novembre 1984 sottoscrivere il modello AIDO (Associazione Italiana Donatori di Organi) presso la sezione di Caserta. Anche il sorriso che resta nei cuori è segno tangibile di quanto ha lasciato agli altri, come ricorda Mario Iannotta il giorno della morte Il Corriere di Caserta l’indomani: «Vogliamo ricordarlo con l’immancabile sciarpa bianca e il rasserenante sorriso che gli illuminava il volto. Quel sorriso che addolciva le tempeste dello spirito e dava sicurezza e fiducia a quanti a lui si rivolgevano per un consiglio, una parola di conforto, un aiuto. […] Alla fine, don Salvatore vinse la sfida. Con il sorriso della certezza della fede». E su questa linea è intervenuto don Tommaso Acconcia riferendo la sua capacità di coniugare il divino con l’umano: «Il merito di don Salvatore d’Angelo è quello di aver saputo penetrare nella verità della fede cristiana, che va intesa come evento di apertura al Cristo, al mistero trinitario di Dio e agli uomini. La genuina comunione con Dio si traduce nel con-vivere con gli altri e per gli altri, con tutto l’entusiasmo e la passione del proprio cuore, seguendo la logica della fraternità, della gratitudine e della condivisione, riflessa nella storia del vivere trinitario di Dio. Don Salvatore nel dinamismo della sua vita quotidiana ha dato un esempio luminoso di come coniugare il divino con l’umano. La sua generosa testimonianza resta una ricchezza per la Chiesa diocesana e per la società civile». Circa il volersi dedicare agli altri anche dopo la morte, viene in soccorso una testimonianza di Maria Lombardi del 25 giugno 2015 in cui racconta come don Salvatore una settimana prima di morire avesse riferito ai bambini a che si stavano preparando all’Incontro con Gesù che loro tra breve non lo avrebbero più visto come prima perché lui sarebbe andato a preparare un “altro villaggio” dove sarebbero stati nuovamente ospiti. Un presagio della morte e un’anticipazione dell’impegno in paradiso. Partigiano e la fuga di Dino Grandi Salvatore, è stato un partigiano e in questa ottica di attività partigiana si deve inquadrare l’incarico che ebbe di salvare Dino Grandi, ovvero , all’uomo che fece cadere il duce Benito Mussolini. Ma come si giunse a ciò? Con l’invasione alleata della Sicilia nel luglio 1943 si complicò la situazione in Italia e così Grandi ebbe il pretesto per rovesciare Mussolini, infatti, riuscì a fare in modo che il Re Vittorio Emanuele III con il Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio 1943, con una sua mozione, recuperasse i suoi poteri costituzionali così da deporre Mussolini. Dopo aver vinto la mozione Grandi, e il mandato di arresto del Re per Mussolini subentrò Pietro Badoglio il quale non era cordiale a Grandi, che era ancora visto come un pericoloso e intrigante fascista. Quindi, Grandi, credendosi in pericolo sia dagli Alleati che dai nazisti fuggì in Spagna nel mese di agosto del 1943. Come avvenne ciò? Semplice fu prelevato dai d’Angelo (Salvatore e Antonio ) con un camion (viaggio che ha ripetuto in più occasioni con ospiti nascosti nel cassonato). Il sacerdote era nel cassonato e Grandi a fianco ad Antonio guidatore, salvo don Salvatore scendere e chiarire ai posti di blocco eventuali sul tragitto che erano persone religiose. A Capua piuttosto che proseguire per Napoli, anche perché si era fatto tardi e c’erano i briganti per le stradi, si decise di giungere a Maddaloni, qui Grandi pernottò e si rifocillò in casa dei genitori del sacerdote, in via Troiani, dove nacque il sacerdote stesso, e l’indomani dall’arrivo fece una abbondante colazione a base di due uova a occhio di bue preparate da Maria Tedesco, moglie del fratello Antonio. Tutta la notte Grandi non parlò anche perché per quanta fiducia potesse avere temeva sempre che potesse succedere il peggio. Dopo la colazione don Salvatore aveva da celebrare la Santa Messa presso la chiesa del SS: Corpo di Cristo, oggi Basilica Pontificia Minore, in piazza de Sivo e Grandi decise di accompagnarlo. Lungo la strada, per causa di forza maggiore dovettero passare per piazza Santacroce dove si affaccia la farmacia di Vincenzo Ferraro, qui probabilmente fu identificato da Giuseppe Ferraro (gestore e factotum della farmacia) - fascista doc - e al dire di qualcuno solerte a segnalare la presenza di indesiderati al fascio. Subito, da come ricordano le testimonianze, il factotum e figlio del farmacista capì chi fosse quella persona distinta che accompagnava il giovane sacerdote e vedendo la provenienza degli stessi capì immediatamente che questi era ospite della casa paterna in via Troiani. Anche se don Salvatore si affrettava a chiarire, come aveva fatto al padre e alla madre, che si trattava solo di un suo amico avvocato. Da qui, subito dopo la Santa Messa don Salvatore si mise in moto e si preoccupò immediatamente di affrettare il trasporto stesso in mattinata a Napoli presso delle suore affinché poi Dino Grandi potesse partire per salvarsi dal fascio con destinazione Spagna. Anche qui non è casuale il fatto che il Cardinale Luigi Maglione, come riferiscono le sue note biografiche, in quel periodo (Pierre Blet, “Pio XII e la Seconda guerra mondiale negli Archivi Vaticani”, Edizioni San Paolo 1999) per conto del Santo Padre rapporti con i rappresentati diplomatici di Spagna, Portogallo, Argentina e Ungheria per la salvezza di Roma e degli italiani, principalmente dunque gli indigesti ai nazi – fascisti. C’è da dire che, a parte don Salvatore che conoscenza vene l’identità del “ricercato”, per tutti in quei due giorni Dino Grandi, nel corso del viaggio e nel corso della permanenza a Maddaloni , era “l’avvocato”, solo l’indomani la stampa chiarì a genitore e fratello del sacerdote, coinvolti in questa “missione” con la madre che si preoccupò in casa di riservare ogni cura per questo avvocato. Certo dopo la conoscenza dei fatti al padre e al fratello un po’ di timore per lo scampato pericolo risalì. Certamente qualcosa già prima avevano compreso dato che don Salvatore a fianco al guidatore con in bella vista la sua talare per superare i controlli lungo il tragitto e il politico era nascosto nel cassettone coperto del camion. In questo periodo di attività partigiana, allorquando andava dormine al Verano, cimitero di Roma, faceva da staffetta con Felice Manfredonia (che con l’avvocato Renato Sena rappresentava la DC maddalonese, commissario della Democrazia Cristiana locale), altro maddalonese e primo segretario provinciale di Caserta della Democrazia Cristiana. Sappiamo, inoltre, che partecipò, alle Terme di Caracalla e nei pressi dell’Obelisco di Oxum e della Piramide di San Paolo, alle azioni studentesche antifasciste. In particolare, le sue competenze riguardavano l’individuazione di sicure postazioni per gli uomini della resistenza o idonei nascondigli per i renitenti, nonché il reperimento e la distribuzione dei viveri tra quanti svolgevano il servizio di vedetta. Don Salvatore, riferirà poi, che tra il 1939 e il 1944 ebbe modo di assistere con degli amici, tra cui Andreotti, Tupini, Dall’Oglio, Cingolani junior ed altri alle riunioni del costituendo Partito Popolare che vedevano il coinvolgimento di De Gasperi, Gonnella, Cingolani senior, Iervolino, Pastore, Grandi, Spataro, Gronchi ed altri oltre naturalmente, al rientro dall’esilio, di don Luigi Sturzo. Come la storia ci riferirà la casa di Giuseppe Spataro fu il luogo segreto della rinascita del Partito Popolare Italiano nella Democrazia Cristiana e con gli altri fondatori, al seguito anche di De Gasperi, con Andreotti, don Salvatore vivrà in prima persona questi importanti momenti. Altri personaggi frequentati in quel periodo sono Moro, Cassiani, Segni, Rumor, Colombo, Zaccagnini, etc, diversi dei quali tra cui Moro e Zaccagnini poi ospiti alla sua Fondazione maddalonese. Si ricordi che per la sua azione e partecipazione, oltre a subire il fermo di polizia per un giorno intero, essendo parte attiva nella guerra di liberazione meritò l’iscrizione all’Associazione Partigiani d’Italia. La Vita a Roma, Fuci e la crescita spirituale, culturale e relazionale Salvatore a Roma frequenterà gli ambienti del Partito Popolare di don Luigi Sturzo e lo stesso sacerdote. Sarà attivo negli ambienti romani, cosa che gli consentirà di avere continui contatti, tra gli altri, con Alcide De Gasperi e Aldo Moro, oltre che l’amico storico Giulio Andreotti. In quegli anni frequenta in Vaticano il corso di biblioteconomia tenuto da De Gasperi e di cui è allievo anche Giulio Andreotti diventerà amico stretto di quest’ultimo. Salvatore d’Angelo è da sottolineare il periodo in cui frequenterà e collaborerà con la Fuci dove fu presidente Aldo Moro dal 1939 al 1941 su candidatura dell’amico don Giovanni Battista Montini (poi Papa Paolo VI) che era assistente spirituale del sodalizio studentesco universitario, successe ad Aldo Moro nello stesso incarico Giulio Andreotti. Furono questi gli anni in cui si andavano meglio consolidando i rapporti tra don Salvatore e le persone che nel tempo hanno ricoperto i più alti incarichi vaticani. Don Salvatore forte dello spirito di sostegno ai giovani, anche a quelli universitari, data l’appartenenza alla Fuci, va da sé che anche a Maddaloni ha avuto modo di seguire questo tipo di sodalizio che per lungo tempo dovrebbe aver avuto come assistente don Salvatore Izzo, fondate della comunità di Nostra Signora di Lourdes in Caserta. Pio XII, Paolo VI e i rapporti in Vaticano Altro luogo di incontro che gli favorì il consolidamento dei rapporti nonché l’inserimento nell’ambiente partigiano, della cui realtà fu componente con tanto di tessera fu quello dell’ICAS cioè dell'Istituto Cattolico di Attività sociale riorganizzato da don Giovanni Battista Montini su richiesta probabilmente di mons. Eugenio Maria Giuseppe Giovanni Pacelli, dal 1939 noto con il nome di Pio XII. In questo contesto si darà vita anche all’Associazioni cattoliche dei lavoratori italiani (Acli) di cui don Salvatore fu anche assistente provinciale a Caserta. Oltre che Montini, anche Pacelli, alias Pio XII conosceva Salvatore, se non altro per il suo impegno all’interno dei movimenti, vedi sopra, per la guida e l’istruzione dei cattolici. Pio XII ebbe Salvatore, poi don Salvatore d’Angelo come ospite, sia prima che dopo l’ordinazione. Il seminarista prima e il novello sacerdote, dopo, era di casa in Vaticano, e tanti, ad iniziare da quello che poi fu il Cardinale Giovanni Benelli (suo principale riferimento vaticano e spirituale), suoi compagni di studio lo accoglievano e sostenevano, così come sostennero la Casa del Fanciullo poi Villaggio. In questo ambiente dell’ICAS come nell’ambiente dei Paoli Salvatore si faceva apprezzare e consolidava rapporti e amicizie sincere. Il Rapporto con Pio XII fu talmente sincero e gratuito ed è bello il ricordo della nipote Maria Lombardi, detta Marietta che racconta mentre don Salvatore era a colloquio con il Santo Padre nei suoi appartamenti privati, lei e la sorella Elena (che fu l’ombra di don Salvatore dalla colazione alla cena, segretaria e governante ed era per lei un rito abbottonare i 33 bottoni della veste talare del sacerdote), si intrattenevano con Suor Pascalina Lehnert, tedesca, la quale aveva cura di procurare ogni sorta di beni per i fanciulli dell’amico sacerdote. La suora è nota per aver assistito Pio XII fin dalla sua nomina a Segretario di Stato e aver avuto un ruolo determinante presso Pio XII nel corso della seconda guerra mondale in relazione alla persecuzione degli ebrei e tanto, anche un contributo filmografico lo ricorda, si adoperò per la salvezza di questi facendoli alloggiare presso pertinenze vaticane provvedendo al vitto e agli alloggi, ricorrendo alle offerte, che secondo la tradizione, il Santo Padre le mise a disposizione provenienti dai benefattori del Vaticano. Si ricorda che spesso don Salvatore partecipava alle udienze del Santo Padre e in qualche occasione ha anche portato i suoi fanciulli. L’omaggio ai caduti e l’A.N.M.I.G. e Fondazione La ricca documentazione d’archivio dell’Associazione Nazionale fra Mutilati e Invalidi di Guerra e Fondazione provinciale di Caserta con sede a Maddaloni offre uno spaccato della partecipazione e coinvolgimento di don Salvatore e del Villaggio de Ragazzi nei momenti istituzionali e di commemorazione. Dai verbali del sodalizio militare (la documentazione più interessante va dal 1957 al 1974) è evidente la partecipazione del Sacerdote e dei suoi ragazzi alla manifestazione, la presenza celebrante del sacerdote ed ancora momento di convivio tra coloro i quali hanno fatto parte del quel 4 novembre e n on solo ed i ragazzi del Villaggio con un pranzo per i poveri. La ricca documentazione d’archivio offre spunti piuttosto interessanti circa la disponibilità e collaborazione del sacerdote verso i reduci di questo evento storico e partecipanti al conflitto bellico sia prima che secondo mondiale, ed a testimonianza si segnala la concessione di una medaglia d’oro concessa dalla presidente provinciale nel 1966 (verbale del 29 maggio 1966) al medesimo sacerdote per l’assistenza, l’accoglienza e le donazioni di viveri e no agli stessi militari e loro familiari. Il Sacerdozio, dai chierici De Gasperi e Andreotti al segretariato a San Giovanni XXIII a Parigi Salvatore d’Angelo viene ordinato sacerdote il 31 marzo 1945 a Roma, nella chiesa Cattedrale di Roma, ovvero Basilica Pontificia Maggiore di San Giovanni in Laterano con consacrazione presieduta dall’arcivescovo Luigi Traglia che a distanza di pochi anni sarà assistente al soglio pontificio. Intanto aveva ricevuto gli ordini maggiori nei due anni precedenti ovvero il suddiaconato il 14 novembre del 1943 e il diaconato il giorno 8 ottobre 1944. Qui per l’occasione interverranno dei parenti maddalonesi tra cui Elena Lombardi quella cugina che lo assisterà per tutta la vita. La sua messa a Roma il 1° aprile 1945 nel Seminario Pontificio vedrà quale suo chierico Alcide De Gasperi, con la sua famiglia ovvero la moglie e le due figlie anch’esse studenti di un istituto francese a Roma avendole il regime escluse dalle scuole italiane. Sul fatto che gli abbia fatto da chierico c’è qualche dubbio, leggendo il memoradun del sacerdote degli anni ’90 anche se va in contrasto con i racconti che lo stesso ne faceva agli amici dove De Gasperi era il chierico, resta ferma la presenza e la partecipazione alla prima messa. Altro aspetto che va leggermente in contrasto con il ricordo, volendo mettere scientificamente a confronto le dichiarazioni dello stesso sacerdote, è legato alla scelta tra sacerdozio e scelta politica a cui si sentì chiamato don Salvatore nel 1944/1945. Infatti, come in qualche occasione ha raccontato don Salvatore e all’indomani della morte ha ricordato il Presidente del Senato Nicola Mancino fu De Gasperi nel ’44 a mettere il sacerdote davanti a una scelta: la carriera lo politica o la veste talare (la sua famosa “tonaca” di 33 bottoni ed infatti il clergyman lo indossò solo per i viaggi in America e Giappone). Il sacerdote scelse l’abito nero, e anche dopo un paio di anni, quando potè optare per la carriera ecclesiale scelse ancora l’abito del servitore e non del servito. Tornando ai giorni del sacerdozio, a distanza di qualche giorno alla prima messa, del neo don Salvatore d’Angelo, celebrata a Maddaloni il 3 aprile 1945, nella chiesa dell’Immacolata Concezione, oggi della anche Maria Santissima Immacolate, detta dei Cappuccini (per la precedente presenza dei padri francescani), intervengono gran parte dei colleghi del seminario francese e gli amici conosciuti durante la permanenza romana, tra i quali lo stesso Andreotti che gli fungerà da chierico per la sua prima messa a Maddaloni. In questa stessa prima messa A Maddaloni riceverà il Sacramento dell’Eucarestia l’altra nipote che lo assisterà in vita Maria Lombardi la quale, poi nel tempo, riceverà dono la “pagellina” dell’ordinazione sacerdotale di don Salvatore quale sua pagellina del primo incontro con Gesù. Subito dopo tornò a Roma dove l’attendeva l’ammissione all’Accademia Ecclesiastica e dunque il periodo di tirocinio a Parigi, dopo essersi fermato per l’estate a Maddaloni, estate 1945. Poco dopo, dunque, sarà a Parigi dal Nunzio Apostolico Angelo Giuseppe Roncalli, poi San Giovanni XXIII, a fargli da segretario per un periodo. Qui sarà almeno per tre anni di seguito a svolgere l’importante compito. È solo di un periodo la permanenza in Francia, nonostante le insistenze affinché si fermasse data non solo la sua abilità linguistica, che gli frutterà la partecipazione come interprete a tutti i colloqui con i cittadini d’oltralpe fatti con l’amico Giulio Andreotti, ma anche l’abilità burocratica amministrativa. Il forte grido, il richiamo di quella che era iniziata apparentemente come una semplice esperienza d’estiva nell’immediato dopoguerra dell’infanzia maddalonese lo portò a scegliere gli ultimi ai primi, la ricerca di aiuto per far mangiare, dormire e istruire orfani e diseredati al lustro della carriera diplomatica oramai spianatasi davanti. A Maddaloni don Salvatore, non tanto ben visto dalla borghesia, almeno da una parte, si alloggia presso la diroccata Caserma Bixio, nella parte antica ancora esistente, non occupava dagli sfollati, e qui con un piccolo, che si va nutrendo, gruppo di giovani organizza il Campo Scout, essendo lo stesso sacerdote uno scout, a cui aderirà anche il Maestro Crescenzo del Vecchio Berlingieri (storico il legame tra i due, le mostre, le vignette per il giornale del Villaggio dei Ragazzi e i biglietti augurali fatti preparare all’artista per amici e autorità – tutto materiale che dalla prima ora si è sempre stampato nella Casa/Villaggio), e inizia un esperienza di riscatto per questi giovani. E, ricordo di questo primo campo con gli scout – tra questi Crescenzo Del Vecchio Berlingieri -è il tronco tutt’ora esistente nella cappella adiacente l’ufficio di don Salvatore, realizzata dai boy scouts già dalla sua prima presenza quando era in ferie prima ancora del sacerdozio, sotto il porticato che rimanda al cortile storico interno, della fabbrica. Qui don Salvatore, folgorato da tale disagio e animato dallo spirito di ricostruzione di cui alle sue frequentazioni romane lascia volutamente l’avvio di quella che sarebbe sicuramente stata una più che dignitosa carriera ecclesiastica vaticana per dedicarsi alla sua Maddaloni. Le prime colonie elioterapiche le organizzò con l’aiuto della POA e dell’AAI. Da questo punto, inizia la storia dell’uomo per la città di Maddaloni e per le sue Opere, una di queste è la Casa del Fanciullo/Villaggio dei Ragazzi a cui dedicherà tutto come si evince sia dal primo testamento sottoscritto presso il notaio Gennaro Delli Paoli nel 1977 che quello sottoscritto presso il notaio Vincenzo Barletta nel 1996. Nel curriculum fatto dattiloscrivere nella prima metà degli anni ’90 da sacerdote così lo stesso introduce l’avvio di questa esperienza: «L’idea di fondare una “casa”, se non proprio di un “Villaggio” gli si presentò quando incontrò un gruppetto di bambini laceri ed affamati, infreddoliti e spauriti, sprovvisti di un tetto, mancanti di qualunque calore familiare. Tale incontro determinò il definitivo programma di vita e d'apostolato del giovane sacerdote. Il progetto di Dio divenne quindi chiaro e categorico: salvare l'infanzia abbandonata. Dopo essersi autonomamente impossessato di tutte le derrate alimentari, che erano state accumulate dai suoi genitori e che dovevano servire al sostentamento della famiglia durante i successivi mesi invernali, si trasferì con i fanciulli più bisognosi della città nella Caserma Bixio, sita al centro di Maddaloni, manomessa e abbandonata dalle truppe inglesi d'occupazione. Era l’otto settembre del millenovecentoquarantasette quando, per un atto d'amore e coraggio di un giovane prete e, per un categorico bisogno di sopravvivenza di circa trenta bambini, nacque la prima comunità dell'attuale Ente Morale “Fondazione Villaggio dei Ragazzi” di Maddaloni (Caserta). Oggi, otto settembre del millenovecentonovantasette, intorno a Don Salvatore gravitano bambini, adolescenti e giovani per un totale di circa millequattrocentocinquanta unità». La riscoperta di una Maddaloni orfana e bisognosa Non solo la sua Roma, la città che lo aveva ospitato per diversi anni, era distrutta ma anche la sua città natale aveva subito fortemente ripercussioni dal conflitto bellico appena terminato. Però mentre a Roma c’è qualcuno che si sta occupando degli orfani, dei diseredati a Maddaloni ciò non avviene o comunque non nel modo sufficiente e questo don Salvatore si sente in dover di non permetterlo. Preferisce aiutare la sua Maddaloni rinunciando alla carriera ecclesiastica vaticana. Questo non solo appena dopo il sacerdozio e con l’avvio della Casa del Fanciullo poi Villaggio dei Ragazzi, ma anche dopo allorquando rifiuta la nomina a Vescovo formalizzatagli durante la festa del suo venticinquesimo anno di sacerdozio, da parte del sostituto della Segreteria di Stato, cardinale Giovanni Benelli, collega di seminario, e alla quale interviene telefonicamente anche papa Paolo VI. Sappiamo che don Salvatore, nei giorni successivi al sacerdozio “cominciò ad errare per le zone più misere della città, in cerca di un ‘fratello’ da sostenere, confortare, aiutare”, scriverà più tardi nel suo curriculum, aggiungendo che “i giorni di vacanza furono brevi” ed ancora che dopo un “breve approcciò con ciò che gli uomini avevano a lui destinato, scoprì il diverso progetto di Dio, cui aderì con umiltà ed entusiasmo”. Da qui decidere di dedicarsi all’assistenza all’infanzia abbandonata e nell’estate del 1947 mette su una colonia estiva per i ragazzi orfani di Maddaloni. L’esperienza va sempre più concretizzandosi, grazie al forte contributo di amici maddalonesi, casertani e romani ed ancora di quale famiglia in vista che decide di sostenerlo e finalmente nel novembre del 1947 si fa un passo avanti con la requisizione della caserma borbonica “Nino Bixio” abbandonata dopo la guerra dopo i fasti al tempo del palazzetto dei Conti e poi Duchi Carafa. In questo rudere, già in parte da altri occupati per alcuni locali dal lato di piazza d’Armi, fisserà il suo quartier generale e avvierà opere di ripristino e adeguerà locali per la ricezione, ristorazione e formazione. Si ricorda che con il fratello Francesco si reca nelle campagne del padre a rubare frutta e verdura. La ruba perché il padre inizialmente è contrario alla sua opera anche se poi lo sosterrà ed a tanti è vivo il ricordo di quando il padre con carretto fa il carico in campagna dei suoi prodotti e li porta nelle cucine del Villaggio. Con il carretto con i cavalli con le redini sempre bel salde del cocchiere. Tra le altre cose il padre si preoccupa anche di andare a comprare e allevare dei vitelli per fornire la carne ai ragazzi di don Salvatore, e quando al figlio, a cui dava del voi, si rivolgeva per avere almeno una piccola parte delle somme spese per l’acquisto degli animali, senza contare tutto il resto, il sacerdote anche un po’ calcando la mano si sentiva scandalizzato dalla richiesta. E il povero padre remissivo chiedeva scusa e continuava la sua opera a favore del Villaggio e dei suoi ragazzi, non solo con il tempo e il suo lavoro ma anche con le sue umili risorse economiche. Sul finire del decennio la “Casa del Fanciullo” diventerà “Villaggio dei Ragazzi” e dagli inizi degli anni 50 avrà questa denominazione fino a diventare Fondazione “Villaggio dei Ragazzi, con riconoscimento di ente morale nel 1975. Da subito don Salvatore si preoccupa di portare nella sede tutto, dalle cucine al forno, dalla falegnameria al calzaturificio, dal torno ai macchinati industriali, dalla tipografia al giornale, e così via sempre anticipando i tempi rispetto alle esigenze degli ospiti e alle aspettative della società. Per completezza si riporta che dal suo curriculum, redatto ad inizia anni ’90, leggiamo “Scelse la sua città quale naturale campo d’azione del proprio apostolato. Il suo primo intervento operativo riguardo i gruppi giovani dell’Azione Cattolica e dei Boys Scouts, poi della classe lavoratrice, come assistente provinciale Acli”. Va aggiunto che ebbe un ruolo attivo nella tutela e valorizzazione della Donna supportando e favorendo lo sviluppo a Maddaloni del CIF. “Successivamente – apprendiamo ancora dall’inedito curriculum – organizzò, con l’aiuto della POA e dell’AAI, colonie elioterapiche estive per i bambini bisognosi di Maddaloni”. In contemporanea colonie erano organizzate dell’Associazione dei Combattenti presso l’Istituto “Settembrini” e ai saggi don Salvatore è sul palco con le altre autorità. Molta importanza don Salvatore la ha riconosciuta allo Sport dalle miniolimpiadi all’Ospitare il Giro d’Italia ai campionati sportivi. Da qui si andrà sviluppando la sua Opera più nota la Casa del Fanciullo, fondata nel 1947, poi Villaggio dei Ragazzi, denominazione già in vigore nel 1951 come dimostra il calendario dell’Ente. Per completare questo momento storico, rispolverano le parole del curriculum, dallo stesso sacerdote dettato, si legge: “Il progetto di Dio divenne chiaro e categorico: salvare l’infanzia abbandonata”. Non sono infanti, ma anche adolescenti e giovani e la dimostrazione è il sostegno a tanti sodalizi come quello del gruppo cattolico “La Sorgente” che si riuniva presso la Comunità dei PP. Carmelitani Scalzi, nella chiesa della SS. Annunziata; qui si rinnova e si registra il bel rapporto con Padre Giovanni Izzo che era sia la nostra guida spirituale che confessore di don Salvatore, ed ancora ottimi rapporti con Padre Leonardo Cuccurullo e tutta la Comunità Carmelitana. Luca Ugo Tramontano che è stato presidente del gruppo de “La Sorgente” dal 1977 al 1993 afferma che durante l’intero percorso dell’associazione don Salvatore d’Angelo è stato sempre vicino e ha aiutato più volte, soprattutto nelle manifestazioni, facendole proprie in tutto quanto potesse necessitare. È interessante dire che per don Salvatore, quando si organizzava qualcosa, sua organizzazione o con la sua collaborazione, diceva sempre che bisognava invitare tutti i cittadini indistintamente, con manifesti pubblici e attraverso la stampa. Per ogni problema, per qualsiasi difficoltà era un punto di riferimento per tutti i maddalonesi. Certo, non era facile andare d’accordo con lui, però è sempre apprezzata la sua schiettezza e, quindi, si sapeva che un rimprovero era un vero rimprovero, ma che un elogio era davvero un elogio. Don Salvatore d'Angelo è stato grandissimo organizzatore. Era un organizzatore indefesso, maniacale, ma tutto in mano a lui diventava un grandissimo evento. Metteva la stessa abnegazione, lo stesso impegno nell'organizzare un evento sportivo all'interno del Villaggio dei Ragazzi e una visita di un Capo di Stato o di un premio Nobel. A Maddaloni, in quegli anni, sapere che c’era don Salvatore era motivo di sicurezza e tranquillità per tutta la cittadinanza. Si narra che don Salvatore abbia coniato l’espressione “blasfema” “l’ingratitudine umana è più grande della Misericordia di Dio.”, ebbene questa cosa non deve fare sfuggire quella che, appare dalle testimonianze ricevute in questi mesi, è stata invece la totale pro-azione di misericordia in cui agiva il sacerdote. A questa citazione se ne aggiunge un’altra che il sacerdote aveva fatto scolpire all’ingresso del Villaggio: “La riconoscenza umana è più grande della Misericordia di Dio. Ma bisogna, comunque, aver fede”. Antonio Ciontoli che al sacerdote agli inizi degli anni ’90 si era rivolto perché in fase di discernimento per un impegno politico nella città di Caserta, cosa che poi ha fatto anche con discreti successi, riferisce circa la sua “vocazione sociale” e l’inizio del suo agire: «A quel punto lui cominciò a parlarmi della sua vita, delle difficoltà a mettere su la sua iniziativa necessaria ad offrire accoglienza e sbocchi di vita a tanti giovani figli del disagio e vittime delle difficoltà familiari. Mi parlò del suo girare per strade e mercati nel tentativo di reperire cibo per i suoi ragazzi. Mi parlò del suo travaglio di giovane prete che forte della formazione ricevuta e di alcuni incontri fatti in sede romana aveva capito che la politica era parte della vita e che ogni cristiano non poteva prescinderne. Che il progetto di Dio era infinito. Che il carisma di ciascuno è generato e rafforzato proprio dal numero di persone che si riesce ad aiutare ma anche da quelle che si identificano con il percorso umano intrapreso. Che la politica è fatta di impegno pubblico, ma è sempre la coscienza dell’individuo che detta le regole del gioco e condiziona la modalità di stare in campo. Quella discussione che alla fine durò circa due ore, generò l’incontro tra due fiumi in piena. Nel suo dire mille citazioni del Testo Sacro, ma altrettante di classici della politica e documenti della dottrina sociale della Chiesa, a cui di volta in volta mi rinviava per un utile discernimento delle ragioni all’impegno.  “Un animo cattolico non può rimanere fermo e limitarsi alla contemplazione della sofferenza umana … Ogni giorno bisogna muoversi, combattere, affermare le ragioni del bene su quelle del male”. Queste erano le sue frasi forti intorno a cui ruotava l’intero ragionamento. Nel mentre parlava, aprendo il cassetto della scrivania, mi allungò una cassetta video che, ancor oggi, in epoca digitale, conservo come una reliquia.  “Solo Dio mi può fermare” questo era il titolo di un film che riprendeva la storia della sua vita, in cui era riflessa la sua speciale indole a non arrendersi mai e la vocazione ad essere sempre in campo a difesa dei più poveri e dei bisognosi. Mi resi conto subito, ma ancor di più nei giorni successivi, che Don Salvatore non aveva sciolto i miei dubbi, non avendomi fornito alcuna risposta diretta ai miei interrogativi, ma mi aveva inondato di ragioni utili per consentire ulteriori approfondimenti, favorire la riflessione, stimolarmi nella scelta e nella decisione positiva, ma soprattutto per non tirarmi indietro. Da quel giorno diventammo amici. Sono stato più volte al villaggio, parlavamo di politica ma anche di questioni pratiche di vita. Aveva un aneddoto per tutto. Come ogni persona forte e saggia, lui più che risposte offriva spunti di riflessione che ti portavano poi automaticamente alle soluzioni auspicate. Una grande palestra umana, per me». Ricorda Michele Zimbardi, scalzo come gli altri, uno del primo gruppo di bambini che nel settembre-ottobre 1947 è entrato in quella che sarà la Casa del Fanciullo da lì a breve (la sua famiglia era formata da otto figli più i due genitori), come convittore, il cui primo gruppo di una ventina di unità aumentava a vista d’occhio di giorno in giorno, ricorda che al suo arrivo dovette portare con se un materasso (un sacco di iuta con le foglie delle pannocchie), una coperta e dei piatti, al tempo di usavano quelli di alluminio così non si rompevano in caso di caduta (diverse testimonianze ricordano che lo stesso preside Giuseppe Caliendo - sindaco di Maddaloni – quando don Salvatore inizio con la sua esperienza sottrasse da casa coperte, lenzuola e materassi per portarli alla Caserma Bixio). Don Salvatore aveva allestito dov’è la segreteria un piccolo uffici etto e dietro una piccola camera con lettino e inginocchiatoio, piccolo tavolo con sedia. E la prima camerata, dove furono sistemate le brande prese dalle camerate abbandonate dai militari, fu posta nell’attuale salone di rappresentanza, poi successivamente si occupò la prima camerata e facendo i lavori si arrivò alla prima e alle altre camerate, e qui si trasferirono le brande con i materiali portati dai ragazzi a cui si aggiunse una sedia, così via via anche agli altri ambienti taluni dei quali il sacerdote dovette pagare perché si liberassero dagli occupanti. Michele Zimbardi aveva appena sei anni e vi resta per dodici anni, ricorda che stante la situazione precaria in città l’assenza di don Salvatore e della sua ospitalità avrebbe comportato triste sorti per tanti e tanti bambini. Ha vissuto proprio gli anni dello sviluppo, è vivo il ricordo della prima divisa, dell’elezione del sindaco e del consiglio comunale del Villaggio (Zimbardi ricorda che già dal 1949 vi erano elezioni di sindaco giunta e consiglio che non avevano un ruolo informale ma formale e concreto con don Salvatore a cui riferivano in sintesi il volere e la volontà della comunità), che avveniva periodicamente, con cui si aveva un approccio concreto alla democrazia e alla responsabilizzazione del luogo in cui si viveva e delle relazione che si instauravano. Dall’alfabetizzazione alla realizzazione della propria aspirazione di vita, cose se oggi sembrano scontate ma che per taluni nuclei familiari e aree del territorio non lo erano così come non lo era poter fare un pasto al giorno. Zimbardi ricorda che c’era un sistema di gestione multe con monetine da sottrarre a quelli che parlavano in dialetto e non in italiano, e a sera sulla base delle multe c’era la verifica delle monetine sempre al fine di condizionare la conoscenza e l’uso della lingua italiana in modo corretto che fosse veicolo di crescita culturale e di opportunità nella vita esterna al Villaggio. Appena entrati alla Casa/Villaggio don Salvatore subito si preoccupa dell’istruzione e il primo gruppetto di ragazzi va in un vano che diventa classe e inizia la prima elementare, via via si aumenteranno classi di studio e fisiche per accoglierli. A fungere da docenti c’erano amici di don Salvatore maestri e professori che si prestavano a tale attività di docenza, tra questi Domenico Pellegrino (fratello del senatore Salvatore Pellegrino del PCI amico/nemico di don Salvatore), l’on. Elio Rosati, Michele Fuccellaro (che in occasione della colonia in Francia degli anni ‘50. Essendo esperto di lingua inglese), Francesco Ginolfi ed altri. Tra i primi collaboratori vi era tale Antonio Moretti che figura nella storica foto del primo gruppo di bambini con don Salvatore e gli insegnanti, ed ancora nella stessa foto storica vi è Francesco d’Angelo fratello di don Salvatore e suo fido collaboratore. E Naturalmente c’era Vincenzo Cembrola che all’inizio fungeva da portinaio, bidello e un po’ factotum. Vivo il suo ricordo di Zimbardi di essere stati ricevuti a sola distanza di un anno in udienza privata da Papa Pio XII e tale incontro avvenne perché dai ricordi del sacerdote sembra sia emerso che lo stesso don Salvatore giustificò al pontefice la sua assenza da Roma e dalla carriera ecclesiastica con l’esigenza di badare ai suoi ragazzi e che gli stessi gli avrebbe fatto conoscere. E quindi l’udienza privata, ricorda Zimbardi ebbe questo fine. Zimbardi, , che ricorda che tra i fanciulli del primo gruppo vi è Filippo d’Aiello con cui frequenta ancora, riferisce che la “famiglia” della Casa/ Villaggio ha sostituito completamente la famiglia d’origine, in modo diverso era intesa come famiglia ma pur sempre famiglia. E in questo contesto familiare tutto diventava graduale e concreto, infatti, di anno in anno si costituivano aule per quelli che nel frattempo avevano completato l’anno scolastico e si provvedeva anche all’aula fisica. Da qui si ha la prima elementare, poi l’anno successivo si realizza virtualmente e fisicamente la seconda e via di seguito, per i più grandi vi è il percorso professionalizzante. Va detto che agli inizi degli anni ’50 visto che c’erano i campi dei profughi e nella zona c’erano quelli di Aversa e Capua e da qui arrivavano gli ospiti degli stessi campi profughi di ogni nazionalità, mulatti, negri, slavi (tre dei quali giunti in Italia a nuoto e che vent’anni fa uno dei tre tornò a Maddaloni) etc. E in questi stessi anni, 1952/53, al Villaggio giungono anche un nutrito numero di ragazzi di un collegio del beneventano (Paduli), forse non più in grado di poter gestire l’accoglienza, di origine italiana diseredati ed orfani. Tanti dei ragazzi che arriveranno nel tempo dal villaggio è capitato che se ne sono andati dopo la pensione ed essersi fatti una famiglia e una vita lavorativa. Subito dopo la guerra don Salvatore e il suo villaggio ebbero in affidamento mento 25 orfani del Comitato dell’Opera Nazionale degli Orfani di Guerra, presieduto a Caserta dall’on. Renato Iaselli e con esso la gestione della fattoria “La Madonnina” di Caserta ore era attivo il percorso di formazione di avviamento professionale di tipo agrario. Va detto che la collaborazione con l’on. Renato Iaselli fu proficua e tra i due si stabilì un ottimo rapporto, così come Iaselli aiutò il Villaggio dei Ragazzi; così come fece anche il presidente pro tempore del Consorzio Provinciale Antitubercolare di Caserta. Della collaborazione con Iaselli (a cui il Villaggio dei Ragazzi nel 1988 conferirà una medaglia d’oro) ne parla lo stesso don Salvatore in una lettera mandata ai familiari dell’avvocato dopo la morte il 19 luglio 1990, sottolineando “il ricordo dell’Uomo superiore per bontà, umanità ed intelligenza permeati da un senso cristiano della vita, dotato di grande amore e passione per i ragazzi orfani, da Lui seguiti come figlioli” (G. De Nitto, Renato Iaselli – testimone del suo tempo, Caserta 2019, pagina 100). A fare da docenti erano lo stesso don Salvatore ed altri suoi amici (in quella occasione tutti si prodigavano per aiutarlo e a tutti quanti con cui aveva conoscenza confidenza chiedeva aiuto). Nel mentre la scuola della Casa/Villaggio divenne sede distaccata della scuola statale e si adeguò alle riforme come quella del 1955 allorquando vennero approvati nuovi programmi della scuola elementare con Ministro dell’Istruzione Giuseppe Rufo Ermini. Se queste era fattibile con le scuole dell’obbligo per quelle secondarie don Salvatore fece distaccare delle classi, all’inizio due annualità per completare il percorso di studio, di una scuola di indirizzo tecnico industriale, la scuola di Avviamento Industriale di Aversa, l’“Osvaldo Conti”(dopo qualche anno nascerà il centro elettronico che avrà collaborazioni esterne come con Interdata), per far completare il percorso ai suoi ragazzi e si creasse il collegamento diretto con il mondo del lavoro. Le due istituzioni, infatti, avevano finalità simili essendo il “Conti” nato agli inizi dell’ottocento con lo scopo di istruire e formare gli orfani di Terra di Lavoro. Siamo negli anni in cui alla scuola elementare si affiancava per i ragazzi della Casa/Villaggio la scuola di Avviamento (i cui macchinari - ogni mese pignorati per debiti e poi dissequestrati grazie agli amici di don Salvatore che accorrevano con i loro risparmi a consegnare la cifra dovuta -, e non solo, sono stati forniti a don Salvatore dalla Caritas Svizzera di Roma -che aveva sede nei pressi di Piazza Venezia dove don Salvatore si recava ogni volta che andava a Roma- con cui il sacerdote aveva sviluppato ottimi rapporti) o in alternativa bisognava andare alla Media e Ginnasio esterno (dove comunque don Salvatore destinò dei suoi ragazzi così come in altri istituti in base alla loro indole) infatti bisognerà attendere la riforma di inizio anni ’60 per la scuola media unica. E comunque Lo scopo di don Salvatore era quello di fare uscire dal Villaggio gente preparata per la vita e anche il richiamo alla famiglia del Villaggio fu un monito per consentirne lo sviluppo nel senso che chi formato dal Villaggio usciva al Villaggio, volontariamente e gratuitamente, ritornava con le competenze acquisite per portare il Villaggio avanti. Lo stesso Zimbardi ricorda come dalla riparazione (più che altro ricostruzione per evitare un nuovo acquisto) delle cucine e dei suoi macchinari, alle tettorie del cortile e per finire ad ogni suppellettile e/o macchinario era sistemato dai ragazzi ex allievi. Spesso, ma non sempre, don Salvatore forniva gli strumenti o i pezzi con cui riparare l’oggetto interessato, spesso ma non sempre il che comportava che chi faceva i lavori poteva anche avere l’onore, come capitava a Zimbardi, di dover procurare da fuori il Villaggio quanto occorresse. Ma lo si faceva perché era di fatto la propria casa e famiglia e lo si faceva per offrire ad altri quanto essi stessi avevano beneficiato. E così, anche le cucine che andavano sostituire con un preventivo della Zanussi per quaranta milioni furono messe a nuovo con molto ma molto meno, con una cifra neppure lontanamente paragonabile a quella chiesta, sistemando tutto il ferro danneggiato dai bruciatori in due settimane abbondanti – dall’alba al tramonto - nel periodo di agosto per non gravare sulla funzionalità della mensa. Anche perché quei soldi don Salvatore non li aveva. Un episodio interessante che può inserire in coda a quello raccontato riguarda il cav. Auricchio della ditta omonima, vissuto e raccontato da Marietta Lombardi. Marietta subito dopo il Diploma superiore nei servizio sociali alla fine degli anni ’50 stette due anni al Villaggio, e in questo periodo accade l’episodio che segue. Il ragioniere del Villaggio fece accomodare nella stanza con Marietta da anticamera a quella di don Salvatore il commendator Aurucchio della omonima azienda fornitrice della mensa del Villaggio. Questi nel mentre lamentava le mancanze di pagamenti e chiedeva scusa alla medesima in quanto nipote ma la situazione non poteva andare avanti e di conseguenza don Salvatore avrebbe dovuto onorare gli impegni economici altrimenti niente più forniture oltre quanto ne conseguiva dai mancati pagamenti. All’uscita dalla riunione chiamato da Marietta e interrogato su come era andata, Marietta nota una lacrimuccia, e la sua risposta “Signorina che vi devo dire? Statevi zitta. Sono andato per suonare e sono stato suonato e ho dovuto fare io un assegno a lui”, ovvero a don Salvatore per il Villaggio. Contestualizzazione storica dell’avvio dell’opera della Casa del Fanciullo Prima di proseguire nel dettaglio biografico si riporta un passo de “Aspetti della vita amministrativa di Maddaloni tratti dalle delibere comunali dal 1900 al 1950” di Francesco d’Orologio (edito a Maddaloni nel 2007) dove a pagina 18 si legge: “Nel referendum del 2 giugno 1946 ci fu nella nostra città una netta preponderanza degli schieramenti monarchici, i quali ebbero oltre l’ottanta per cento dei consensi. Continuando nella politica di risanamento nel 19 ottobre del 1946 l’Amministrazione comunale per ragioni sociali, igieniche ed economiche, com’era già avvenuto in altre città, dovette affrontare il problema delle case popolari. Di conseguenza il Consiglio comunale approvò la fondazione dell’Istituto autonomo delle case popolari, riservandosi la facoltà nella scelta delle aree da adibire a tale uso. Nel mese di novembre fu preparato il programma dei lavori pubblici per danni di guerra e per dar sollievo alla disoccupazione. Per non aver ricevuto alcun sussidio nel 1947 alcuni disoccupati insorsero contro l’Amministrazione provvisoria. La Giunta per sedare la rivolta ricorse alla forza pubblica; intervenne un plotone di carabinieri che oltre ad usare il cinturone ed i calci dei loro moschetti ricorsero ai gas lacrimogeni. Negli scontri si ebbero da ambi le parti alcuni feriti e contusi. Entra in scena il rev. D’Angelo Salvatore che nell’ottobre del 1947 fece istanza per ottenere l’autorizzazione ad occupare per fini educativi parte dell’ex caserma Bixio. Nello stesso anno con le ferite ancora aperte inferte dalla lunga e disumana guerra Don Salvatore, spinto dal fervore della carità di contribuire alla “ricostruzione”, si dedicò con tutte le sue energie all’educazione dei bambini più poveri e privi d’affetto. Li curò nel corpo e nell’animo dando loro un letto, un piatto ed una parola buona. Dalla colonia elioterapeutica del ’47, prima iniziativa destinata a svilupparsi subito in un piccolo centro di addestramento agrario all’istituzione delle scuole elementari e medie, alla creazione della banda musicale (elemento distintivo del Villaggio e della città) e all’Istituto Magistrale e Liceo linguistico il passo è stato breve”. Naturalmente per realizzare il recupero della caserma dirupa don Salvatore si servì anche di maestranze del posto che lo supportavano e tra questi Angelo Pagliaro (classe 1896) conosceva molto bene don Salvatore d’Angelo perché abitavano a pochi metri di distanza, al quartiere Pignatari, e lo aveva visto crescere. Infatti, stante l’età avrebbe potuto essergli padre. Proprio per questa conoscenza don Salvatore, all’inizio della sua opera di recupero della Caserma Bixio lo assunse, o meglio lo reclutò considerato lo stato finanziario, come muratore di fiducia, sin dal 1947, anno di inizio della sua attività di recupero e assistenza di minori abbandonati, dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Con l’occupazione della vecchia Caserma che era stata della Guardia di Finanza (il 22 maggio 1992 il Comandate Generale della Guardia di Finanza il generale Costantino Berlenghi fu in visita ufficiale al Villaggio per vedere come il sacerdote aveva rivoluzionato i luoghi che hanno contribuito a fare grande il corpo militare italiano delle fiamme gialle), ed ancor prima sede dell’Accademia Militare “Nunziatella” (utile per approfondimento e sostenuto nella pubblicazione dallo stesso sacerdote c’è il libro di Giuseppe Catenacci e Roberto Delvaggi dal titolo “Il real collegio militare della Nunziatella a Maddaloni 1855 – 1859, edito nel 1992 dall’Ass. Nazionale Nunziatella e dalla Società di Storia Patria di Terra di Lavoro) e poi “Casa del Fanciullo”, don Salvatore si avvalse molto della sua collaborazione perché la Caserma era un rudere e aveva bisogno di molta manutenzione. Circa la presenza della Nunziatella va riferito che don Salvatore si fa promotore il 18 novembre 1987 di un evento in memoria del bicentenario (27 aprile 1855 – 7 novembre 1859) della presenza dell’Accademia nei locali oggi del Villaggio. Evento delle grandi occasioni, con targa e schieramento e marcia dei cadetti ancora una volta come un tempo nel grande cortile del loro Real Collegio Militare. Ampio respiro da parte della stampa con sottolineatura degli interventi di don Salvatore, del sindaco di Maddaloni Salvatore Cardillo e il Comandante della Nunziatella colonnello Mario Camassa e tante altre autorità civili, politiche e militari. Don Salvatore si fa dunque carico di una esigenza ovvero quella di far crescere sani, forti, robusti e colti i bambini maddalonesi. La formazione giovanile, per poter progredire nella società, era necessaria e fondamentale. Partendo, quindi, dalla fine degli anni quaranta ed arrivando ai giorni nostri, malgrado delle difficoltà incontrate, il Villaggio dei Ragazzi ha avuto, una scuola di avviamento con annessi laboratori artistici e scuola di musica (il Villaggio aveva anche una band/complesso musicale ), un asilo, una scuola Elementare (Primaria) e una Media (Secondaria di Primo Grado), un istituto Magistrale “don Carlo Gnocchi” tra gli anni 50 e 70 (paritario poi nel 1970 concesso allo Stato in vista dell’avvio del Liceo Linguistico), un istituto Tecnico Industriale, un Aeronautico, un istituto Alberghiero, un Liceo Linguistico e Musicale e un ITS. L’Assistenza all’Infanzia. Circa la funzione sociale, assistenziali ed educativa, negli anni del dopo guerra, di don Salvatore d’Angelo e della sua “Casa”, poi “Villaggio”, a Maddaloni, così come a Caserta si andava sviluppando l’esperienza di don Mario Vallarelli con il suo “Orfanatrofio di Sant’Antonio”, è indicativa e rappresentativa il coinvolgimento di quella che poi sarà la Fondazione “Villaggio dei Ragazzi” nel Convegno a Caserta degli orfani di guerra, il 27 gennaio 1952, promosso dalla Provincia di Caserta alla presenza dell'onorevole Giulio Andreotti, che dopo la messa nella Cattedrale di Caserta e il Convegno con l’incontro degli Orfani (Cine- Teatro San Marco di Caserta) visiterà il Villaggio dei Ragazzi a Maddaloni con una serie di autorità tra cui Giovanni Leone, poi capo dello Stato. Fautore di tale evento fu l’avv. on. Renato Iaselli Presidente dell’Opera Nazionale Orfani di Guerra di Caserta. Principale figura ispiratrice nell’assistenza all’infanzia di don Salvatore d’Angelo fu don Giovanni Bosco, di cui, al Villaggio dei Ragazzi, appena si entra nel cortile, sul lato sinistro, è esposto da moltissimi anni, un bellissimo simulacro. Don Salvatore lo scelse come protettore, perché s’ispirò proprio a don Bosco, per quanto riguardava l’assistenza fisica, morale e materiale dei bambini. Don Bosco, infatti, in tutto l’arco della sua vita, si è sempre battuto per la difesa dei diritti e l’assistenza dei più piccoli e dei giovani. Con l’avvio dell’esperienza e della missione della Casa del Fanciullo, già dai primi anni, 1948-49, il numero dei ragazzi aumentò, e don Salvatore chiese a Francesco Angioni di continuare ed intensificare magistralmente la sua attività d’insegnante di Educazione fisica. Questi conosceva e insegnava alla perfezione ogni genere di sport: atletica, corsa campestre, scherma e pallacanestro (di cui era maestro ed istruttore ed a Maddaloni promotore e fondatore) , calcio, box, tennis ecc. Angioni, avendo partecipato nei primi anni quaranta a campionati regionali, organizzò per i ragazzi di don Salvatore dei saggi olimpici, di cui si ha un ampio repertorio fotografico. Tra gli ospiti nella Casa del Fanciullo vi era un colonnello dell’Accademia militare di via Caudina, oggi commissariato militare, il quale, fra le varie performance, vedendo un ragazzo che si chiamava Sergio fare un salto in lungo nel cerchio infuocato, in uno slancio d’emozione ed ammirazione, esclamò ed elogiò i ragazzi per la loro formazione e bravura: “E’ incredibile! Nemmeno i miei militari sarebbero capaci di svolgere cotali esercizi!”. Questi risultati era possibile ottenerli per il massimo delle capacità che richiedeva don Salvatore, per la voglia di riscatto degli stessi ragazzi e per il carattere tenero di Angioni, particolarmente comprensivo delle esigenze e dei bisogni della gioventù, allegro ma duro e caparbio quando c’era da lavorare, da soffrire. Insegnava, questi, a tutti i suoi allievi che, a prescindere dal punto di vista tecnico ed agonistico, si può fare sport per mero divertimento senza alcun interesse personale. Vi è un simpatico aneddoto che coinvolse don Salvatore ed Angioni. Come si sa il sacerdote è stato sempre un pochino orgoglioso. Ebbene nei primi anni cinquanta Angioni, per un breve periodo, non poté essere frequentemente presente alla Casa del Fanciullo, non è chiaro se per rilevanti problemi familiari o per via di un corso d’aggiornamento fuori Maddaloni. Don Salvatore, s’innervosì e avvilì a tal punto, che disse a degli amici nella Casa del Fanciullo: “Dite a Ciccio che non si preoccupi se non potrà o vorrà più venire, non c’è problema! I saggi potrò organizzarli anch’io, ho dei libri sportivi su cui documentarmi!”. Naturalmente, trattandosi, poi di persone adulte, intelligenti e professioniste, la questione si chiarì di lì a poco e subitaneamente. Don Stefano Tagliafierro, che è stato con don Salvatore dapprima come bambino accolto, poi allievo, dunque seminarista e sacerdote fino ad averlo nel cda della Fondazione fino alla sua morte, parlando dell’impronta educativa di don Salvatore riferisce che questi aveva un comportamento in linea con i canoni del tempo, ovvero impartiva un’educazione apparentemente dura, che poteva incutere anche paura, ma funzionale all’educazione dei fanciulli. Sulla falsa riga dell’educazione familiare con genitori particolarmente severi. Ciò anche perché sentiva fortemente la responsabilità della sua opera e voleva avere sempre tutto sotto controllo ed informato di tutto quanto accadeva nel Villaggio e se qualche volta dava liberà ai collaboratori, comunque, voleva essere informato su tutto quanto accadeva. Per poter stare bene i bambini hanno bisogno anche di una costante attenzione alla salute e così don Salvatore ha creato nella sua “città nella città” una sua “unità sanitaria locale” con cinque medici di cui uno dentista, infermieri ed allievi infermieri che hanno assicurato l’assistenza sanitario sette giorni su sette e ventiquattro su ventiquattro. Don Salvatore sapeva della necessità di curare la salute e venire incontro alle problematiche sanitarie che potevano sorgere. Del reso lo stesso è stato interessato prima da enuresi notturna fino a 14 anni; poi calcoli renali; a seguire problemi di prostata; e quindi l’infarto con i bypass e i problemi di cuore. Dalla Formazione professionale a quella Universitaria Circa la fondazione dedicata al sacerdote, che di certo non passa momenti economicamente felici, va detto che “oggi, la Fondazione “Villaggio dei Ragazzi – Don Salvatore d’Angelo” è un Ente dotato di personalità giuridica di diritto privato nel rispetto della disciplina recata dal regolamento emanato con D.P.G.R.C n.619 del 22/09/2003 e dal regolamento n.2 del 22/2/2013, che con le sue scuole e con il suo sistema socio-assistenziale, basato sulla promozione della cultura del rispetto, sulla valorizzazione delle differenze e delle pari opportunità e sulla crescita del capitale sociale, interviene con azioni di inclusione sociale nei confronti di circa 650 giovani comunitari ed extracomunitari provenienti dalla intera regione Campania. L’obiettivo del “Villaggio”, diventato nel tempo un imprescindibile supporto del sistema delle politiche sociali regionali, è quello di evitare ai “suoi giovani”, provenienti da ambienti sociali più disagiati, di cadere nel fenomeno della dispersione scolastica e nel rischio di coinvolgimento nel mondo della criminalità”. La Funzione educatrice la realizzava attraverso gli altri sulla base di idea e bisogni. Nel senso che chiamava chi aveva individuato per fare una certa cosa, organizzare una attività formativa, o altre cose e gli diceva quale era il suo scopo e le modalità con cui bisognava fare quella cosa. Il tutto farina del suo sacco e intuizione senza consultazione di esperti e figure simili. Era l’intuizione, sulla base della conoscenza sicuramente, che lo portava a prendere delle decisioni. Il progetto educativo generale di don Salvatore nasce e si sviluppa all’indomani del primo momento post-bellico dove si era occupato fondamentalmente di sfamare i ragazzi che aveva raccolto nella ex caserma Bixio. Don Salvatore si rese conto che bisognava dare un futuro a questi ragazzi, occorreva dare loro una istruzione, una formazione globale. Con una incredibile lungimiranza impostò un semplice e pratico (oggi lo chiameremmo) “progetto educativo” basato su pochi e ben definiti punti che ancora oggi pur nelle mutate condizioni socio-politico-economiche è incredibilmente valido. La prima fase fu quella di attivare all’interno del Villaggio” le scuole primarie e medie e l’allora “Avviamento Professionale”. Per la scuola professionale i macchinari arrivarono dalla Caritas della Svizzera con cui il sacerdote aveva rapporti con i referenti romani. Dunque, creò dei laboratori di calzoleria, falegnameria e una efficiente officina meccanica. Queste attività servirono per “insegnare un mestiere” ai ragazzi che sotto la guida di esperti artigiani crearono tutto ciò che serviva all’interno del Villaggio. A seguire subentrarono i centri di calcolo elettronico e di grafica e quindi le scuole dell’obbligo. Va detto che don Salvatore è sempre stato in anticipo sui tempi e capì che le nuove professioni e i nuovi sviluppi tecnologici in quel periodo: la radio e la neonata televisione sarebbero state l’arma vincente per aprire la strada ai suoi ragazzi. Pensa e realizza un centro per la formazione in ambito radio televisivo che poi prenderà il nome di “Centro di Elettronica” e successivamente diventerà l’Odierno Istituto Tecnico Industriale per l’Elettronica. Aiutato in questa enorme impresa dal Prof. Ing. Giacomo Giuliani, uomo di immensa cultura ed spiccata umanità figura di tecnico fine e “signore d’altri tempi”. Lo sviluppo dell’apparato tecnologico è collegato all’arrivo al Villaggio dell’ingegnere Giuliani che dal 1943 dirigeva a Napoli una scuola privata (l’Istituto Marconi ndr) che già in quegli anni preparava i giovani nel campo della tecnica radiotelevisiva. Ci racconta Salvatore Renga che fu artefice del suo avvicinamento al Villaggio di don salvatore. Erano gli anni in cui la stessa televisione era per lo più argomento di sperimentazione e a Napoli, in questo istituto, si formavano i primi esperti. Dopo la guerra, era il 1948, capitò tra gli allievi uno studente, Salvatore Renga, un po’ diverso da tutti gli altri, molto più attento nel rendersi conto del tipo di strumentazione a disposizione, delle varie tecniche. Tanta curiosità finì con l’insospettire l’ingegnere Giuliani, ma lo studente fin troppo diligente continuava a mantenere comunque un atteggiamento irreprensibile. Fu però un moto di coscienza che spinse il giovane a parlare dopo lungo tempo: «Ingegnere, – disse - io sto studiando il vostro centro perché ne vogliamo costruire uno uguale a Maddaloni. Fu chiara tanta curiosità, tante domande su questo e su quell’altro strumento, ma sulle prime l’ingegnere Giuliani non prese sul serio la proposta del giovane «emissario» della Fondazione di don Salvatore. Furono però tanti e tali gli inviti che alla fine cedette e acconsentì di recarsi a Maddaloni per valutare la proposta. Al suo arrivo una considerazione prima di tutte: «M’aspettavo di trovare - ricorda l’ingegnere Giuliani - qualche catapecchia ed ero venuto già pronto per rifiutare qualsiasi offerta. Invece varcai il portone del Villaggio e fui conquistato da quello che vedevo, colpito da don Salvatore che non aveva parole per farsi perdonare dell’insolito modo con cui mi aveva spinto a venire». «Così - aggiunge dopo una breve pausa con un sorriso ricordando quel giorno - restai a Maddaloni». Nacque così il primo centro per la formazione di tecnici specializzati, l’antenato dell’attuale Istituto Tecnico che forma oggi specialisti di elettronica industriale. Vennero i primi strumenti: generatori di segnali, tester, voltometri…. Ma il potenziamento ed il lancio della scuola si ebbe qualche anno dopo quando la «Face Standard» decise di costruire a Maddaloni il suo stabilimento del meridione, in una provincia, quella casertana che andava acquistando piano piano una fisionomia industriale. C’era la necessità per «Face Standard» di avere dei tecnici specializzati e formarli fu compito del centro diretto dell’Ing. Giuliani. «In tre mesi - ricorda - preparammo le prime cinquecento unità lavorative e l’alto grado di specializzazione stupì tutti i dirigenti di Milano. Il primo giorno lavorativo a Maddaloni furono montati i primi cinquecento telefoni della Face con uno scarto di appena il 2% contro il 5% dell’industria gemella milanese. Per noi fu un autentico successo». Poi, la trasformazione del centro in Istituto Tecnico Industriale che per quest’anno scolastico conta 219 iscritti (la testimonianza è apparsa negli anni ’80 sul bollettino del Villaggio dei Ragazzi di Maddaloni:). Per le attrezzature di cui dispone, l’Istituto è all’avanguardia nella nostra regione. Fiore all’occhiello, l’impianto che consente di svolgere corsi di Informatica. L’aula che accoglie la nuova attrezzatura è ormai pronta e presto sarà utilizzata dagli studenti. Quest’aula, che potrà essere utilizzata contemporaneamente da 30 studenti, sarà corredata di dieci personal Computer PC IBM, collegati tra loro e con un banco cattedra. Nella stessa aula saranno istallati altri cinque minicomputer e un terminale, collegato con il Centro di Calcolo del «Villaggio» nel quale attualmente sono installati tre sistemi IBM per l’elaborazione di dati. Facendo il bilancio del 1985 si vedono nel «Villaggio» grosse novità, come il nuovo impianto di regia televisiva a colori a circuito chiuso ed il nuovo reparto di serigrafia che pure sarà utilizzato dagli allievi dell’Istituto tecnico industriale. « Il Villaggio dei Ragazzi - dice l’Ingegnere Giuliani - già nel 1974 aveva installato un impianto modernissimo per quei tempi ed unico in provincia di Caserta, di televisione a circuito chiuso che collegava tutte le aule dell’Istituto tecnico industriale, quelle della scuola media e delle scuole elementari». Nel corso di questi anni, l’impianto è stato largamente utilizzato non solo per le esigenze didattiche dell’Istituto tecnico, ma anche per le ore libere dei ragazzi più piccini delle altre scuole del Villaggio». Il nuovo impianto di televisione a colori è ormai cosa fatta. Moderno e professionale, consentirà, oltre alle riprese sia all’interno che all’esterno del Villaggio con trasmissione in real-time sull’intero circuito chiuso, di registrare su cassette unificate del tipo VHS le immagini riprese, con la possibilità di ricavarne programmi da conservare in archivio per future utilizzazioni, oppure da cedere ad emittenti private che potrebbero curarne la messa in onda. «L’impianto - continua l’ing. Giuliani - si avvale di apparecchiature modernissime realizzate da industrie americane e giapponesi che consentono riprese a livello professionale, competitive con quelle delle più moderne emittenti private. È prevista anche la possibilità di inserire nelle riprese effetti speciali che consentono di dare eccezionale vivacità alle immagini trasmesse». C’è infine il nuovo reparto di serigrafia. È sempre l’ingegnere Giuliani a spiegarcene la funzione: «Tutti i moderni apparati elettronici prodotti con processi industriali non sono più realizzati secondo il metodo convenzionale che consisteva nel collegare i diversi componenti tra di loro a mezzo di fili conduttori, da saldare uno per uno, ai terminali dei componenti stessi. Con il metodo serigrafico viene preparato un disegno nel quale si riportano tutti i conduttori che devono collegare tra di loro i diversi componenti che fanno parte del circuito che si deve realizzare». Il procedimento che segue è complesso per i profani, ma, in sostanza, a mezzo di un processo fotografico dal disegno si ricava un «master» che viene trasferito su un telaio serigrafico precedentemente preparato con materiale fotosensibile. Tale processo di trasferimento dell’immagine viene ottenuto per esposizione ad una sorgente di raggi ultravioletti Una volta pronto il telaio serigrafico, si ricavano circuiti pronti per il montaggio dei componenti elettronici. Il bilancio 1985, dunque, è senza dubbio positivo: «Le iniziative intraprese in quest’ultimo periodo - conclude l’ingegnere Giuliani - sono tutte collegate da un unico filo conduttore e tutte sono state scrupolosamente concepite per un fine soltanto: rendere sempre più efficienti le strutture di cui dispone il Villaggio per poter rispondere con sempre maggiore aderenza ai problemi dei ragazzi che ospita nei diversi settori in cui esso opera attualmente». Ovviamente con il passare degli anni nuove scuole vengono ad affiancare quelle presenti nel Villaggio: Il Liceo Linguistico, l’Istituto Tecnico Aeronautico e l’Istituto Superiore per Interpreti e Traduttori (Oggi S.S.M.L) di livello universitario. Nel tempo, si consideri, don Salvatore non ha mai fatto mancare l’apporto dei gemellaggi e degli stage (per gli istituti linguistici) all’estero e memorabili sono le visite, tra quelle più note vi è la presenza di un’ampia delegazione che il 25 novembre del 1991 giunge al Villaggio dall’Istituto Superiore delle Belle Arti di San Pietroburgo. Anche don Salvatore ha dedicato due ore ai ragazzi e docenti in visita. Così il sogno di realizzare per i “suoi ragazzi” l’intero ciclo di formazione dalla Scuola materna all’Università si compie”. Così finisce la testimonianza sull’ing. Giuliani di Salvatore Renga. Don Salvatore, dunque, inizialmente fu fautore di una scuola di formazione professionale (l’Istituto dell’Avviamento Industriale, che nel tempo è diventato l’attuale Istituto Tecnico) per la collocazione lavorativa dei suoi ragazzi nel tessuto socio economico del territorio e non solo, per poi lasciare spazio, ad indirizzi di studio statali, con scuole presso la medesima fondazione, e private di secondo grado e di formazione superiori. All’atto della morte del sacerdote nel 2000 questo era l’assetto delle scuole esistenti: una Scuola Materna; una Scuola Primaria; una Scuola Media; un istituto Tecnico Industriale per l'Elettronica e per l’Informatica impegnato ad attuare nuovi programmi sperimentali al passo con le moderne tecnologie; un Istituto Tecnico Aeronautico con indirizzi per la Navigazione Aerea e per l'Assistenza alla Navigazione Aerea (piloti e controllori di volo); un Liceo Linguistico all`avanguardia per attrezzature e laboratori moderni ed efficienti con due aree di indirizzo: Linguistico Moderno e Giuridico Economico; oltre a un Centro Grafico Editoriale; un Centro di Produzione Programmi Televisivi; una Polisportiva; una Banda Musicale. Per la nascita del Liceo Linguistico va detto che questo è precoce rispetto alla risposta del territorio a questo tipo di indirizzo di studi. Il tutto nasce da una conoscenza di fine anni ’70 che don Salvatore fa di alcuni dirigenti del Ministero della Pubblica Istruzione . Uno in particolare che si occupava proprio della istituzione di questo tipo di indirizzo scolastico. Questo personaggio, consulente del Governo dell’epoca, dopo aver appreso il dettaglio degli indirizzi scolastici del Villaggio, cioè la scuola elementare e media pubblica ma annessa al Villaggio, e poi l’Industriale, si chiede e chiese a don Salvatore del perché non maturasse l’idea di far istituire anche il Liceo Linguistico. Nella fondazione, poi, viene istituito, ai sensi della Legge 11 ottobre 1986, n. 697, l'Istituto Superiore Interpreti e Traduttori (I.S.I.T.) che rilasciava, in virtù del D.M. 19 maggio 1939, al termine di un corso triennale, il Diploma di Interprete e Traduttore. Fu istituito inoltre un quarto anno di corso al cui compimento veniva rilasciato il Diploma Quadriennale di Interprete e Traduttore, per il quale era stata avviata la procedura intesa ad ottenere il riconoscimento legale come Diploma di Laurea, ai sensi e per gli effetti di cui all`art. 6 della legge 7 agosto 1990, n. 245. Don Salvatore è stato un educatore, punto su cui si ritornerà spesso nel corso di questa indagine conoscitiva, e come tale è stato precursore di indirizzi educativi (non frutto di indirizzi forniti da terzi ma di valutazioni personali sulla base della sua capacità di ampliamento continuo della conoscenza) sviluppati a fine secolo e qui è stata riconosciuta una notevole importanza agli aspetti ludico educativi come quelli sportivi e musicali. A seguire vediamo qualche esempio di questi due elementi: la Banda musicale e lo sport. Si badi per i diversi indirizzi don Salvatore aveva cura affinché si andasse in ordine e con la divisa ufficiale della Fondazione. Gli si luccicavano gli occhi nelle occasioni in cui a mò di plotoni in fila i suoi ragazzi sfilavano dentro o fuori le mura della fondazione tutti in divisa. Divisa che dalla prima ora, con il sacrificio di tante signore anche improvvisatesi sarte, ha voluto far indossare ai suoi fanciulli. Infatti per don Salvatore i suoi ragazzi, in sede, o nelle sedi secondarie, devono stare in divisa. Basti pensare alle parate della prima ora del Villaggio o alle sfilate o picchetti nelle manifestazioni importanti. Picchetti anche in occasione di funerali di personalità del territorio o amici della fondazione con ragazzi in divisa (all’inizio erano più sarti locali ad adoperarne come Bove e Del Monaco). Divise sempre più di qualità, nessun fornitore in particolare ma talvolta si rivolgeva anche a sartorie locali (tipo Michele Riccio sarto maddalonese o REN 80 Abbigliamento di Antonio Renga a Casagiove-Casapulla) a cui chiedeva innanzitutto la qualità. Dalla scuola privata a quella statale del “don Carlo Gnocchi” In effetti l’Istituto “don Carlo Gnocchi” nasce in via Roma avendo don Salvatore d’Angelo uno, e forse il più convinto, promotore, con i Iadevaia, tra l’altro. Da quanto si è appreso sorto tale Istituto negli anni ’50 con sede in via Roma accedendosi da cancelletto che si trova di fronte via Amendola fu poi trasferito nella sede dell’ex istituto per Ciechi, sempre in via Roma, ma alla destra dell’Ospedale Civile nella stessa struttura che fino ad un paio di anni fa ospitava il Liceo Linguistico della Fondazione Villaggio dei Ragazzi don Salvatore d’Angelo ed altri indirizzi scolastici della stessa. Prima considerazione sulla intitolazione. L’Istituto per ciechi portava il nome “don Carlo Gnocchi” per via della sua donazione delle cornee in vista della nascita al Cielo. Affezionato a questo nome e a quanto il sacerdote rappresentava don Salvatore, sul finire degli anni ’70, allorquando decise di cedere allo Stato l’Istituto Magistrale “don Carlo Gnocchi”, a pacchetto completo con studenti, materiali e personali con relativi titoli etc, chiese che si conservasse l’intitolazione. E così nel tempo è stato ed attualmente è con l’'I.S.I.S. "don Carlo Gnocchi" che ormai da più di vent'anni rappresenta un punto di riferimento importante per la storia culturale di Maddaloni e per la formazione dei giovani, infatti, esso abbraccia un bacino di utenza molto ampio che si estende da Maddaloni a S. Maria a Vico, a S. Felice a Cancello, ad Arienzo con presenze anche dai paesi limitrofi del Beneventano (Limatola, S. Agata de’ Goti, Dugenta) o del Napoletano (Acerra, Polvica di Nola). Come accennato esso è stato Parificato fino al 1977 quando diventa Statale e il primo preside fu il prof. Giovanni Casella, a cui seguono negli anni successivi i presidi Giuseppe Cervera, Giuseppe Pascarella, Prisco di Caprio. La sede dopo la parificazione fu quella, in via traversa Giordano Bruno, oggi occupata dagli studenti del Liceo Classico “Giordano Bruno”, annessi al Convitto Nazionale omonimo. Di esso va detto che dagli a. s. 1993/94 all’a. s. 2003/04 è stato preside il prof. Antonio del Vecchio e sotto la sua presidenza l’Istituto cresce dal punto di vista qualitativo, in quanto vengono introdotte nuove sperimentazioni e strutture più moderne e funzionali che richiamano un gran numero di iscrizioni e che permettono di raggiungere un cospicuo numero di classi. A questo punto, in vista delle norme del 1996, allorquando la competenza degli Istituti Secondari di Secondo Grado sarebbero passati alle Amministrazioni Provinciali, per evitare di perdere la sede storica del Liceo Classico “Giordano Bruno”, oggi sede della Biblioteca Comunale di Maddaloni, si adoperò molto, l’allora sindaco ,il dott. Gaetano Pascarella, poi Senatore della Repubblica e Sottosegretario di Stato alla Pubblica Istruzione, per fare in modo che il “don Gnocchi” potesse trasferirsi in una sede in previsione in via Cupa Lunga e il Liceo “Bruno” trasferirsi nei locali nel mentre occupati dal Magistrale. E così fu. Al contempo la cosa fu favorita anche dall'aumento delle classi che faceva urgere il reperire una nuova sede più ampia, che, come visto, venne individuata e, poi, consegnata nel mese di novembre del 1997, ovvero in via Cupa Lunga, dove tutt’ora è alla periferia sud-est di Maddaloni. Il nuovo edificio era spazioso e funzionale, circondato da un'ampia area verde. Per maggiori informazioni si rimanda al portale web del medesimo istituto: http://www.isisdongnocchi.it. Per completare l’argomento va detto, poi, che il Liceo Linguistico voluto da don Salvatore, nel 1978, avendo, nella sua lungimiranza, volto l’attenzione alle prospettive dell’Unione Europea, ebbe i seguenti decreti ministeriali attuativi nelle date 21 marzo 1978, 19 maggio 1979, 20 giugno 1981,e 3 maggio 1982, che di fatto attribuirono il riconoscimento legale alle cinque classi base. Per curiosità relativamente al riconoscimento della Scuola “Don Gnocchi” apprendo da “Il Mattino” di Caserta del 6 giugno 1961 il riconoscimento legame. L’articolo “L’Istituto “Don Gnocchi” legalmente riconosciuto” indica alla data del 5 giugno 1961 il decreto ministeriale che riconosce agli effetti di legge la scuola dall’anno scolastico 1960-61 l’Istituto Magistrale Don Carlo Gnocchi. L’articolo recita “”È stata così coronata da successo la nobile fatica di Don Salvatore d’Angelo, che non ha risparmiato economie di spese relative all’adattamento dei locali e alle attrezzature scientifiche e didattiche”. I collaboratori di segreteria di don Salvatore Per le sue attività, prima fra tutte la gestione della Fondazione don Salvatore aveva bisogno di fidati collaboratori con buona dialettica verbale e scritta e altre collaboratrici di supporto per l’ordinaria amministrazione. E quindi, per fare un po’ di storia il primo Segretario fu Nino Bove, a seguire ci fu negli anni ’50 Renato Montanaro che era collaborato da Rosa (detta Rosetta, e sorella della stessa Marietta) e da Vanda Montanaro, sorella del segretario. Dopo un po’ di anni subentro alla guida della segreteria la genovese Antoneitta Spisto che era collaborata, per la maggior parte della sua presenza, da Marisa Sortini e Maria Gionti (sorella di don Giovanni Gionti). L’alternanza del personale di segreteria ha avuto delle fasi di intermedie alternanze e quelle presentate sono per lo più le configurazioni stabili del periodo. Negli anni ’80 subentrerà Donato Proto fino alla morte di don Salvatore (con lui riferendoci ai dipendenti comunali collaborarono con il sacerdote negli ultimi anni anche l’avvocato Ninotto Caradonna dell’ufficio Legale del Comune che unitamente a un altro Dirigente dello stesso Ente Comune di Maddaloni Plinio Salanti erano consiglieri e validi supporter) e nella segreteria si vedrà la presenza di Concetta Cognetta, Margherita d’Angelo e Rosa Tassagnia. Circa la Vice Direzione, Marietta Lombardi ci riferisce che il primo Vice Direttore sarà Nicola Santangelo (che era il responsabile degli scout (già dal 1945 allorquando don Salvatore li introdusse a Maddaloni) del Villaggio dei Ragazzi che con divisa – circa 20 – avevano un percorso formativo con appuntamenti diversi tipici dell’appartenenza educativa di riferimento), a seguire Domenico Greco e Vincenzo Franceschetti. Nel periodo della presenza di don Michele Sordillo (che insegnava religione nella scuola media) si occupava come collaboratore esterno anche lui delle attività della vicedirezione a diretto contatto con don Salvatore d’Angelo. Seguiranno poi, quali addetti alla vicedirezione, Franco La Farina e Aldo Del Prete. La parte economica è stata gestita dal Ragioniere Giuseppe Edattico, per tutto il periodo e anche dopo il suo pensionamento, il quale ha collaborato con don Salvatore per oltre cinquant’anni che era supportato nella parte di economato da ragioniere Benito Ronza. Tra i collaboratori storici di don Salvatore nel tempo vi è stato Pino (Giuseppe Gagliardi) che aveva un ruolo di supporter politico con don Pietro Farina (monsignore e Vescovo di ALife Caiazzo e poi di Caserta, nonché vicario Generale della medesima Diocesi con mons. Raffaele Nogaro) a sostegno dell’on. Gaetano Vairo. Da qualche testimonianza dei collaboratori emerge che quella con don Salvatore viene ad essere una esperienza di amicizia prima ancora che di collaborazione. La sua è figura sicuramente imponente e a cui si riconosceva, in modo naturale, la massima riverenza; una persona però, allo stesso tempo, che, seppur a modo suo, ha saputo valorizzare a pieno l’amicizia. Per coloro i quali erano vicino a lui la vicinanza allo stesso era esperienza straordinaria sotto ogni aspetto, del rapporto interpersonale, del lavoro, della compagnia. Sempre in relazione ai collaboratori va detto che don Salvatore ha sempre saputo scegliere gli uomini e le donne che lo hanno collaborato. Persone che lo hanno sempre rispettato, e che lui rispettava. Persone che sono stati dei veri e propri galantuomini. Molti hanno lavorato in silenzio e dietro le quinte, spesso trascurando le loro famiglie. Tanti e tali sono stati i collaboratori che hanno attorniato don Salvatore che è difficile ricordarli uno ad uno. I parenti è un caso a parte, lungi da ogni forma di nepotismo spesso erano quelli meno trattati bene e ai quali venivano chiesti i sacrifici più grandi. Tra questi la Signorina Elena Lombardi; una donna che ha servito la comunità del Villaggio dei Ragazzi con abnegazione e nel silenzio più assoluto accompagnata dalla sorella Maria (detta Marietta). In effetti, mi si consenti una riflessione su Elena Lombardi. Elena Lombardi era molto schiva e riservata tuttavia era l’ombra di don Salvatore d’Angelo. Pur non apparendo, era comunque e senz’altro la persona indispensabile dell’uomo, de sacerdote, del politico, e chi più ne ha più ne metta. Di ogni altra persona don Salvatore avrebbe potuto fare a meno, di Elena no! Innanzi tutto, lo accudiva tutti i giorni e a tutte le ore nei bisogni primari. Qualsiasi attività svolta da don Salvatore la vedeva coinvolta, pur rimanendo sempre in ombra. Gli ha praticamente dedicato la sua vita, con un sentimento di fedeltà assoluta, di profondo affetto e straordinaria stima. Eppure, alla sua morte, avvenuta il 18 marzo 2011 a Maddaloni (nata il 18 aprile 1931 a Pola), dopo essere stata “gentilmente” messa nelle condizioni dalla nuova dirigenza della Fondazione a lasciare quella che era la sua “casa” non ha avuto dalla stessa Fondazione del Villaggio dei Ragazzi, ne tantomeno dalla direzione e dai rappresentanti dei Legionari di Cristo, subentrati a don Salvatore, in giusto riconoscimento per una vita intera sacrificata e dedicata al sacerdote e al suo “Villaggio”. Elena, tra le altre cose, per decenni è stata la dirigente del personale femminile della Fondazione di don Salvatore nonché si è occupata della direzione delle colonie estive a Pinarella di Cervia e aiutata dalla sorella Marietta a Torre Pedrera. La Banda e la scuola musicale L’amore per la musica a don Salvatore giunge grazie alla figura paterna che era un grande cultore di musica classica e la ascoltava con il giradischi con i vinili. Don Salvatore da subito, anche perché la città aveva perso per vicissitudini economiche per lo più, la sua banda cittadina i cui pochi componenti sopravvissuti per lo più facevano parte delle bande di giro del centro e sud Italia ed avevano anche una certa fama e prestigio. Dunque, don Salvatore si adoperò perché da subito la sua Casa/Villaggio avesse una banda e lui stesso vi si dedicava quanto poteva anche intervenendo e dando direttive. È rimasta nella storia l’aneddoto di “Verdi ha sbagliato!”. Non è chiaro se co-protagonista della vicenda sia stato il Maestro Giuseppe Renga o il Maestro Stefano D’Angelo, però ecco il fatto. Nel mentre i ragazzi stanno provando un pezzo di Verdi con il Maestro giunge don Salvatore richiamandoli e suggerendo di eseguire il pezzo con delle variazioni, nel passo “… su ali dorate …”. Alla rimostranza del Maestro che sottolineava i tempi e le modalità dello spartito di Verdi su quel pezzo, pezzo di musica dello stesso Maestro Giuseppe Verdi, don Salvatore, che non poteva essere secondo a nessuno, esordì dicendo “Verdi ha sbagliato!”. Don Salvatore da sempre ha messo in evidenza, dalle passeggiate domenicali per le stradi del centro alle uscite in eventi di rilievo nel territorio limitrofo e non solo, la banda e i suoi ragazzi, ed aveva cura di interessarsi ogni qual volta questi uscivano. La banda per don Salvatore e per la città di Maddaloni è stata uno dei fiori all’occhiello del “Villaggio dei Ragazzi”. La sua nascita in luogo di quella cittadina estinta la ha fatta considerare per tanti decenni un fiore all’occhiello della stessa comunità maddalonese, recuperando di fatto il disagio dell’assenza di una banda cittadina. Vale la pena ricordare che i tanti giovani fuoriusciti dalla banda di don Salvatore hanno avuto e hanno posti in di rilievo in bande in giro per l’Italia oltre a costituire la Banda della Città di Maddaloni che ha visto in contemporanea lo stesso Maestro Salvatore Silvestro alla direzione di entrambe per diverso tempo, anche stante la necessità della banda per attività di natura privata o comunque privi dell’istituzionalità che si richiede con l’intervento della Banda di don Salvatore d’Angelo. Tanti componenti oggi della Banda Sinfonica della Città di Maddaloni sono stati allievi e “figliocci” di don Salvatore d’Angelo. Formalmente, pur esistendo in modo non ufficiale quasi dalla nascita della Casa del Fanciullo, infatti per la Banda Musicale già nel febbraio del 1948 risultano essere stati chiesti contributi alla pontificia commissione assistenza ed ancora poco dopo alle amministrazioni comunali e provinciali. La sua costituzione “giuridica” è del dicembre del 1955 per opera di don Salvatore d’Angelo, la cui nascita segue la istituzione nella Fondazione della Scuola di Musica dell’anno 1951, ed è da sempre stata considerata una linfa vitale per la crescita culturale dei ragazzi accolti dalla Fondazione maddalonese. Vista la predisposizione di don Salvatore a circondarsi di amici e supporter, per la musica (e non è escluso per il disegno e per il potenziamento delle lingue) questi si fece supportare anche dall’amico d’infanzia e vicino di casa, di dieci anni più grande, Aniello Barchetta, talchè esistono frammenti di articoli giornalistici di cantanti e musicisti del Villaggio esibitisi con discreto successo e presso il medesimo formati alla sequela di Barchetta. Determinante è la nascita della scuola di musica interna al Villaggio al fine preparare gli allievi musicanti, una formazione continua dato che per lo più questi erano quelli delle scuole elementari e medie che dopo questi cicli di studio andavano via e lasciavano la Banda senza, magari smettere di suonare, ma in altre bande dei loro comuni. Tanti allievi di questa Banda sono diventati musicisti e direttori di bande. Alla guida della banda si sono alternati dalla nascita il Maestro Giuseppe Renga fino al 1966, da qui il Maestro Vincenzo Benincasa fino al 1969 cui è subentrato il Maestro Stefano D'Angelo ed ancora dal 1983 il Maestro Salvatore Silvestro fino al 2000, cui sono subentrati Pasquale Lasco, Raffaele Cimino e Domenico Fiorinelli, dove la direzione è riservata a Fiorinelli fino al 2011, attualmente si preoccupa delle attività della banda il dipendente Aldo Del Prete. Altri Maestri hanno affiancato i Direttori/Capo Banda nel tempo e l'ordine della loro collaborazione dovrebbe essere Francesco Marchesiello (presente nel 1955), Antonio Pastorino e Domenico Cioppa e Giovanni Orsomando. Ai fini del coordinamento e funzioni amministrativi nel tempo hanno reso la loro opera il rag. Antonio Marino, l'ex allievo Carlo De Luca, Antonio D'Angelo (con lui dal 1982 nasce la figura del coordinatore della Banda) a cui è subentrato l’attuale coordinatore Aldo Del Prete. Oltre al gemellaggio con il Coro Antoniano e lo Zecchino d'Oro durante la trasmissione del 17 giugno 1976 e poi nel settembre dello stesso anno a Maddaloni (Don Salvatore d’Angelo amava ricordare la partecipazione allo Zecchino d’Oro che sancì il profondo legame di stima ed amicizia tra il sacerdote e la compianta Mariele Ventre storica direttrice del coro dell’Antoniano che ricambio il favore con interventi a Maddaloni), la banda, annualmente fino a qualche tempo fa era impegnata con almeno una trentina le esibizioni oltre ad uscite speciali, si è distinta nel 1961 (durante la manifestazione musicale nazionale "piccolo mondo" della Rai suonò alternandosi con quella dell'Arma dei Carabinieri), nel 1968 (31 marzo suonò allo Stadio di Calcio di Caserta durante la partita di serie C Casertana/Lecce), nel 1991 (27 e 28 aprile 1991 con la partecipazione al 1° Concorso Nazionale per Bande Musicali a Pesaro), ed altre. Nel tempo, è interessante evidenziare, come la Banda Musicale del Villaggio si esibisca in luoghi come la Comunità Salesiana di Caserta la cui presenza dimostra il legame tra don Salvatore e San Giovanni Bosco e quindi la sua “famiglia religiosa”. Tra le uscite della Banda si ricordano alcune anche ad Assisi per esibizione. Don Salvatore ha sempre fortemente tenuto al decoro della banda, divise (non realizzate internamente perché mancava la sartoria) e strumenti venivano cambiati all’occorrenza, e proprio prima della morte, nel febbraio 1999, chiamò a raccolta tutti gli amici della fondazione, personalmente ed attraverso missive, al fine di consentire l’acquisto di divise e strumenti musicali nuovi per la Banda Musicale del Villaggio dei Ragazzi. Tra le curiosità va detto che la banda nasce nella Casa del Fanciullo/Villaggio dei Ragazzi che è stata sede della Guardia di Finanza e in tale periodo in questa sede nacque la prima fanfara che poi si costituì in Banda musicale nazionale della Guardia di Finanza nel 1926, da qui una condivisione di una nascita della Banda con l’Altra che è stata ed è grande e famosa e che tornerà dopo un secolo nei medesimi ambienti a tenere un concerto. Si consideri che il deposito della Guardia di Finanza, ovvero la Caserma Bixio, nel 1906 divenne sede del Comando Legione allievi e sede della Scuola allievi finanzieri e presso la stessa vi era anche il reparto ginnico che ha avuto conseguito lodevoli successivi e questo fu probabilmente da sprono a don Salvatore per far rinascere, questa volta con la sua Casa del Fanciullo, le glorie ginniche dei decenni precedenti. Lo sport e don Salvatore Oltre all’aspetto della musica altro elemento formativo su cui insisteva il sacerdote, così che la sua Casa il suo Villaggio somigliasse sempre più a un College era l’elemento sportivo. Da subito don Salvatore si impegno perché alla cura dello spirito si aggiungesse anche quella della mente e del corpo. Quindi formazione spirituale, formazione umana e formazione sportiva così da ingaggiare il prof. Francesco Angioni, atleta e istruttore più in vista nel panorama territoriale del primo dopo guerra e avviare la pratica di ogni disciplina. Al dire di chi li ha conosciuti due forti caratteri che non mancavano di scontrarsi però il bene dell’opera e di Maddaloni aveva sempre la meglio. Un coinvolgimento quello di Angioni che estendeva alla famiglia e quindi la stessa consorte Ida Santonastaso, recentemente scomparsa, già educatrice della prima colonia del sacerdote era anche supporter, sarta e tuttofare del marito per le attività dei “figli” di Maddaloni. Don Salvatore si preoccuperà anche di organizzare negli anni i “giochi olimpionici” organizzati e tenuti presso il Villaggio e per la promozione degli stessi esistono ancora, oltre le testimonianze fotografiche, le riprese di un video giornale andato in onda in tv in quel periodo, a dimostrazione l’impegno sportivo e le discipline praticate all’interno della struttura e a cura dei proprio ospiti. Don Salvatore con il tempo si doterà di una Polisportiva e di diverse squadre per le molteplici discipline. Due in particolare vanno ricordate quella del calcio e quella del ciclismo, senza scordare quella cestistica con Guido Napolitano. Il ciclismo e don Salvatore Don Salvatore era una persona perspicace, acuta e riusciva a traghettare verso ciò che poteva portare interesse comune e così accadde con il ciclismo che a Maddaloni aveva seppur breve ma una storia. Dei grandi eventi in città si ricordano la tappa dei Tre Mari del 1920, la Potenza Bari, che ebbe a Maddaloni l’ultimo controllo a timbro della tappa. La U.S. Maddalonese nel 1922 organizzò il 1° Giro Ciclistico di Terra di Lavoro con partenza e arriva a Maddaloni che fu vinta dal toscano Angiolo Marchi anche se l’attrattiva della gara fu il milanese Carlo Galletti che aveva tante vittorie e d’ogni sorta e le vincite del Giro d’Italia del 1910, 1911 e 1912. Da lì a poco il 26 agosto del 1923 il commissario prefettizio di Maddaloni, comm. Bernardo De Spagnolis, autorizzò la U.S: Maddalonese a realizzare il campo di calcio “dei Cappuccini” e fu fatta una pista ciclabile di 350 metri all’interno che circondava il campo stesso con inaugurazione e gara ciclistica in occasione della festa patronale del 1924, il 28 e 29 settembre. Nel 1930 si svolse l’8 marzo uno spettacolo ciclistico nel Cine Teatro Alambra e il 25 maggio una gara dal campo “dei cappuccini” ribattezzato “campo giovinezza” con Costante Girardengo e Alfredo Binda. A giugno e settembre dello stesso anno si registrano altre gare e sul finire dell’anno il cav. Salvatore Croce fonda il Velo Club Maddalonese e organizza molte gare su strade. Quella del cav. Croce è una figura familiare a don Salvatore anche per essere l’animatore e responsabile dell’eremo di San Michele a cui il sacerdote fu molto legato così come al culto del santo patrono. Via via nel 1953 il ciclismo maddalonese rientra nella nuova “Polisportiva Libertas Maddaloni”. Quest’ultima esperienza nasce dal “Centro Nazionale Sportivo Libertas”, riconosciuto dal CONI, che a livello territoriale ha conservato la denominazione ufficiale e altre con variabili tipo “Polisportiva Libertas” per via delle diverse espressioni sportive praticate. Il “Centro Nazionale Sportivo Libertas” ha origine a livello nazionale dopo l’intuizione di un dirigente della Democrazia Cristiana, Enrico Giammei, che nel 1944 la propone allo scopo di favorire l’aggregazione giovanile a fini sportivi e ricreativi alla luce della situazione in cui versa il Paese promuovendo alcune competizioni calcistiche. Eventi questi che riescono ad avere una grande risonanza, così da spingere gli altri dirigenti a rendere l’iniziativa di respiro nazionale. Fu così che nel 1945 il presidente Alcide De Gasperi fonda ufficialmente la il “Centro Nazionale Sportivo Libertas” o “Libertas”, stesso nome di una delle testate giornalistiche del partito democristiano, offrendo un messaggio unificante dello sport per tutti, così da trasmettere la possibilità di allentare le tensioni del disastro della guerra e creare un giusto spirito per la rinascita. A fine anno sono già circa 500 le società sportive o polisportive Libertas che nascono in Italia. A Maddaloni la situazione è un po' più difficile ma anche la Democrazia Cristiana, per impulso di don Salvatore realizza l’obiettivo. Don Salvatore lo realizza aventi come artefici materiali la professionalità del prof. Francesco Angioni come fondatore nel 1952 ed avente alla presidenza il Preside prof. Giuseppe Caliendo. Già nel 1954 la Polisportiva organizzava diverse gare sportive e, tra esse, per cinque anni consecutivi, fino al 1958, la Coppa Caliendo, ovvero la competizione più attesa dai ciclisti campani, dove si distingueva l’eccellenza locale, il ciclista Alberto Marzaioli. La “Polisportiva Libertas Maddaloni” in breve ha in Francesco Angioni e Giuseppe Caliendo i capisaldi che a loro volta sono strenui sostenitori delle iniziative del sacerdote. Qui le discipline sono basket, ciclismo e scherma, tutte quante riproposte con altre nel Villaggio e ai ragazzi di don Salvatore. Intanto a fine anni ’50 la “Polisportiva Libertas Maddaloni” lascia il ciclismo e subentrano le ACLI, dove don Salvatore spirituale era assistente sia locale che provinciale, e nasce il “Gruppo Sportivo Acli Maddaloni” che porta il 3 ottobre del 1961 alla “1° Coppa San Michele” Gino Bartali. Lo stesso campione già era stato a Maddaloni, al Villaggio dove tornerà spesso. Particolare entusiasmo si ebbe nel 1961 in occasione del Giro della Campania, che si tenne il 30 marzo 1961, e in questa occasione Gino Bartali con la squadra della San Pellegrino Sport, che comprendeva la promessa ciclistica maddalonese Alberto Marzaioli, venne in visita alla sede del GS Ciclistico Acli in via Marconi a Maddaloni e fu ospite speciale di don Salvatore d’Angelo nella sede del Villaggio dei Ragazzi. In occasione di tale sosta la programmazione del cine Teatro Alambra fu modificata con le proiezioni delle imprese più note di Bartali. In quella stessa occasione, ricorderanno i presenti, Bartali propose al sacerdote di organizzare una tappa del Giro a Maddaloni ma questi rispose di non avere soldi, dopo 24 anni il desiderio si realizzo. Si continua a sviluppare l’organizzazione ciclistica maddalonese nel 1964 con la nascita il 2 giugno del “G.S. Pedale Maddalonese” e il 14 marzo 1974 del “Centro giovanile ciclismo di Maddaloni” e nel 1978 della “Polisportiva Montedecoro”. Intanto il 2 aprile 1977, con Francesco Angioni nasce la “Ciclistica Fondazione Villaggio dei Ragazzi Maddaloni” (Presidente onorario: Don Salvatore d’Angelo educatore e guida spirituale dei ragazzi; Presidente: Francesco Angioni; Vice Presidente: Giovanni di Cerbo; Segretario: Bruno Barillà; Consiglieri: Domenico Santo, Antonio Schiavone, Giovanni Pisanti e Salvatore Mastropietro; Direttore sportivo: Franco Mastropietro; Presidente provinciale: Salvatore Mastropietro; Giudice di gara nazionale: Amedeo Marzaioli; Giudice di gara: Luigi Renga. Segno contraddistinto degli atleti era la casacca bianco- blu della ciclistica). Questo però non celò il fatto che dagli inizi degli anni ’60 il villaggio ospitava nelle proprie camerate i corridori forestieri impegnati in gare nelle vicinanze o in città oltre a convegni regionali e nazionali per giudici di gara e numerose feste sociali del Velo Club Maddaloni (nato nel 1985 e con strepitosi successi fino al 1998 sotto la guida di Luigi Renga, con Gaetano Iodice, Amedeo Marzaioli, Angelo Salvatore Letizia e Gaetano Di Nuzzo) di cui era presidente onorario. La presenza di personaggi delle due ruote come Bartali, Moser, Bugno, Chioccioli, Figueras, Martini e Castellano era gradita in occasione dei saluti di passaggio per la Campania. Tra gli eventi di quegli anni si ricorda la premiazione del “circuito degli Assi” del settembre 1980 con vincitore Francesco Moser su Giuseppe Saronni che avvenne nel Villaggio di don Salvatore. Don Salvatore il 28 maggio 1983 inaugurò anche la nascita della “Ciclistica Maddalonese” che nel 1984 conquistò la promozione in serie A di cicloturismo. E così si arriva al Giro d’Italia e la Tirrena Adriatico a Maddaloni, ovvero il Giro e la Tirreno Adriatico presso il Villaggio e presso don Salvatore a Maddaloni; la prima volta il 29 maggio 1985 con la tappa a cronometro Capua Maddaloni (qui si ricorda l’astuzia del sacerdote nell’allestire la piazza Matteotti d’arrivo opportunamente celando con drappi rossi edifici che invece richiedevano restauri, la provvidenza non solo in questo fu impeccabile); vi è un passaggio nel centro storico della città il 21 maggio 1990 con traguardo sul Corso I° Ottobre; il 14 marzo 1991 dal cortile di don Salvatore parte la seconda tappa della 26° edizione della Tirreno Adriatico; il 22 maggio 1995 (memorabile tappa perché la prefettura aveva diffidato la sosta al Villaggio essendo i ragazzi in quarantena per una epidemia che poteva influenzare i corridori, ma qui la fermezza e la capacità di prendersi responsabilità alte e rischiose fece si che nessuno corridori compresi si accorsero delle eccessive misure di precauzione sanitarie) nuovamente il Giro d’Italia con la tappa a cronometro Telese Terma Maddaloni (tappa nata il 1 giugno 1992 ad Aversa allorquando Vincenzo Torriani attraverso l’amico e dirigente sportivo Amedeo Marzaioli – fautore da sempre e tutt’ora dello sviluppo ciclistico a Maddaloni e i Terra di Lavoro – fa giungere a don Salvatore i saluti e un cofanetto con tutti i distintivi ufficiali del Giro); il 22 maggio 1998 con la partenza della 6 tappa Maddaloni Lago Laceno e poi il 15 maggio del 2000 con la seconda tappa Terracina Maddaloni, a distanza di due settimane don Salvatore muore. Nel 2011 il 24 maggio il Giro ricorda don Salvatore a Maddaloni in occasione della 5 tappa Avellino – Nettuno; altra presenza sarà quella del 22 maggio 2002 con la tappa Maddaloni Benevento; il 16 maggio 2003 vi è la sesta tappa Maddaloni Avezzano; il 15 maggio 2004 abbiamo l’intergiro e nel 2005, il giorno 11 maggio, si ricorda don Salvatore a cinque anni dalla scomparsa con la tappa Giffoni Valle Piana Frosinone. Altre gare legate al Giro, alla Tirenno Adriatico e non solo toccheranno la città di don Salvatore nel tempo. La bici oltre ad essere lo strumento dello sport era anche il mezzo di locomozione e qui un ruolo centrale lo ha Domenico Marzaioli, padron della famiglia omonima che ha caratterizzato il ciclismo provinciale e che ha regalato alla città un professionista quale il figlio Alberto e altri instancabili animatori come Amedeo che è tra i promotori, collaborato da Angelo Salvatore Letizia, del ciclismo territoriale e a cui don Salvatore si rivolgeva, oltre che a Luigi Renga, per le tappe e le iniziative ciclistiche. Ebbene don Salvatore in Domenico aveva un artigiano impeccabile e pronto a sistemare le bici della fondazione in modo gratuito, ovvero Domenico chiedeva i soldi ma il sacerdote dava la sua sola benedizione, cosa questa che accadeva sovente un po’ con tutti in città per le sorti del Villaggio, per i cui ragazzi nessuno obiettava. E don Salvatore, tra i favori ricambiati, restituì a Domenico i tanti anni di riparazioni sostenendo la carriera del figlio Alberto divenuto professionista e concorrente anche del Giro d’Italia. Alberto Marzaioli in una sua testimonianza riporta: «Sono sempre vivi nella mia memoria i tanti episodi che mi legano al Villaggio dei Ragazzi e a don Salvatore. Nei primi anni del dopoguerra, quando la fondazione muoveva i primi passi, non c’era cittadino maddalonese la cui storia personale non fosse legata al Villaggio. Tutti contribuivano alla sua crescita in rapporto alle proprie possibilità. Compreso mio padre il quale poi verrà ampiamente ricompensato da don Salvatore che diventerà per me un secondo padre. […] Avevo tredici anni quando incominciai a frequentare il Villaggio. Mio padre aveva la bottega di cicli in via Bixio, unica fonte di reddito della mia famiglia di 11 persone, ed aggiustava le biciclette della fondazione che allora rappresentavano il “parco macchine”. Ero io che andavo al Villaggio a consegnare le biciclette riparate. Ricordo nitidamente la raccomandazione che ogni volta mi faceva mio padre: “Albè, vai a consegnare questa bicicletta a Don Salvatore, questo è il conto, ti raccomando non tornare senza i soldi”. Sistematicamente ritornavo senza bicicletta e senza soldi. Dammi il conto, mi diceva Don Salvatore, e dici a don Mimì che passo io da lui. Non passava mai, figuriamoci, con tutti i problemi che aveva. Il triennio 1958/59/60 fu ricco di successi, vittorie su vittorie, incominciavo a guadagnare qualche soldo appena sufficienti per la sopravvivenza della mia famiglia. Passai alla Internaples di Napoli e il buon Vincenzo Milano e mio padre decisero che dovevo partecipare a tutte le gare nazionali per attirare l’attenzione dei tecnici. A costo di grossi sacrifici ci riuscii: “2° al campionato italiano dilettanti a Messina, azzurro della strada per i mondiali di Zandwoort (Olanda) e probabile olimpionico per le Olimpiadi di Roma. Ostacolo insormontabile le poche risorse economiche della mia famiglia. Si viveva di poco, stavamo uscendo da un periodo nerissimo; mi ricordo che nostra madre ci mandava a fare la spesa alla salumeria “Cicella”: 100 grammi di olio, 25 grammi di caffè, un chilo di pane; le suole delle nostre scarpe erano fatte con i copertoni usati; a tavola piatto unico per tutti, non si poteva chiedere altro, perché l’altro non c’era. Ecco allora che Don Salvatore era la mia salvezza. Mio padre, spesso, non aveva i soldi per il biglietto del treno (partivo il venerdì sera, facevo la gara la domenica e ritornavo il lunedì mattina) e quindi mi mandava da don Salvatore che, con tutti i suoi problemi, me li dava sempre. Ricordo una volta che dovevo correre una premondiale a Lugo di Romagna, andai da don Salvatore a chiedere i soldi. Non li aveva, pensò un attimo e mandò a chiamare uno dei suoi principali creditori, Pasquale Mandato titolare di una maglieria nella piazza fuori il Villaggio, il quale arrivò di corsa convinto di recuperare qualche credito arretrato. Invece, il suo credito aumentò di altre 30mila lire. Grazie a Don Salvatore nel 1960, partecipai alla finale a tappe S. Pellegrino. I primi dieci della classifica finale passavano automaticamente professionisti. Alla vigilia dell’ultima tappa, ero quarto in classifica, Gino Bartali mi fece già firmare il contratto da professionista nella S. Pellegrino. E ha continuato a starmi vicino perché mi anticipava i soldi che poi mi venivano rimborsati fino a quando con i primi stipendi della S. Pellegrino non ebbi la possibilità di comprare una macchina, una Fiat 750 della quale ricordo ancora la targa CE 33783. Ricordo che nel mese di marzo del 1961 io stavo correndo la Mentone-Roma a tappe, mi telefonò mio padre per dirmi che era andato a chiedere a Don Salvatore di ospitare nel Villaggio dei Ragazzi Gino Bartali e tutta la squadra S. Pellegrino che doveva partecipare al Giro della Campania. Detto fatto, Don Salvatore affittò un pullman e quindi mio padre, assieme a Michele Roberti e Nunziante Barbarisi, vennero a Roma a prelevarci. Scene di entusiasmo a Maddaloni quando si sparse la notizia. Ricordo che Vincenzo Barletta titolare del Cineteatro Alambra interruppe la normale programmazione ed organizzò una serata ad ingresso gratuito per proiettare un film sulle imprese di Gino Bartali presente in sala assieme a tutta la squadra. Al rientro nel Villaggio Don Salvatore ci accolse sotto l’androne. Gino Bartali allora domandò a Don Salvatore: perché non facciamo a Maddaloni una tappa del Giro d’Italia? Don Salvatore mise le mani nella sua veste, tirò fuori le tasche vuote e gli rispose: Gino, ma io non ho una lira, però non ti preoccupare, un giorno la faremo. La profezia di Don Salvatore si avvererà nel 1985 con la cronometro Capua/Maddaloni alla cui realizzazione collaborò anche Gino Bartali, ormai di casa a Maddaloni e al Villaggio dei Ragazzi per la profonda amicizia con la mia famiglia e con Don Salvatore. Gino Bartali e Don Salvatore accomunati da uno stesso destino, sono entrambi saliti al Cielo nel mese di maggio 2000 e mi piace pensare che da lassù stanno ricordando i loro incontri e le tante volte che il Giro d’Italia è entrato nel Villaggio dei Ragazzi, oasi di solidarietà, onore e vanto della comunità maddalonese». Un episodio interessante è del 1988 allorquando per il 28 maggio era prevista la tappa del Giro d’Italia Vieste/S.Maria C.V.. Don Salvatore chiamò Carmine Castellano a Milano chiedendo di far passare il giro per Maddaloni, cosa che accadde su via Caudina e via Libertà e non per il centro essendo troppa esosa la spesa per la sistemazione delle strade interessate. Don Salvatore, dopo la telefonata in cui chiedeva il passaggio, chiamò Amedeo Marzaioli, anche in qualità di presidente provinciale della federazione ciclistica, e gli disse che era stato Castellano a chiamarlo e a chiedergli di far passare il Giro per Maddaloni e che Amedeo doveva occuparsi della concretizzazione della cosa. Alla fine uscì fuori la verità di chi aveva chiamato e dell’insofferenza di Castellano per l’insistenza del sacerdote, però intanto don Salvatore fece si che il Giro ripassasse per Maddaloni. Va detto che don Salvatore era legato al ciclismo anche dato il rapporto che aveva con Vincenzo Torriani di cui don Salvatore aveva celebrato anche i funerali nella chiesa di Sant’Ambrogio di Milano. Amicizia che don Salvatore, a livello familiare, strinse anche con il successore di Torriani ovvero Carmine Castellano e l’ultima tappa vissuta da don Salvatore del Giro d’Italia a Maddaloni, a pochi giorni dalla morte, fu voluta e concessa anche per intervento di Marco Torriari e per l’occasione fu omaggiato Gino Bartali. Il Sindaco di Maddaloni Gaetano Pascarella e Amdeo Marzaioli, simbolo del ciclismo casertano, ebbero l’amaro e ingrato compito di comunicare al management del Giro la prematura dipartita di don Salvatore, con tanto di cordoglio del patron del Giro dalle colonne del Corriere del Mezzogiorno /Corriere di Caserta. Il calcio e don Salvatore e il doppio salvataggio del titolo della US Maddalonese Un impulso alla presenza agonistica del calcio nel Villaggio di don Salvatore nasce con la collaborazione di Innocenzo Lombardi (questi è uno dei non pochi collaboratori con cui il sacerdote aveva stabilito una particolare relazione che si consolidava anche con la celebrazione di cresime, matrimoni, battesimi etc.), siamo agli inizi degli anni 70, nel 1972 allorquando il Mister sta vivendo la bella parentesi sulla panchina del Marcianise periodo in cui iniziarono ad arrivare anche i titoli personali. In particolare, nel 1971 conseguì il patentino Istruttore Giovani e nel 1972 Corso di Allenatore di Terza Categoria. A ciò Innocenzo abbinava gli impegni di talent scout e soprattutto educatore. Ebbene nel 1972 Lombardi è coinvolto dal prof. Ninotto Iodice (ex giocatore ed allenatore della Libertas Maddaloni di Basket ai tempi della serie B Nazionale e grande amico di don Salvatore) al fine di dare vita alla Polisportiva del Villaggio dei Ragazzi unitamente a Roberto Napolitano (atletica), Guido Napolitano (Kalati Basket), Luigi Renga (Velo Club ciclismo). Nasceva così la collaborazione con don Salvatore e soprattutto nasceva la Polisportiva del Villaggio dei Ragazzi. Nasceva così una amicizia che ha fatto vivere al di là dei momenti del calcio con la squadra del Villaggio dei Ragazzi altri momenti significativi del calcio in generale, come il salvataggio del titolo della US Maddalonese. Ebbene sì, don Salvatore ha salvato più volte ma una in particolare il titolo della US Maddalonese che con il 2019 giunge al suo primo centenario. Innanzitutto, va chiarito che don Salvatore si è adoperato in tale opera non tanto per chissà quale spasmodica attrazione per il calcio ma perché si trattava del titolo della US Maddalonese ovvero della squadra di calcio della Città. Per la Città il suo impegno è stato sempre costante e incondizionato, oltre che libero e gratuito. Ma veniamo ai fatti, siamo nell’anno agonistico 1967/68 era Presidente della US Maddalonese Pietro Pietropaolo. Suo Vice era il dott. Salvatore Letizia, ne era segretario Franco Milani, Allenatore invece era Ferruccio Santamaria (atleta che eccelse anche nella pallanuoto al punto tale da rivaleggiare con un certo Carlo Pedersoli, olimpionico a Melbourne nel 1956, che avremmo apprezzato al cinema con il nome d' arte di Bud Spencer) che giocò come centromediano nel Napoli negli anni ‘50 e nella Nazionale di Calcio. Nella vicenda entrano come protagonisti principalmente oltre a don Salvatore d’Angelo vi è il sindaco pro tempore, il preside Giuseppe Caliendo e Innocenzo Lombardi. Il tutto nasce un pomeriggio, credo siamo nel mese di luglio 1968, in cui Lombardi viene contattato dal dott. Letizia in quanto aveva difficoltà a capire una richiesta giuntagli via fax da Roma dalla Lega Nazionale Dilettanti. Ciò accade perché a Firenze la Lega Nazionale Semiprofessionisti (competente per la Serie D in cui si ritrovava la US Maddalonese), aveva già convalidato una presunta fusione tra due società sportive, quella Maddalonese e quella Cavese. Da Roma chiamarono perché a loro era giunto un verbale di assemblea firmato dai soci che era scuro, illeggibile, del resto era falso. Ora, data una certa dimestichezza di Lombardi con la materia giurisdizionale e amministrativa per questo tipo di pratiche, accadde che il dott. Letizia chiamò per un supporto. Sostanzialmente Letizia non riusciva a spiegarsi il perché da Roma, in vista di una fusione tra le società sportive US Maddalonese e US Cavase, cosa che a lui giungeva nuova, si chiedeva la copia leggibile di un verbale, ovvero di quello nello specifico (che aveva consentito l’ok della Lega da Firenze per il passaggio a Roma), in cui l’Assemblea dei Soci, ben 92 quindi non pochi, della US Maddalonese dava mandato al Presidente Signor Pietropaolo di mettere in atto la fusione Maddalonese Cavese. E a quest’ultima di cedere il titolo della Serie D. Sono d’uopo delle precisazioni …. La prima è che al tempo le categorie erano oltre la Serie A e B di competenza della FIGC c’era la Lega Nazionale Semi Pro che si interessava della Serie C e D e poi c’erano le altre Serie che appartenevano per competenza della Lega Nazionale Dilettanti e via di seguito. Nel caso specifico la US Maddalonese, già nell’anno agonistico 1967/1968 aveva avuto modo di competere nella Serie D, dopo aver superato la fase dell’Eccellenza, della Prima Categoria, e ancora prima della Seconda Categoria e cosi ad andare indietro nelle categorie e nell’annualità agonistiche. La seconda precisazione è che il verbale richiamato, che ci si preoccupò di farsi inviare via fax subito da Roma, non esisteva, infatti, nel registro delle verbalizzazioni si era arretrati con le trascrizioni dei verbali al punto tale che ne esisteva uno che indicata il detto dott. Letizia quale commissario e mancava finanche quello in cui si nominava Presidente Pietropaolo, il quale ne consegue non lo era formalmente per la Lega Nazionale Semi Pro. Il tutto viene fuori perché essendo diventati semi professionisti i giocatori, stando nella Serie D, questi andavano ratificati o comunque anche portati all’attenzione della Lega Nazionale per la regolarità, e da qui, oltre che per competenza, dovendosi effettuare una fusione societaria e cessione del titolo, la documentazione fu esaminata prima da Firenze che diede l’ok e poi da Roma che svelò, senza volerlo, il trucco. A questo punto Lombardi (che per l’occasione si spacciò per l’avvocato delegato dalla US Maddalonese) e Letizia si rivolse subito a Roma presso la Lega Nazionale Dilettanti dove si ebbe modo di interloquire con il presidente Ottorino Barassi. Qui il Presidente Barassi disse “muovete le acque, muovete le acque”. Una espressione che è rimasta impressa e così fu fatto. Partimmo subito una mozione sulla vicenda alla Lega Nazionale Dilettanti a cui fu mandata una lettera di richiesta chiarimenti dove si evidenziava che il management della squadra ignorava la procedura di fusione. Tutto questo movimento fece si che fu dato mandato all’Ufficio Inchieste della Lega a Roma per cercare di capire quanto era successo. Il capo dell’ufficio inchieste della Lega era l’avv. Dario Angelini che venne anche Maddaloni per indagare sull’accaduto, cosa che si seppe la sera prima del suo arrivo, in pieno luglio, e che desiderava parlare con il sindaco Caliendo che nel mentre era in vacanza a Roseto degli Abruzzi (Teramo) che fu raggiunto dai “ricorrenti” maddalonesi alle tre di notte e qui appreso quanto stava accadendo notte tempo tornò in città in tempo per accogliere alle 9.30 l’avvocato Angelini e spiegargli la situazione. Del resto, si evidenziò circa l’impossibilità della fusione che si indicava, in quanto, Maddaloni (Ce) e Cava de’ Tirreni (Sa) non sono confinanti né viciniori come pretendeva il regolamento della FIGC per quanto riguarda le fusioni tra società, anzi potremmo dire quasi diametralmente opposto nel territorio regionale, e non ci potevano essere le condizioni per la fusione, figurarsi cessione anche del titolo. Attenzione, nel mentre accadeva questo a Montella la squadra US Maddalonese già stava svolgendo il ritiro e l’allenamento unitamente alla squadra US Cavese, con l’allenatore della squadra Cavese Elia Greco, che era stato giocatore del Napoli Calcio. In effetti, essendo giunta a Pietropaolo l’accettazione della fusione da parte di Firenze i giocatori potevano tranquillamente andare a Montella con i giocatori della Cavese in quanto oramai era un’unica squadra. In questo scenario la Maddalonese sarebbe scomparsa. Naturalmente il fatto divenne un problema generale, se ne discuteva in Giunta e in città con una certa apprensione e quindi ne era direttamente coinvolto anche don Salvatore d’Angelo. Infatti, quando si seppe che sarebbe giunto il Sindaco di Cava de’ Tirreni per incontrare il Sindaco a cui magari dare una “buona uscita” per la cessione del titolo, lo stesso sindaco Caliendo preferì cedere il colloquio al “collega” politico a don Salvatore d’Angelo. Infatti, nel mentre si attendeva il Sindaco di Cava de’ Tirreni, il sindaco Caliendo (moroteo nell’ambiente DC) disse che era inutile portarlo da lui e di farlo accoglierlo “dal prete” (andreottiano nell’ambiente DC) perché “risolvesse lui il problema”. Ora si apprestava a Maddaloni l’arrivo del Sindaco di Cava de’ Tirreni, il quale “probabilmente” ebbe come suggerimento” da parte del Pietropaolo, la soluzione per risolvere più velocemente la vicenda con una donazione da farsi all’US Maddalonese o comunque alla Città in vista della perdita del Titolo. Il Sindaco di Cava de’ Tirreni (che arrivo con un grande macchina blu, Lancia Flavia blu, accompagnato dall’autista e con tanto di fascia tricolore su un abito elegante) arrivato all’ingresso del Comune, che è alla destra dell’ingresso del Villaggio di don Salvatore, nella stessa piazza, si trovò ad accoglierlo Innocenzo Lombardi che gli notificò del cambio di sede della riunione. Lombardi fece fare l’ingresso in stile dell’auto nel Villaggio e accompagnò L’ospite da don Salvatore d’Angelo. Don Salvatore inizio a fare tutto un lungo discorso da cui evinceva la sua lacuna sulla gestione di una squadra di calcio e sulle entità economiche che necessitavano per una squadra da Serie D. Parlava continuamente, rivolgendosi al Sindaco, “degli amici di Cava”, “dell’affetto suo e dei maddalonesi per il sindaco e gli amici cavesi” e frasi simili, chiedendo di tanto in tanto a Lombardi, presente all’incontro, quanto poteva costare l’amministrazione per un anno della squadra di calcio. Si rivolgeva con frasi tipo: “Innocenzo, tu sai che non ne capisco, tu sai quanto può costare portare avanti la squadra di calcio per un anno, dieci venti milioni?” rispondeva Lombardi “ che con venti milioni si poteva fare una buona squadra” e lui “va bene, facciamo trenta milioni” e così chiamava il suo vicedirettore al telefono, Franceschetti, e gli diceva di andare da lui con una certa fretta e con il libretto degli assegni. E don Salvatore rincarava “noi siamo felici di dare una mano agli amici e fratelli cavesi per consentirgli di mettere su una squadra che possa raggiungere, come successo a Maddaloni, la serie D”. Ed ancora “caro Sindaco lei comprende che non possiamo rinunciare a un così agognato titolo, dopo tanti sacrifici, la città è in subbuglio mattina, pomeriggio e sera e ci tampinano e se ci permettessimo di cedere il titolo potrebbe scatenarsi una la guerra civile. Già c’è stato un corteo di auto, di tifosi che si è recato alla Mec-Sud a protestare vivacemente contro il Pietropaolo. Noi vogliamo esservi vicino e quindi, diteci pure quando vi serve, saremo ben lieti di darvi tutto il denaro di cui avete bisogno”. È inutile dire che il Sindaco di Cava de’ Tirreni se ne andò con la coda tra le gambe, spiazzato dalla dialettica e dalla tattica di don Salvatore. E, da quanto risulta, subito dopo andò da Pietropaolo alla sua azienda “Mec Sud” lamentandosi del fatto che la sua preparazione all’evento non era andata a buon fine e fu inutile preparasi il discorso di un’offerta di dieci milioni per il lascia passare alla cessione del titolo. È inutile riportare le vicissitudini e l’ira di Pietrpaolo nei confronti di Letizia, Lombardi e don Salvatore non solo per la fase debitoria che aveva comportato la gestione del titolo conseguito ma anche le spese che ne sarebbero conseguite e il mancato rimborso per i costi subito da Pietropaolo da parte della squadra cavanese. In effetti le cose per la US Maddalonese in quegli anni non andavano bene e la cessione del titolo avrebbe sistemato i conti in cassa. Ma la vicenda non si chiuse qui, anzi … Ora bisognava andare a Firenze per salvaguardare la legittimità del titolo garantire il prosieguo della US Maddalonese. A Roma oramai non andava più avanti la fusione e bisognava rassicurare Firenze sul debito vantato e sulla proseguo della US Maddalonese. Così, don Salvatore, Lombardi ed altri andarono a Firenze da Ugo Cestani, Presidente della Lega Nazionale Semiprofessionisti. Oltre a don Salvatore e Lombardi, c’era l’avvocato Gaetano Vairo, l’ex calciatore e politico DC Vincenzo Lombardi, l’avvocato Osvaldo De Capua e il Sindaco Giuseppe Caliendo. Il gruppo andò nella sede del presidente a Piazza della Signoria. In quella occasione la parola la prese don Salvatore, non lasciando tempo all’altra parte di intervenire, cosa che fece anche a Maddaloni nell’incontro con il Sindaco di Cava de’ Tirreni. Naturalmente in Lega il Presidente era entusiasta delle rassicurazioni e garanzie avanzate da don Salvatore, sfoggio doti, conoscenze e soluzioni. Però si giunse pure al critico punto della restituzione dei quaranta milioni a Pietropaolo. Don Salvatore fu unico dicendo che “su questo sacro abito talare vi prometto che a Natale, quando nascerà Nostro Signore nelle somiglianze del Bambino Gesù, davanti alla grotta della natività, con i miei amici, lì dove è nato l’odio nascerà l’amore nell’abbraccio fraterno”. Entusiasmo generale, massima fiducia per la nuova US Maddalonese e si andò via dall’ufficio e lungo la tratta per andare a prendere un gelato, di cui don Salvatore era ghiotto (qualcuno ricorda che quando il mercoledì faceva tardi da Roma e sapeva che c’era qualcuno ad aspettarlo portava la torta), con una smorfia rispose alle preoccupazioni di Lombardi del viaggio d’andata circa la soluzione del debito vantato da Pietropaolo. Diciamo che anche questo debito fu considerato una donazione alla crescita sociale e sportiva di Maddaloni. Dunque, accadde che don Salvatore mise alla guida della US Maddalonese l’avvocato Gaetano Vario, poi onorevole della Repubblica, da poco fuoriuscito da un grave lutto familiare e per cui era stato spiritualmente assistito e supportato da don Salvatore il quale si dedicò anche alla sua formazione politica, essendo esperto in quale legale, facendo diventare il suo “delfino”. Il primo anno di presidenza Vairo, la Maddalonese raggiunse i 31 punti, quota salvezza, nell’ultima gara a Nicastro, oggi Lamezia Terme con l’allenatore Antonio Cobuzzi Giglio. Nell’anno successivo, allenatori pria Giglio, poi Morselli (ex portiere del Napoli), poi Santamaria (anch’egli ex Napoli), non si riuscì a centrare la quota salvezza prima dell’ultima di campionato da disputarsi a Maddaloni con il quotato Savoia. I bianco scudati di Torre Annunziata con una vittoria al “Cappuccini”, avrebbero potuto accedere all’agognata Serie C. Le cose non andarono proprio bene fino alla fine della stagione, o quasi, ma comunque all’ultima partita con il Savoia, siamo dunque nell’anno agonistico 1969/1970, taluni amici del Presidente pensando di intimorire la squadra avversaria, dopo il primo gol subito, irruppero dagli spalti alti verso gli ospiti con armi bianche. Scoppiò il putiferio generale, la gara venne sospesa per invasione di campo, la US Maddalonese perse la partita e retrocesse in Eccellenza. Nel mentre don Salvatore inizia a familiarizzare di più all’idea di avere una sua squadra di calcio (si ricorda che don Salvatore con Andreotti condivisero la fede calcistica con il tifo alla Roma). La scelta di don Salvatore di inserire il gioco del calcio era legata sia all’esigenza di dare un senso all’approssimata competizione che si svolgeva nel cortile del Villaggio dei Ragazzi, e talvolta da parte degli esterni anche nella Piazza d’Armi, poi Mercato ed ancora della Pace oggi don Salvatore d’Angelo, fuori lo stesso. Ragazzi di diverse età, con palloni, talvolta improvvisati, con indumenti a fare da limiti e porte giocavano divertendosi anche con piccoli tornei. Don Salvatore voleva dare ordine, regola e formazione a questi. A Lombardi spettò curare i ragazzi destinati al calcio per fare la squadra, e i ragazzi “irrequieti”, per usare un eufemismo, che erano puntualmente cacciati dalle classi, parliamo della Scuola Elementare e Scuola Media, Statali ma annesse al Villaggio, e comunque dei convittori. Lombardi così conquistava la fiducia dei ragazzi. Lombardi ricorda di un episodio in cui un ragazzo era da più di tre ore semi nudo nella fontana al centro del cortile e gli educatori non riuscivano a farlo uscire e solo con suo intervento la situazione tornò alla normalità. Ancora c’era un ragazzo che inizialmente non parlava, estremamente taciturno ed introverso. Nessuna attività, scolastica ed extra, riusciva a coinvolgerlo. Lombardi si inventò, allora, il ruolo del magazziniere della squadra di calcio. Diede a questo ragazzo il compito di preparare borsoni, maglie e completino. Gli diede la responsabilità del materiale tecnico che dal Villaggio doveva essere trasferito al campo sportivo. A quel ragazzo tornò la voglia di parlare e di socializzare … Era prediletto da don Salvatore come piantone fuori la direzione perché era capace di stare fermo per delle ore in modo composto. Si scoprirà poi che il padre era detenuto e nel corso di una libera uscita di qualche ora nel mentre si apprestava ad avvicinarsi, credo fuori dal carcere, al figlio, un raid lo uccise davanti agli occhi increduli del ragazzo che si ritrovò completamente coperto di sangue. In questi contesti e “periferie esistenziali” raccolte e salvate da don Salvatore si svolge la nascita del calcio nel Villaggio organizzato in squadra per età, di coinvolgere con ruoli di “responsabilità” gli “irrequieti”, e soprattutto facendo formazione. Uno degli appuntamenti calcistici interni importanti a cui si dava molta attenzione era il torneo “Padre La Farina”, in memoria del sacerdote assistente del Villaggio. I ragazzi delle squadre erano curati specificatamente nell’alimentazione, nel vestiario, e quanto necessitava. A titolo esemplificativo, visto la miriade di attività interne al Villaggio e la propensione del sacerdote a gestire e autorizzare tutto a monte, tanto è vero che la norma voleva che una qualsiasi autorizzazione, cucina, sartoria, deposito, etc., dovesse passare prima alla firma di don Salvatore, al termine di un percorso amministrativo interno, e poi si poteva procedere. Nel caso della squadra di Calcio a Lombardi era data una certa autonomia, infatti, don Salvatore andava solo a ratificare. Del resto, gli atleti in virtù delle competizioni potevano necessitare di una certa alimentazione, preparato un certo vestiario, piuttosto che un'altra cosa non si poteva attendere i tempi autorizzativi. La squadra del Villaggio inizia nell’anno agonistico 1973/74 con la Terza Categoria con i ragazzi Under 18, dai 16 ai 18 anni. Dall’anno 1974/1975, fino all’anno 1985/1986, continua la partecipazione ai campionati di Provinciali Esordienti e Giovanissimi. Con l’anno 1984/1985 si ha l’inserimento di alcuni ragazzi esterni al Villaggio dei Ragazzi in quanto gli interni iniziavano a tornare a casa il fine settimana e quindi non garantivano la presenza il sabato alla domenica nel campo. Da metà degli anni 70 fino all’anno agonistico 1990/1991 allorquando approda al Campionato Regionale di Promozione segna una serie di interrotte vittorie sempre di grado superiore. Grandi atleti, che annualmente, raggiunta l’età per spiccare il volo don Salvatore cedeva alla US Maddalonese, che per diversi anni allenavo in contemporanea alla squadra del Villaggio dei Ragazzi, o anche ad altre squadre. Basta considerare che molti allievi, raggiunto il periodo che li vedeva fuori uscire dal Convitto nel Villaggio dei Ragazzi, tornavano nelle loro città e spesso li si trovava, nel campionato agonistico, come avversari alla US Maddalonese. Con il campionato 1990/1991 quella del Villaggio dei Ragazzi diventa la prima squadra cittadina perché la US Maddalonese aveva subito due retrocessioni e quindi non è più in gara. Tanto è vero che fu ceduto anche il titolo della Prima Categoria al US San Nicola. Il titolo però non sarò sfruttato per diversi motivi il primo tra tutti è che la US Maddalonese non viveva tempi migliori il che avrebbe confuso la Città circa la squadra che la rappresentava. Il secondo è che si entrava in un meccanismo agonistico e di aspettative, costi, strutture, aspirazioni, obblighi etc. Di conseguenza don Salvatore decise di cedere il titolo alla Città, ovvero alla nascente US Maddalonese e di conseguenza la squadra di calcio della Polisportiva Villaggio dei Ragazzi partiva nuovamente con il campionato degli Under 18, risultandone comunque Campione, riprendendo il percorso iniziato anni prima. Per un espediente di tempi, per conservare il titolo per l’iscrizione al campionato della US Maddalonese, Lombardi dovette anticipare sette milioni e mezzo che poi, dopo un po’ di tempo/sollecitazioni, furono restituiti dal nuovo presidente in carica Ernesto Santangelo. E così don Salvatore per la seconda volta salvò il titolo della US Maddalonese. All’epoca era sindaco di Maddaloni il prof. Gaetano Iodice e il Villaggio dei Ragazzi, ovvero don Salvatore, in questo modo donò alla Città titolo e calciatori per iniziare nuovamente l’esperienza calcistica. Ancora nell’anno agonistico 1992/1993 la squadra del Villaggio partecipò al campionato della Terza Categoria risultandone Campione. Da quest’anno anno agonistico sorgono delle vicissitudini capitate al Senatore Giulio Andreotti. Don Salvatore per evitare che per parlare del Villaggio dei Ragazzi si strumentalizzasse lo stesso per parlare del Presidente Andreotti decide di puntare solo sulla Scuola di Calcio lasciando da parte la partecipazione ai campionati. Furono quelli anni molto duri per don Salvatore, che lo segnarono fisicamente e soprattutto psicologicamente. Vide allontanarsi tanti “amici”, tante persone alle quali aveva fatto del bene e toccò con mano quella che lui sintetizzò con una celebre frase: “L’ingratitudine umana e più grande della Misericordia di Dio. Comunque, aver Fede e far del Bene”. Lombardi ricorda che anche le visite al “Villaggio” diminuirono notevolmente e spesso la sera lo chiamava per avere un po’ di compagnia e per raccontargli le vicissitudini del momento. Per tanti anni, durante le Solenni Celebrazioni di Natale e Pasqua in cui si riuniva tutta la grande famiglia scolastica della Fondazione, aveva il compito di accompagnarlo in Chiesa e non poteva fare a meno di notare un don Salvatore stanco, avvilito, depresso e senza la tradizionale grinta che lo ha sempre contraddistinto. I suoi passi erano lenti e faticosi. Si appoggiava fortemente alla sua persona nel recarsi dal Villaggio alla chiesa del Corpus Domini, nella quale tradizionalmente si teneva la Santa Messa alla presenza dell’allora Vescovo di Caserta, mons. Raffaele Nogaro. Ricorda Lombardi una lunga chiacchierata serale sulle vicende giudiziarie del Presidente Andreotti, dove colpì particolarmente una sua affermazione: “Innocenzo… ormai hanno inventato una nuova professione, adesso la mettono anche sulla carta di identità: la professione del pentito …”. A livello sportivo, quindi, ci si dedicò solo alla Scuola Calcio per i ragazzi interni e al torneo “Padre La Farina”. Il 27 maggio del 2000, come da consolidato cerimoniale, ci si radunò nel grande cortile con tutti i ragazzi schierati per procedere alla chiusura del mese Mariano, dell’anno scolastico ed ovviamente per dare vita premiazione del Torneo, tanto attesa dai ragazzi che potevano così mettere in bella mostra le Coppe e i trofei conquistati. In quella occasione si rivide il don Salvatore di sempre, parlò ai ragazzi con gli occhi lucidi. Era felice di trasmettere le sue raccomandazioni per le vacanze, per gli esami e per il prosieguo della loro presenza in famiglia. Raccomandazioni fatte con il cuore. In quel preciso momento si poteva ammirare il vero don Salvatore, l’uomo, il sacerdote, che non smetteva mai per un attimo di “Andare Avanti” per il suo Villaggio. Tre giorni dopo, l’improvvisa e straziante notizia della sua salita al Cielo. L’azione sportiva calcistica era legata sia al torneo “Padre La Farina” che ai “Giochi della Gioventù”. Il primo era in ricordo del sacerdote padre Salvatore La Farina che collaborava con don Salvatore. Chi ha avuto contatti con questo sacerdote siciliano riferisce che era solito dire di aver lasciato la Sicilia per aver compreso l’opera e l’importanza dell’agire di don Salvatore ed era sempre preoccupato quando era fuori il Villaggio o quando tardava a tornare da Roma il mercoledì. Persona perbene, un sant’uomo sempre disponibile al colloquio con i ragazzi, tanto apprensivo per don Salvatore, al punto che quando questi andava a Roma il mercoledì lui lo aspettava giù preoccupato sul suo stato di salute mascherata dalla domanda in accetto siciliano “faciste cose buone a Roma?”. Morto agli inizi degli anni ’70 don Salvatore, che aveva molto a cuore il mese Mariano e la Madonna, decise di far chiudere, dopo la morte del padre di origine siciliana, il mese di maggio con un torneo di calcio intitolato a lui. Mentre per ciò che concerne i giochi della gioventù don Salvatore, quando si avvicinava il periodo della preparazione, convocava Lombardi chiedendo di supportate il direttore Didattico e il Preside della Scuola Elementare e della Scuola Media Inferiore Statali annesse al Villaggio dei Ragazzi. Anche qui il Villaggio riusciva, come la stampa, non solo del Villaggio dei Ragazzi, testimonia a conseguire successi sia nel calcio che negli appuntamenti con i Giochi della Gioventù. In particolate per il torneo interno, morto Padre La Farina, don Salvatore decide di scegliere un momento dell’anno, quello del mese Mariano, a cui associare il ricordo di questo santo sacerdote. Don Salvatore durante questo mese si soffermava nelle adunate a parlare della Madonna, del fatto che è Madre Nostra e che a Lei bisogna affidarsi e abbandonarsi per la vita. Si ricorda che la Madonnina, la statua, che era nelle scale, la stessa del film “Solo Dio mi fermerà” era portata in processione nel piazzale con tanta partecipazione della comunità del Villaggio dei Ragazzi e qui, in questo periodo, a fine mese, bisognava ricordare, con un torneo a lui dedicato, quel sant’uomo di Padre La Farina. Giunsi fino alla 32° edizione del Torneo anche con qualche edizione realizzata per intervento essendo subentrati i Legionari di Cristo. Mesi prima i ragazzi, in totale autonomia, iniziavano ad organizzare le squadre, dandosi anche nomi altisonanti come Napoli, Juve, Milan etc. Ricordo che dai 20/30 da seguire per la squadra e per la scuola calcio, in queste occasioni, Lombardi doveva seguire almeno il quadruplo dei ragazzi, fino a 120 ragazzi. Don Salvatore diceva “Innocenzo, veditela tu”, il che voleva dire non voglio sentire lamentale ma, voglio che il torneo si realizzi nel migliore dei modi. Si ricorda che quando si disputava di mercoledì e don Salvatore era a Roma capitava che alle 19 in vicedirezione da Franco La Farina don Salvatore chiamava chiedendo di come era andata la partita e se non la cronaca almeno si rassicurava sul fatto che tutto fosse andato bene e nessuno si fosse fatto male. Il torneo, anche dopo la morte di don Salvatore è andato avanti fino ai primi anni dopo il 2000 giungendo alla 32esima edizione, non venne sospeso neanche nel periodo della “chiusura” della partecipazione agonistica della squadra di calcio del Villaggio dei Ragazzi. Andò avanti, anche dopo la morte di don Salvatore, per iniziale disponibilità dei Legionari di Cristo. Circa il sentimento nei confronti dei calciatori da parte di don Salvatore va detto che non faceva distinzione tra i suoi ragazzi, ma per i calciatori, così come per gli altri che portavano il nome del Villaggio dei Ragazzi fuori i confini nostrani l’attenzione era massima e altrettanto il rispetto. Don Salvatore in occasione di importanti partenze radunava gli atleti e li caricava emotivamente e gli dava lo sprint necessario per poter fare bene, ed ancora don Salvatore in esito a rilevanti vittorie o ingiuste sconfitte non faceva mancare il suo apporto psicologico e di figura paterna. “Mens sana in corpore sano” era questo il suo incipit sulla scorta degli insegnamenti che venivano anche da don Giovanni Bosco, protettore di tutti i ragazzi e noi comunità del Villaggio dei Ragazzi. Don Salvatore ci teneva tantissimo al corredo del calciatore e quindi anche delle divise. Massima cura così come tutte le divise dei ragazzi, degli studenti, dei convittori e non del Villaggio dei Ragazzi. Per un solo anno ci fu la sponsorizzazione, anno agonistico 1988/1989 a cura dell’ing. Enzo Penzi, professionista maddalonese. Per il resto sempre tutto a spese del Villaggio dei Ragazzi, divise, trasferte, i pullman della ditta Mataluna. Ai ragazzi spettavano giusto le consumazioni al bar o allo spaccio/salumeria interna al Villaggio di Ragazzi. In particolare, per lo spaccio/salumeria, dove ci si trovava di tutto e a prezzi modici, ci si poteva fare la spesa anche per fuori, e tanti ne approfittavano. Il rapporto tra don Salvatore è il calcio è stato molto importante, l’occasione che dava la squadra di calcio, così’ come le altre componenti della polisportiva, di fare bene e portare in alto il nome della Città e del Villaggio dei Ragazzi la reputava una cosa molto importante per la promozione degli scopi e delle opportunità offerte dalla stessa Fondazione. Basti pensare che, anche prima della creazione della squadra e della scuola di calcio interna, nell’ambino della formazione sportiva interna, già dal 1963 il Villaggio dei Ragazzi annoverava la sua squadra nel Campionato di Prima Divisione dove in panchina si sono succeduti allenatori come Pepe, Biagio Letizia e Corrado Piccolo. Il calcio è stato sempre considerato da don Salvatore come un maestro di vita, capace di impartire lezioni umane ai ragazzi, coinvolgendoli ed emozionandoli più di ogni altra cosa. Fonte: “Villaggio dei Ragazzi” Anno XL, n. 44 nuova serie, dicembre 1991, pag. 13. Titolo: Dai calciatori con affetto lettera a don Salvatore Testo: Caro don Salvatore, dopo tanti anni passati come calciatori nella squadra del Villaggio, questo Natale ’91 ci sentiamo stranamente soli e poco allegri. Questa Festa rappresentava un momento magico per noi, eravamo presenti e sempre emozionati quando insieme con tutti i giovani studenti partecipavamo alla tradizionale celebrazione della S. Messa di Natale con la benedizione del nostro Vescovo. Ci mancherà questo e tant’altro: la frequentazione del Villaggio quando continuavano ad allenarci scrupolosamente anche nel periodo di Natale; il vocio dei ragazzi liberi e gioiosi nel cortile; il silenzio del cortile senza i ragazzi liberi e gioiosi nel periodo di festa; ma soprattutto Lei, Don Salvatore, ci mancherà fortemente. Sentiamo la sua mancanza, laddove la Sua presenza era per noi dimostrazione di grande affetto, segnale di tranquillità e serenità, stimolo di impegno e di carica morale, capacità a realizzare condizioni ambientali e psicologiche per permetterci esprimere sempre al meglio dei nostri valori. Le nostre armi vincenti erano tutte queste cose. E proprio queste sono le cose che più di tutte ci mancano ora che siamo entrati in un mondo calcistico esasperato ed esasperante. Rimane poco per tutte queste cose. Caro don Salvatore, ringraziarla per quanto ha fatto ed è stato per noi, e nel darci appuntamento anche per questo Natale ’91, la salutiamo caramente. I suoi giovani ex atleti Pregi e difetti di don Salvatore Parlare dei pregi e dei difetti di don Salvatore non è facile (e anche difficile parlarne per come lo ha sviluppato a causa dei fatti della vita, principalmente timido) anche perché taluni potrebbero essere dell’una o dell’altra categoria a seconda della situazione. Don Salvatore non era solito fare richiami diretti ma, con interessati in presenza, prendeva a pretesto polemiche con altri presenti adducendo qualche richiamo il cui messaggio andava all’interessato teoricamente estraneo alla vicenda. Don Salvatore era un uomo poliedrico, colto e soprattutto molto buono ed intelligente. Aveva molto senso pratico e cercava sempre di risolvere ogni tipo di problema nel migliore dei modi, cercando di non scontentare nessuno. Per quanti lo hanno conosciuto non andiamo svelare nulla che non è nel “patrimonio di conoscenza” generale di don Salvatore d’Angelo. Per parlare dei difetti possiamo parlarne di uno, forse il suo peggior difetto: testardaggine nell’aver ragione. Tanti gli aneddoti a suffragio; naturalmente don Salvatore voleva avere per forza ragione. Questo essenzialmente per il suo essere testardo su delle posizioni prese e convinzioni del tutto personali. In un alter eco con il segretario Donato Proto mentre questi gli diceva “La vostra presunzione, però, sapete qual è?!”, interruppe ancora il sacerdote “Io sono presuntuoso?!” …..”, replicò Proto “Si!” sempre chiarendo in senso buono e positivo. “Siete presuntuoso perché pensate che da quella parte (indicando la sua posizione dietro la scrivania) ci siano tutte queste prerogative e caratteristiche che individuano la persona di fronte chi è e com’è, guidano la capacità di dialogo e leadership della conversazione. La presunzione vostra è che da quest’altra parte della scrivania ci sono solo str…..” e lui replica “Tu credi che io penso questo?”, Proto “Certo che lo penso!”. Ritornando successivamente sull’argomento e Proto disse “se rapportate quello che ci siamo detti al fatto che abbiamo discusso prima vi rendete conto che ho ragione. La vostra presunzione è che voi pensate di prendere per i fondelli a vostro piacimento tutto il mondo. Attenzione però, è tutto vero quello che dite voi ma domani, davanti a voi potrebbe capitarvi di stare seduto qualcuno che fa la stessa cosa con voi”. “Allora mi devo stare attento?” rispose, “Certamente” replico Proto. L’incontro era quotidiano. Circa lo scontro, in senso bonario, anche questo era continuo nella misura in cui, il suo carattere e il suo carisma erano forti; però, certamente se dovevo eseguire un incarico lo facevo; ma se si apriva la possibilità di dire la mia e non ero concorde lo facevo tranquillamente. Si consideri che senza una sua apertura a dire la propria, guai a chi si permetteva di interromperlo o contraddirlo: era molto formalista, per questo. Nelle tante occasioni di incontro/scontro quotidiano, ricorda Donato Proto, che spesso il sacerdote gli chiedeva “tu che' ne piens?” mai a rispondere come gli altri “don Salvatore avete ragione!”, salvo a crederlo veramente. Donato Proto, quando era necessario rispondeva “don salvatò avit tuortò”, e lui ”comm? teng tuortò!?” ed Donato “me avit ritt che' vaggià ricere a' verìtà? … è così!”. Ed ancora “io penso questo che abbiate torto!”. Nel corso della serata e della nottata don Salvatore faceva il punto su quello che succedeva durante la giornata e pensava anche a queste discussioni. L’indomani mattina, anche presto, chiamava Donato e lo faceva andare da lui. E qui lo accusava di non averlo fatto dormire per le cose che gli avevo detto aggiungendo “forse tien ragion tu!”, ci metteva sempre il “forse” sia chiaro, anche quando ne era convinto. Un altro “difetto” è legato alla sua opera infatti era molto rigido nelle regole interne del Villaggio. Una rigidità che era tale sia con il personale che con i ragazzi, i suoi fanciulli, anche se soprattutto per il personale. Alla fin fine i fanciulli li comprendeva perché erano ragazzi. Il personale no, perché la visione dei “suoi” collaboratori doveva essere sempre improntata al bene del Villaggio. La sua espressione nei confronti dei dipendenti era: “Stammece accort e’ guagliun! Pecchè ccà senz e’ guagliun nisciune e nuj è nient!”, aggiungendo “soprattut vuj che vaggiu fatt prufussur!”. Ancora tra i difetti vi era la diffidenza, non credeva nelle cose che gli dicevano gli altri! Era diffidente, per la serie se ne usciva, dopo che era tutto assodato con “ma sì sicur’?”. Donato Proto racconta un aneddoto in tal senso: “Un giorno mi diede dei documenti che non avrebbe dovuto vedere nessuno; mi dissi di sigillarli in una busta con in bella vista la nota di non toccare. Cioè che solo lui poteva aprirla e quanto ne consegue. Dopo un paio d’ore con un fare preoccupato mi chiama per sapere dove avessi messo quei documenti. Risposi che come da sua indicazione avevo messo il tutto nel fascicolo. Al chè mi domando “ma sì sicur?”, certamente gli risposi lo avevo da poco fatto. Dubitando della cosa ,mi chiese di andare a prendere il fascicolo. Arrivato con il fascicolo me lo fece aprire e vedendo il contenuto con la busta e l’annotazione e il tutto come richiesto, si tranquillizzò”. Altro difetto del sacerdote era la maniacalità nel sistemare i documenti nei fascicoli; periodicamente e diceva ai suoi collaboratori, temendo che il tutto non fosse amministrativamente e burocraticamente sistemato come lui diceva, “gagliu mettèt e' cartè appostòò”. Magari qualche cosa non era stata fatta con l’iter più opportuno. Se ne usciva con “avit fatti e' imbroglì, e mo' mettite e' cartè a postò”. Nulla di compromettente si intende, solo che se le “carte” non stavano a posto la colpa era nostra. Parlando dei difetti, se tale si può definire, don Salvatore amava il gelato e non permetteva ad altri di leggere i suoi giornali. A quelli che gli chiedevano di dare una occhiata ai suoi giornali mandava a comprare una copia. Era pericoloso accompagnarlo in giro per la città con il portafoglio pieno, perché esauriti i suoi soldi che distribuiva a tanti bisognosi che lo avvicinavano chiedeva all’accompagnatore di prestagliene un pò dei suoi. E qui il guaio! Spesso dimenticava di ridarli e e il malcapitato non aveva il coraggio di chiederglieli. Ad onor del vero bisogna dire altresì che verso i collaboratori era oltremodo generoso e quindi compensava ampiamente la cosa. Come pregi, uno sopra tutti gli altri il donarsi completamente e incondizionatamente ai “suoi ragazzi”. Ancora dei pregi va detto che gli bastavano poche parole di conversazioni per comprendere l’interlocutore, comportamento ed esigenza. Tendenzialmente quando don Salvatore non conoscenza la natura di un particolare argomento tendeva a non parlare ma si preoccupava di andare ad approfondire e poi era capace di fare lui stesso lezione al suo primo interlocutore. Diventava lui stesso “professore” della materia, perché aveva l’abilità, la perspicacia nell’inquadrare subito le cose. Del sacerdote riferisce Antonio Ciontoli: «Don Salvatore è stato per me un riferimento ed un grande sprone, soprattutto per la modalità con cui mi descrisse i motivi e le ragioni del perché un cattolico deve sentire forte l’impegno per la civitas e la polis. Ricordo, infatti, questo omone, burbero per molti, ma garbato ed accorto in ogni incontro che abbiamo avuto, avere un grande senso dello Stato e lo sguardo lungo della cd prima repubblica. Checché se ne dicesse, perché è chiaro che non tutti esprimevano opinioni concordi sul ruolo di prete, don Salvatore è stato un fine e potente politico. Il motivo di tutto ciò? Il suo personale tornaconto? La Sua Chiesa, il bene comune ed in primis dei Suoi ragazzi. A differenza di quanto a volte accade, in una funzione in cui si è dapprima uomini, Don Salvatore è stato un grande uomo di Chiesa anche perché il frutto del suo operato, costituito anche da donazioni e da un infinito patrimonio, è stato lasciato alla nostra curia diocesana il che ha derubricato quel suo attivismo ad un impegno nobile, vero e puro, nell’interesse esclusivo della Chiesa Casertana. Ricordo che questo merito veniva riconosciuto a Don Salvatore anche dal Vescovo Nogaro. Uomo riverito e, pertanto, poco amato, Don Salvatore è stato apprezzato forse più a Roma che a Caserta poiché considerato, prima di tutto e di ogni cosa, un Sacerdote». Parlando dei pregi di don Salvatore Anna Giordano afferma che don Salvatore ha avuto «Il pregio di aver guardato all’altro, di aver colto le esigenze del momento storico in cui si viveva, di aver “inventato” modi per affrontare le difficoltà e assicurare lavoro ai giovani. Per la professione che svolgevo quale coordinatrice dell’Ufficio Studi e Programmazione del Provveditorato di Caserta l’ho seguito e apprezzato quando istituì nuove scuole nel Villaggio, come l’Istituto Tecnico Aeronautico, il primo in Terra di Lavoro.». Di don Salvatore ha detto Michele Vigliotti: «"Sono stato un amico di don Salvatore, come lo può essere un professorino nei confronti di un uomo potente e dal grande cuore; ma mi voleva bene e glielo ricambiavo, sono stato docente del Linguistico in aggiunta al mio orario di prof. statale, sono stato democristiano ed andreottiano perché Lui me lo chiese. Ed ho sempre avuto un’ammirazione sconfinata per ciò che quell’uomo era stato capace di costruire, per quello che aveva dato a Maddaloni. Figurarsi oggi come mi sento, già orfano di don Salvatore, a cui ho dedicato anche il mio primo fortunato libro, di fronte allo scempio che si compie della sua eredità culturale, umana e materiale. In quella struttura dove solo il preside Nardi e pochi altri laici si salvano, l’irruzione di questo manipolo di “avventurieri con la croce” ha portato il caos; una gestione che è sempre stata oculata ed attiva è stata stravolta da personaggi clowneschi e da preti il cui mestiere ovviamente dovrebbe essere altro che gestire una struttura gigantesca e multiforme come la fondazione; 15 milioni di debiti, scuole prestigiose già smobilitate o a gravissimo rischio di chiusura, 90 dipendenti a tempo determinato licenziati, altri che potrebbero seguirne la triste sorte a breve. E cosa fanno i famosi “Legionari stranieri”? Mendicano qualche centinaia di migliaia di euro da Provincia e Regione, dimenticando che, essendo essi i responsabili di questo disastro, dovrebbero por mano ai miliardi che la Congregazione ha sparsi per il mondo o custoditi nello IOR, perché chi rompe paga. Se invece il gioco fosse quello di vendere il patrimonio immobiliare considerevolissimo della Fondazione, tra Maddaloni, Rimini e Roma, allora saremmo davvero di fronte a degli infami. Non so se il sindaco di Maddaloni si sia resa conto di quale tragedia incomba sulla città; sarebbe l’ennesima spoliazione di una città che proprio dei politici con le palle avevano dotato di centri di propulsione, volano di sviluppo ed occupazione; l’elenco di ciò che gli eredi di don Salvatore, Pellegrino, Rosati, Caliendo, Cardillo e Lurini si sono fatti sfilare con larghi cenni di benevolenza al potente di turno, che si fregava la SIEMENS e poi la Pretura, e poi l’Ospedale e poi le caserme di specializzazione, è infinito, e potrebbe, vista la scadente qualità dell’attuale classe politica, concludersi con la chiusura del Villaggio. Quale reggente dello Scientifico Statale sto ricevendo in questi giorni le iscrizioni degli studenti del soppresso Scientifico della Fondazione Villaggio dei Ragazzi, capitanato finora con dedizione da Claudio Petrone; sono smarriti e delusi, e non vorrei che fossero solo l’avanguardia di un esercito che comprende alcune tra le più prestigiose scuole della Provincia. Sindaco, svegliati, altrimenti questa fosca previsione diventerà nera realtà. MADDALONI DEVE DIFENDERE CON LE UNGHIE E CON I DENTI QUESTA TRINCEA DI CULTURA. Lo dobbiamo alla memoria di don Salvatore la cui creatura non può morire per mano di un pugno di preti maldestri"». Nel corso del convegno dell’aprile 2016 nella Sala “Settembrini” del Convitto Statale Nazionale “Giordano Bruno” di Maddaloni, Michele Vigliotti rettore sottolinea come l’esperienza biografica di don Bosco e di don Milani abbiano una corrispondenza con quella di don Salvatore d’Angelo per le avversità (anche in una parte del clero) a cui ha dovuto far fronte. Uno, nessuno e centomila Don Salvatore era perspicace e alle persone di cui si fidava faceva partecipare a incontri occasionali o programmati come Rosati, Scotti, Pozzi, Pomicino, Mancino. In quei momenti in don Salvatore si adattava alle situazioni, Innocenzo Lombardi ad esempio in questi casi diceva di vedere nel sacerdote Totò, De Filippo, Gassman, Sordi e altri grandi attori nelle loro migliori performance. In base all’interlocutore o al tema era capace di cambiare umore, sentimento e tono di voce con il semplice varcare la soglia del suo ufficio o porre sull’apparecchio la cornetta telefonica. Certo è che in alcune occasioni si arrabbiava notevolmente, basti pensare, ad esempio, a talune telefonate a cui Lombardi ha assistito in cui la vicenda riguardava il Macrico, sua grande operazione che lo rese artefice della restituzione alla città di Caserta, ma forse questa cosa è stata dimentica! Di don Salvatore si sentiva parlare ovunque da come abbiamo riferito in più occasione e ci testimonia Antonio Ciontoli, ad inizio anni 90, agli albori della sua vita politica: «Sentivo parlare spesso di Don Salvatore D’Angelo, un prete che aveva fatto un lavoro straordinario con i giovani e che aveva fondato il Villaggio dei Ragazzi in quel di Maddaloni. Un uomo forte, in un territorio difficile dove la tenacia può derivare solo dalla conduzione di una mano e da una ispirazione superiore. In ogni contesto, prima o poi, mi ritornava il suo nome, a Caserta come a Roma, dove mi recai in occasione di assunzione al Ministero e dove rimasi per circa 9 anni». Aggiungendo poi «Conobbi don Salvatore, per caso, sulle scale della Curia casertana in Via Redentore. Un giorno recandomi in ambienti Fuci e passando successivamente a salutare don Mimì Vozza, segretario del Vescovo Nogaro, incontrai sul pianerottolo questo uomo che, per la sola dimensione fisica ed il portamento, incuteva timore reverenziale e rispetto. Sulla talare nera spiccava la sua inseparabile sciarpa di seta bianca con cui usava adornare il suo vestiario. Un vezzo, ma forse qualcosa di più. Quando la calzava, lunghissima e candida, era come quando metteva la stola ed i paramenti per dire messa, un momento centrale della sua vita pubblica che assumeva tratti di ufficiale sacralità. Un tocco di eleganza e di leggerezza posto a corredo di un abito umile in cui si sommava un ruolo di grande valore. La sua profezia e la praticità di vita lo hanno reso un perno della storia politica e sociale del nostro territorio. All’inizio, tentennai, mi limitai ad un semplice saluto, poi fatti due scalini, preso il coraggio a due mani, esplosi, contrariamente alla mia indole riservata, con gran fiato ed un filo di voce. “ Don Salvatore la disturbo? Posso fermarmi un attimo?”. Ricevuto il suo assenso con un sorriso ed una mano tesa, in due parole gli espressi il desiderio di poterlo incontrare qualche volta, quando e dove avrebbe voluto. Lui, senza giri di parole, mi invitò a raggiungerlo una mattina presso il Villaggio dei Ragazzi dove avremmo potuto parlare a lungo liberi da interferenze. La sua disponibilità fu offerta anche per parlarne qui a Caserta, in Curia, ma a Maddaloni avremmo avuto più tempo. Ovvia la mia scelta, anche perché, l’incontro non programmato con Don Salvatore era un crocevia ed un susseguirsi di incontri di mani che si stringevano e di ragionamenti vari aperti, appuntati nella sua memoria e rinviati ad appuntamenti successivi. Quella rampa di scale, talvolta, assisteva alla sua discesa anche per più di un’ora, rimanendo testimone della centralità di quest’uomo per la diocesi casertana». Ed ancora «Poter incontrare Don Salvatore, sapere di avere del tempo e che nessuno ci avrebbe disturbato, poter parlare di politica, di alta politica, assumeva per me il valore di quell’esame tosto, per il quale ti senti pronto e preparato, ma in cui il risultato è psicologicamente condizionato dalla fama e dal nome autorevole del professore. Nella circostanza il rapporto sarebbe stato tra un volenteroso aspirante esordiente ed un riconosciuto vate di illustri politici nazionali e locali». Parlando del primo incontro a Maddaloni nella direzione del sacerdote riferisce: «Il giorno dell’appuntamento, come tutti i grandi appuntamenti della vita, arrivai una ventina di minuti prima, il custode mi fece sedere nella saletta antistante lo studio che era già aperto con Don Salvatore che faceva e riceveva telefonate. Ancora una volta il suo volto si aprì in un gran sorriso vedendomi. Tra di noi faceva da spola la nipote che, con un andamento quasi danzante, si spostava tra la saletta, il telefono e lo zio. Lei lo ossequiava in tutto, spesso anticipandolo nei suoi sguardi di guida e direzionamento. Il loro gran cruccio le continue telefonate che, per quanto importanti e talvolta attese, rompevano l’armonia e la sacralità di quel momento riservato agli appuntamenti con gli amici ospiti. In quei pochi attimi ebbi conferma della sua fama. Don Salvatore, comandava eccome, sapeva farlo con determinazione ed autorevolezza, salvo a cambiare tono della voce quando pensava di essere stato duro. E, sapeva anche esserlo, all’occorrenza!». Un ricordo globale su don Salvatore a pochi anni dalla morte del sacerdote, lo offre lo stesso giornalista Franco Tontoli, all’Eco di Caserta, a cui fu affidato l’onere di coordinare l’informazione della nascita al Cielo del sacerdote. Innanzitutto, fa una panoramica su “O' prevete” e il loro rapporto nato quando il giornalista era ancora un bambino e il Villaggio dei ragazzi si chiamava ancora la “Casa del Fanciullo”. Legame rinsaldatosi con il tempo diventando esso stesso parte della numerosissima famiglia del Villaggio ovvero di don Salvatore. Tontoli racconta che è nato a Maddaloni da genitori maddalonesi e che il nonno materno, Francesco Ginolfi, aveva un'azienda di abbigliamento militare con camiceria e affini collocata in quello che dal 1947 diventa la Casa e poi Villaggio di don Salvatore. In effetti la grande struttura attuale, pur avendo ricevuto nel tempo delle riorganizzazioni ed ampliamenti degli spazi, con l’arrivo di don Salvatore, nei suoi numerosi anfratti, aperture e spazi occupava sfollati, attività, locali di pubblica necessità e tanto altro. Del resto fin tanto che era Quartiere sede dell'Accademia della Guardia di Finanza e di reparti vari vi erano i militari salvo la destinazione particolari di alcuni locali come quelli occupati dall’attività di Francesco Ginolfi, ma dopo i locali restarono liberi. In particolare, Tontoli ricorda che dopo l'8 settembre 1943, l'addio alle armi e fine dell'attività di suo nonno che, comunque, aveva mantenuto i locali, quando don Salvatore, appena ordinato sacerdote, decise di fare il prete nella sua disastrata città e darsi da fare per l'assistenza all'infanzia e alla gioventù sbandata dalla guerra, trovò un aiuto anche in suo nonno che ne favorì la sistemazione nel Quartiere, adoperandosi con ufficiali del Commissariato militare perché chiudessero un occhio sulla occupazione dell'immobile demaniale. In effetti se da un lato tanti della Maddaloni “bene” contrastavano l’agire di questo prete, tanti altri ne sostenevano l’operato. Tontoli, al di là di questo supporto sostiene che la Provvidenza e la determinazione di don Salvatore fecero il resto. Tra le altre cose, in questa linea ci sono tante altre testimonianze tra cui una di Giuseppe Vigliotta che racconta come nel 1953/1954 una mattina giunsero dei camion per sequestrare tutto quante vi era nel Villaggio per pignoramento a fronte di debiti non pagati e nel giro di qualche minuto i mezzi andarono via, vuol dire o che qualcuno si era preso l’impegno di pagare al posto suo o comunque aveva garantito per lui: intanto non si sono più rivisti quei mezzi e l’ufficiale per il pignoramento. Tornado al giornalista Tontoli questi ricorda che erano grandi feste tra il “il prete” e suo nonno quando si capitava alla Casa/Villaggio, e grosso modo il suo ricordo è collocabile al 1951. Questi momenti il piccolo Franco li viveva soprattutto in occasione dei festeggiamenti patronali di settembre, in quella occasione dalla vicina Caserta in cui la famiglia si era trasferita dopo la sua nascita tornava alla terra natia. Di quegli anni Tontoli del sacerdote ricorda la sua giovialità , era sempre sorridente, aveva le caramelle sempre a portata di mano. Ed era molto diligente, infatti, mentre parlava con chicchessia teneva d’occhio i ragazzi scatenati nel cortile, tutti a correre dietro alle palle di carta. Bastava un'occhiata a un istitutore e quello già capiva dove doveva intervenire, se calmare o lasciar fare i ragazzi, dirimere qualche contesa fra gli scugnizzi. I rapporti crescendo scavalcarono le relazioni familiari e divennero dirette tra il 1964/1965 allorquando Franco iniziò la collaborazione giornalistica con Il Tempo (di cui era capo redattore per Caserta Riccardo Scarpa e lui ne divenne il vice), dove tra una telefonata e l’altra, un augurio e ml’altro, un articolo e l’altro il tutto sfociò per il giornalista nella collaborazione con il giornale del Villaggio dei Ragazzi che era diretto da Federico Scialla, che per lo più consisteva in due numeri all'anno, uno a Natale e uno a Pasqua come album di due semestri di attività del Villaggio dei Ragazzi e delle attività di don Salvatore. Tontoli racconta che il rapporto tra i due è stato strettissimo, gli voleva un gran bene e lo stimava; scriveva della vita del Villaggio, dove non c'era nulla da reclamizzare in quanto tutto si reclamizzava da solo, basti pensare alle conferenze affidate ai premi Nobel Rubia, Montalcini, le visite di Giulio Andreotti e le tappe del Giro d'Italia. In queste ultime occasioni ebbe modo di conoscere Vincenzo Torriani, patron del Giro, e fatto amicizia con il figlio Marco,ricordando che Torriani stravedeva per don Salvatore. Circa gli insegnamenti ricevuti Tontoli riferisce che ciò che gli ha insegnato sicuramente è l'avere sempre grande fiducia nella Provvidenza, non scoraggiarsi mai, ponendo uno sguardo in Alto e pedalare,perchè i risultati arrivavano. Ricorda uno dei tanti momenti di criticità delle finanze per il Villaggio e don Salvatore alle prese con il problema-panettoni natalizi per la strenna a tutti i ragazzi e ai dipendenti. Il cruccio di don Salvatore: "Dove li piglio i soldi per circa 1500 panettoni?", fa una telefonata a Giulio: "Ci sarebbe un'aiuto?". Tempo dieci minuti, al telefono c'è un cardinale, deferenza di don Salvatore e l'interlocutore a rammentargli i tempi trascorsi in Vaticano, insieme nel Collegio Francese, il percorso sulla strada della diplomazia vaticana interrotto per fermarsi a Maddaloni. E don Salvatore a dargli dell'“Eminenza”. Poi dall'altra parte del filo: "Ho saputo dei panettoni, domani saranno lì". L'indomani un autocarro scaricava il dono "spontaneo" di una grande industria piemontese legata alla famiglia Agnelli. Don Salvatore, al fidato Tontoli: "Franco, che ti dicevo? La Provvidenza!". Non era difficile rapportarsi con don Salvatore, capiva tutto e tutti, leggeva nel pensiero, intuiva crucci, provvedeva con soluzioni. Il timore di non poter ricambiare adeguatamente era paralizzante. Intuiva anche questo. "Basta che mi si voglia bene e non tanto a me – diceva - soprattutto al Villaggio". La Provvidenza per lui e lui provvidenza per gli altri. Senza distinzione di sorta, men che meno di tessere di partito. Lui anche politicamente impegnato nella DC, aveva centinaia di tifosi tra i comunisti, quelli di una volta, ruspanti, giustamente rivendicativi in epoche di diseguaglianza sociale. Don Salvatore a Maddaloni ha dato tutto, continua a riferire Tontoli nel suo racconto. Bastava che vi fosse, ad esempio, un maddalonese ai vertici della Guardia di Finanza, e per riflesso si vedano quanti ragazzi maddalonesi vestono le Fiamme Gialle in quel periodo. Don Salvatore si adoperava per tutti, soprattutto grazie al suo amico Giulio, frusinate ma maddalonese ad honorem per quanto s'è adoperato tramite "o' prevete". Ma chi era don Salvatore?: “un grande figlio di buona donna”, con rispetto parlando. Infatti, non c’era nessuno in grado di prenderlo per il naso. Lui lo faceva da sé, se proprio ce n'era necessità , sempre in buona fede e a fin di bene. Quando eccedeva in complimenti e salamelecchi verso qualcuno, poi ammiccava: "E' uno che lo vuole. A darglielo non si paga nulla; hai visto com'è contento? Anche questa è un'opera di bene". Indubbiamente era una persona precisa, basta pensare che catalogava tutto e aveva un fascicolo su tutti. Vi è poi esempio per tutti. Il fatto riguarda il primo giorno di scuola, dopo la cerimonia dell'alzabandiera, il ritorno alla scrivania, una grande tabulato davanti e lui a limare con matita e gomma. Orari di lezioni? No. L'ordine delle partenze dei ragazzi per le vacanze a Roccaraso e Torre Pedrera. E a luglio, mentre i torpedoni partivano con i ragazzi in vacanza, dopo il saluto, il ritorno alla scrivania, stesso foglio, stessa gomma. Erano gli orari delle lezioni e la disponibilità dei professori per l'anno scolastico che sarebbe cominciato a ottobre... Rapporti tra don Salvatore d’Angelo e le Istituzioni Provinciali, Regionali e Nazionali Don Salvatore si è sempre preoccupato di avere rapporti buoni con tutti quanti. Lui difficilmente si muoveva; diciamo che piuttosto erano gli altri che venivano al Villaggio. Nel periodo in cui Nicola Mancino era Presidente della Regione Campania lo stesso stava spesso al Villaggio. Molti politici e parlamentari, anche i nazionali, si servivano del Centro Grafico Editoriale, del buon collaboratore Leonardo De Lise di Valle di Maddaloni, per la riproduzione di interventi e libri. In questo contesto va citato anche un altro giovane collaboratore, allievo dello stesso Villaggio, Salvatore Renga che ha diretto per lungo tempo il “Centro Grafico Editoriale” della Fondazione che pubblicava centinaia di lavori sia per uso interno che per “Amici del Villaggio”; ha curato il Centro di produzione programmi audiovisivi che ha “registrato” gran parte della vita della Fondazione. Su questo il quotidiano Avvenire (lo stesso quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana il 31 maggio e il 1 giugno 2000 da dedicato spazio alla nascita al cielo del sacerdote) a firma di Gianni Ruggiero ne fece uno speciale approfondimento domenica 3 aprile 1988, dal titolo “Un centro di produzione – Programmi televisivi”. Nello stesso settore vi operava anche (Raffaele) Lello Di Nuzzo (e negli ultimi anni anche Vincenzo Lombardi). Anche a livello Provinciale e singoli primi cittadini di Terra di Lavoro (uno per tutti il sindaco di Maddaloni Gaetano Pascarella poi senatore e sottosegretario di Stato alla Pubblica Istruzione) e non solo, di cui per opportunità si evita di far nomi, erano di casa la Villaggio. Oltre allo stesso Andreotti, a cui era riservato un appartamento in via esclusiva, ad essere di casa (nell’appartamento di don Salvatore vi sono entrate alte autorità e persone importanti perché don Salvatore era solito dimostrare la propria umiltà e vi era la presenza delle sorelle Lombardi. Era un luogo informale e anche Andreotti una sera con il sacerdote hanno mangiato con un panino e un bicchiere di vino in semplicità mentre vedevano una trasmissione con ospite Andreotti stesso. Dopo la morte del sacerdote nessuna personalità più i nuovi amministratori hanno fatto avvicinare all’umile alloggio del fondatore o delle nipoti. I legionari non sono mai stati ospiti nell’appartamento, anche per visita di cortesia, di don Salvatore con lui in vita) e usufruire dei servizi e dei mezzi del Villaggio vi era l’on. Elio Rosati, soprattutto se erano belle giornate, diversamente preferiva non uscire, veniva e si metteva in una stava che don Salvatore gli destinava e, solitamente, nel salone, a fare le sue cose soprattutto nei tempi di massimo splendore; stesso discorso per gli altri di cui tanto hanno parlato, non ora, ma negli anni, per cinquant’anni, le cronache. Il rapporto con Rosati è stato unico e del resto, in occasione della festa dei quarant’anni del Villaggio, nel 1987, al fianco di Andreotti da un lato vi era Elio Rosati e dall’altro Salvatore Cardillo – all’epoca Sindaco della Città. Personaggi che, oltre alla politica e all’amicizia, condividevano con don Salvatore i valori del Villaggio e dell’assistenza ai minori abbandonati. Aveva ottimi rapporti con i parlamentari degli altri schieramenti, anche quelli opposti come Francesco Lugnano (amico e legale di don Salvatore nella vicenda dell’incidente stradale negli anni ‘60. Anche il fratello Silvio Lugnano era amico di don Salvatore) ma più di tutti Salvatore Pellegrino del Partito Comunista che nonostante le dicerie e i dispettucci dei comizi dove don Salvatore faceva in modo di parlare in piazza dopo il comizio del comunista per contestargli l’intervento, i due erano molto legati per il bene della città e del Villaggio e non era raro che nottetempo si incontrassero, anche perché Pellegrino era dirimpettaio dell’ingresso del Villaggio dei Ragazzi. Nel suo ricordo Antonio Ciontoli ci ha riferito, rispetto al tema dei rapporti e il ruolo, che di fatto don Salvatore è stato nella sua vita un grande, riferimento di tanti politici e personalità, è stato anche una persona che nella sua semplicità, non avendo mai assunto ruoli di vertice nella diocesi, è stata capace di rivoltare il mondo intorno a sé, facendo viaggiare, con forza ed autorevolezza, il nome di Caserta, di Maddaloni e di tutta Terra di Lavoro. Una figura che oggi, purtroppo, ci manca ... soprattutto se riferita a quei giovani ai quali si chiede un avvicinamento alla politica, ma che non troveranno più interlocuzioni capaci di spiegare loro che la politica non è una cosa inutile, una mera esibizione o la ostentazione di vuoto ed interessato status ma la necessaria rappresentazione di una buona testimonianza e di pratiche amministrative gestite con laborioso impegno e nell’orizzonte del bene comune. Don Salvatore e Giulio Andreotti Per quello riguarda il rapporto tra don Salvatore d’Angelo e Giulio Andreotti da quanto riferiscono le persone che assistevano ai loro incontri va detto che erano due fratelli, non dello stesso sangue, ma della stessa mentalità. Il mercoledì era destinato per don Salvatore ad andare a Roma perché il Giulio faceva studio. Il tutto a meno ché l’uno o l’altro avessero qualche impegno più importante. Andreotti aveva destinato il mercoledì per ricevere le persone in via privata e soprattutto era immancabile don Salvatore. Qui nello studio a Roma riceveva persone che non voleva ricevere in modo pubblico. Inizialmente il Presidente aveva lo studio a piazza Montecitorio, poi a San Lorenzo in Lucina, con l’archivio a Via Borgognona, una parallela di Via dei Condotti. Don Salvatore tornava utile ad Andreotti per il suo ottimo francese; quindi, a volte gli serviva da interprete e poi perché per le cose delicate si consultava prima con lui e poi prendeva una decisione. Queste occasioni erano propizie per lo stesso don Salvatore per conoscere autorità e personalità, pubbliche e private, di cui poi nel tempo ha avuto modo di chiederne la collaborazione per il Villaggio, fosse anche solo per organizzare un evento con la personalità nota di cui all’incontro privato. Si ricordano personaggi lì incontrati e poi portati al Villaggio a Maddaloni come i premi Nobel Zichichi, Rubbia, Esaki ed altri, tanti altri che, poi, vennero a Maddaloni per conferenze pubbliche di altissimo livello. Il contatto tra i due era raro, più che raro per telefono. Era diretto, personale, fisico. Ogni cosa la dovevano scambiare di persona, sempre senza intermediari. La loro intesa era talmente penetrante che non avevano necessità e bisogno di mettersi d’accordo prima; l’abilità di guardarsi negli occhi e capirsi, anche se dell’argomento non si erano mai parlati. Mai uno screzio tra i due. Grande stima ed affetto reciproco. Era due fratelli compagni. Il Senatore aveva un appartamento nel Villaggio esclusivo e sempre per il Senatore vi era un appartamento a Torre Pedrera, dove lo stesso alloggiava con la consorte per essere libero delle interferenze che avrebbe avuto in albergo. Negli appartamenti Andreotti aveva ogni confort e strumento di lavoro (telefono, fax, etc). Lo stesso Andreotti, ad esempio capitava di venirsene a Maddaloni se aveva da fare delle cose importanti, o voleva trovare momenti di concentrazione e riflessione. Non sono state poche le occasioni nel periodo dei due processi penali ad Andreotti, quello di Perugia e quello di Palermo. Tanti sono i doni che Andreotti ha fatto a don Salvatore ovvero al Villaggio, alcuni anche di valore che impreziosiscono stanze e pareti della fondazione maddalonese. Tra i doni c’è una utilitaria, prototipo unico, che fu regalata ad Andreotti da una delegazione del Governo Giapponese in visita a Roma. Macchina perfettamente funzionate a tutti gli effetti. E Andreotti, appena ricevuta, negli anni’90, la donò al Villaggio. Era tanto importante che, sulle prime, fu sistemata al centro del salone di rappresentanza, poi nell’autorimessa e, infine, nell’attuale posto sul cortile piccolo che affaccia su piazza della Pace. Ogni tanto veniva messa in moto e fatta girare per qualche minuto ma, poi, ritornava al suo bel posticino quasi come una reliquia. Del resto, lo stesso don Salvatore non la guidava per quanto fosse patentato. In effetti, per quanto si sa, negli anni ‘60/’70 a seguito di un incidente sulla strada per la Colonia estiva, don Salvatore, che non era solo in auto, ebbe ad investire e ad uccidere un militare che camminava sul ciglio della strada per far rientro in caserma. Fu un momento tragico per don Salvatore che da quel momento decise di non guidare più. Però ogni anno, puntualmente, faceva tante storie per il bollino della patente o comunque per rinnovarla periodicamente. Don Salvatore, a suo tempo, era molto pratico con l’auto, si muoveva da solo e andava ovunque, soprattutto a Rimini. Un personaggio del genere, della sua intelligenza, non poteva non saper guidare un’automobile. Circa l’appuntamento romano riferisce Antonio Ciontoli: «Un giorno mi promise, a decisione assunta e ad impegno politico intrapreso, di portarmi con lui a Sant'Andrea in Lucina che per me non diceva nulla, salvo ad appurare, non essendo ancora l’epoca delle ricerche online, che era la sede prestigiosissima dove lui stesso faceva, se non sbaglio il mercoledì, segreteria politica presso lo segreteria di Giulio Andreotti. Veniva l'autista da Roma a prenderlo. A me raccomandò di arrivare una mezzora prima, poiché a Roma doveva essere puntuale ed aveva da fare e fin dalle 14,00 ci sarebbero state decine di persone ad attenderlo. Quando fummo a Roma la sala d’attesa era già piena: professori universitari, uomini di cultura, ambasciatori erano lì in attesa di questo prete che dal piccolo mondo della sua Maddaloni era diventato punto di riferimento, sintesi politica ed uomo impegnato in attività culturali per conto della DC. Ambasciatori, Generali e Capi di Stato Maggiore colloquiavano con lui di tutto... Era una missione la sua che lo portava a sommare alle mille problematiche della quotidianità dei suoi ragazzi le infinite criticità nazionali che questi uomini di stato conferivano nelle sue mani per una cosciente disamina. Quel pomeriggio riempii la mia borsa di un quantitativo di libri e pubblicazioni che raccolsi lì sugli scaffali ed ad altri ne portai, come pezzi rari, sotto al braccio allontanandomi e lasciando Don Salvatore impegnato almeno fino a notte fonda, in una sala gremita e piena di fumo». Andreotti per il suo legame con Maddaloni riceverà la cittadinanza onoraria il ……………….. "Grazie, grazie di cuore per il vostro affetto. Accetto questa stupenda scultura e la pergamena, simbolo della cittadinanza onoraria, con grande riconoscenza e gratitudine e come un dono per la memoria e l'opera di don Salvatore D'Angelo. Un grande prete, che ha fatto tanto per Maddaloni e per tutti coloro che erano in momenti di bisogno". E' stata una cerimonia di grande intensità umana e spirituale, ma con un altissimo valore politico e istituzionale per l'intera comunità maddalonese la consegna della cittadinanza onoraria di Maddaloni al senatore a vita e sette volte presidente del Consiglio Giulio Andreotti. Uno studio invaso dai labari e dal gonfalone del Comune di Maddaloni. L'onorificenza è stata consegnata questa mattina, a Roma, al Senato, nello studio privato del senatore a vita, a Palazzo Giustiniani, dal vicesindaco di Maddaloni Ciro Izzo e dall'ingegnere Claudio Petrone dell'associazione Nuova Primavera e da Luigi Ferraiuolo, de l'Eco di Caserta. Al senatore la città di Maddaloni ha donato, nel ricordo del legame indissolubile tra, il Villaggio dei Ragazzi, di cui Andreotti è presidente onorario, e la città, una scultura in bronzo raffigurante i simboli della comunità calatina: la Torre, San Michele, la fontana della città e del Villaggio, realizzata appositamente per l'occasione dal sacerdote artista don Battista Marello; e una pergamena contenente la delibera consiliare all'unanimità e la motivazione. La delegazione comunale era guidata dal vicesindaco di Maddaloni Ciro Izzo, considerata l'indisponibilità dell'ultimo momento del sindaco Antonio Cerreto, che ha inviato però un suo messaggio di saluto e di gioia al senatore Andreotti; mentre la delegazione delle associazioni che hanno promosso l'iniziativa era composta da Claudio Petrone, presidente dell'associazione Nuova Primavera; e Luigi Ferraiuolo, responsabile dell'Eco di Caserta. La delegazione comunale era composta altresì dai vicepresidenti del Consiglio comunale Salvatore Tramontano e Giuseppe Di Nuzzo. "E' un momento di grande gioia per la comunità di Maddaloni – ha detto il vicesindaco Ciro Izzo – Abbiamo ricreato un legame che ha fatto grande il Villaggio e Maddaloni in Italia e per me è un grande onore aver potuto incontrare il politico più importante del nostro Paese. L'attendiamo per una Consiglio comunale aperto anche a Maddaloni, senatore Andreotti". Il senatore Andreotti, in ottima forma, pur con i suoi 92 anni di età, ha ricambiato le parole accorate del vicesindaco. “Ho vissuto oggi una grande emozione – spiega l'ingegnere Claudio Petrone, vera anima dell'iniziativa – Da figlio del Villaggio vivere questo momento è veramente impagabile. Ora dovremo rendere omaggio a Maddaloni, anche alla memoria di don Salvatore D'Angelo. Io e Luigi, come la maggior parte dei Maddalonesi e di moltissimi casertani, e non solo, abbiamo avuto rapporti o siamo figli dell'opera di don Salvatore: per noi è un momento di grande importanza simbolica”. Alla cerimonia ha presenziato anche il presidente della Fondazione Villaggio dei Ragazzi padre Miguel Caballé. Circa il rapporto con Andreotti è significativa la testimonianza del giornalista di Avvenire Giovanni Ruggiero (che in molteplici occasioni ed anche in occasione della morte ha parlato di don Salvatore e del Villaggio), rilasciata al Corriere della Campania nel 2013: «Ricordo ancora il tono della voce, premuroso e preoccupato: “Giuva' comme è ghjuta? Hai visto Giulio?” La voce così nota: don Salvatore non doveva presentarsi. La domanda brusca pareva ansiosa. La prima udienza del processo a Giulio Andreotti, il 26 settembre 1995, era terminata da poco. Ero appena rientrato in albergo, lo stesso in cui la notte aveva alloggiato il presidente imputato, .e avevo chiamato il mio giornale, “Avvenire”. La domanda sulle prime mi spiazzò. La voce profonda si accertava che fossi ancora in linea “Pronto?... Pronto?” Francamente non m'aspettavo la telefonata perché don Salvatore avrebbe potuto chiamare lo stesso Andreotti o i suoi avvocati, Gioacchino Sbacchi, Franco Coppi oppure la giovane Giulia Bongiorno. Forse l'aveva pure (fatto, ma chiamandomi voleva sentire anche l’amico per quel rapporto d’affetto che negli anni si era creato. Gli dissi che avevo avuto modo di salutare il presidente durante una pausa dell'udienza e mi chiese cosa pensassi di quel gesto che aveva spiazzato tutti: la corte, la pubblica accusa e - credo - la stessa difesa. Andreotti trovò un momento per alzarsi dal banco degli imputati e andare a stringere la mano ai magistrati che lo accusavano. Parlammo solo di questo la prima volta che incontrai don Salvatore in quelle nostre serate al Villaggio, spesso seduti, quando il tempo lo consentiva, sotto l'enorme albero frondoso all'ingresso della direzione. Gli dissi quello che pensavo: era stato un grande gesto di lealtà. Voleva dire ai magistrati: “Eccomi, da persona leale, davanti a persone che voglio credere leali”. Come due giocatori che, stringendosi la mano, si dicono: “Vinca il migliore”. Qui però Andreotti voleva dire “Vinca chi sta nel vero” e solo dopo tre gradi di giudizio gli fu possibile dimostrare che la verità era la sua. “Ma Giulio? Giulio comme stava'?”, insisteva don Salvatore nella telefonata. Gli dissi della sera prima, quando Giulio Andreotti giunse all'Hotel Le Palme di Palermo dove avrebbe alloggiato per tutte le udienze. Sembrava un animale braccato. La stessa espressione che gli avevo visto sul volto quando, mesi prima, attraversò il cortile di Sant’Ivo alla Sapienza di Roma per essere sentito dalla Giunta delle autorizzazioni a procedere del Senato. Il volto livido, le labbra più strette del solito. Pareva dovesse perdere i sensi e si muoveva come trasportato dall'onda di giornalisti, fotografi e cameraman. Erano come forche caudine, dalla grande porta a vetri spalancata fino all'ascensore. “Ma stamattina in udienza - rassicurai don Salvatore - stava molto più sereno. L'ho visto più volte sorridere con gli avvocati”. Don Salvatore volle una mia promessa: “Vienimi a trovare quando sei a Napoli”. Lo feci, come avevo fatto tante volte. Si raccomandava di una cosa: voleva che passassi per il Villaggio dei Ragazzi dopo le nove “quando non ci stanno seccatori”. Era diventato un rito. Chiamava il bar. Diceva semplicemente: “Buonasera. Due!” Un caffè straordinario, denso che - sapevo - non mi avrebbe fatto dormire. Prima mi chiedeva dei miei figli, poi passavamo alla politica. Sulle prime dovetti allenarmi perché don Salvatore, parlando, faceva riferimenti a Nicola, Enzuccio, Francesco, Geppino, Cirino, Clemente e così via. Gli ultimi due erano immediatamente identificabili, gli altri invece un po' meno. Erano Mancino, Scotti, Cossiga, Santonastaso. In quel periodo però si parlava solo di... Giulio. Rivivevo con quel processo la stessa amara sensazione del processo Tortora. All'epoca del processo di primo grado ero praticante» legale presso uno studio che si occupava di imputati del terzo troncone di quel procedimento. Il secondo grado d'appello lo segui da giornalista. La storia si ripeteva con Andreotti. I cosiddetti “riscontri obiettivi” dei magistrati erano risibili. Aveva ragione Andreotti quando in un'intervista disse anche a me, a proposito del bacio al boss mafioso: “Il pentito, descrivendo così bene il salotto dove sarebbe avvenuta l'effusione, dimostra soltanto una cosa: che in quel salotto c'è stato. Non che ci sono stato io!” Don Salvatore era già morto da un paio di anni. “Avvenire” mi fece seguire un tour di Andreotti che aveva appoggiato una nuova formazione politica che vedeva insieme Clemente Mastella e Ortensio Zecchino. Feci con lui il viaggio da Roma fin nel Beneventano e ad Ariano Irpino. L'autista, un maresciallo che gli faceva anche da scorta, decise di uscire a Caserta Sud e poi prendere la statale che porta a Benevento. Al bivio di Maddaloni mi venne di dirgli: “Presidente, sa una cosa? lo ero amico di don Salvatore d'Angelo”. Andreotti fece un sorriso e disse soltanto come in un sospiro: “Don Salvatore!”. Poi stette zitto, e io non parlai per non so quanto tempo per non disturbarlo. Sono sicuro che pregava». Del rapporto tra don Salvatore e Andreotti ne parla stesso il sacerdote sul n. 41 del 18 ottobre 1990 nel settimanale “Gente”, dove il settimanale riferisce «abbiamo incontrato don Salvatore d’Angelo, un prete che da 50 anni è l’“ombra” del presidente del Consiglio», con un servizio di Dino Cimagalli. Qui il sacerdote riferisce: «sono l’amico più caro di Andreotti: ora vi racconto la nostra storia», ed ancora «Giulio è per me un fratello e qualche cosa di più, così io lo sono per lui», «non sono mai riuscito a chiamarlo onorevole e non parliamo mai di politica» e «tramite me aiuta personalmente bisognosi e anziani che si rivolgono a lui». Il sacerdote specifica che la sua presenza nella vita del senatore “è solo umana e spirituale” visto l’abito che indossa, mentre capita che il senatore contatti il sacerdote per «parlare, distendersi, e perché no, sfogarsi. Ogni essere umano ne ha bisogno: figuriamoci lui, con l’universo di problemi che gli gira intorno». Si parla delle curiosità e di aneddoti a Torre Pedrera per poi aggiungere, riferendosi ad Andreotti «Lui, molto spesso mi chiede di accompagnarlo. Io sono tentato di dire sì, poi penso che il mio ruolo naturale non è quello di apparire a fianco dell’uomo famoso e potente. Il mio ruolo rimane, e deve rimanere, sul piano dell’affetto concreto. E l’affetto vero, per prosperare, ha bisogno di ombra, o al massimo di penombra; mai della luce dei riflettori». Circa la sua presenza il mercoledì nello studio di Andreotti riferisce che lui si occupa delle opere caritatevoli: «Capisce che lui non può farle personalmente, anche per una questione fisica di tempo. Salta da un aereo all’altro, dalla presidenza del Consiglio alla sede del partito, dallo studio privato a casa. E a parte questo, quando fa qualche opera buona, e sono parecchie, non gli piace comparire». E comunque si tiene traccia del seguito, infatti, aggiunge «una volta non si vide per tre mesi un vecchietto che era solito venire tutte le settimane. Giulio si preoccupò e lo fece cercare. Così scoprimmo che era stato ricoverato in ospedale. Bè, lui rimase malissimo e naturalmente lo fece assistere». Circa il “ruolo” che entrambi nella vita hanno rivestito, don Salvatore dice «Ciascuno di noi ha un destino voluto dal Padreterno. E i destini di due o più esistenze possono incrociarsi tra loro. Che cosa c’era, di particolare in Giulio, quando lo incontrai per la prima volta alla Biblioteca Vaticana? Francamente non solo so: però entrammo subito in sintonia, come può accade a due ragazzi di vent’anni. Portavamo avanti tutti e due un discorso di rinnovamento democratico, in un’Italia agonizzante. Noi giovani ruotavamo attorno al gruppo politico che poi avrebbe avuto una parte fondamentale nella giovane Repubblica: Cingolani, Tupini, Gonella, in un secondo tempo Fanfani, e soprattutto De Gasperi. Giulio era il suo segretario, il suo factotum. Andavamo a trovarlo nella sua casa di Porta Cavalleggeri, e lì si restava ore a parlare, a discutere. Noi giovani, specialmente ascoltavamo, Giulio e io eravamo d’accordo su tante cose, ma soprattutto ci capivamo al volo, anche senza parlare. Capisce? La sintonia spirituale è qualcosa che sta al di là dell’accordo o della partecipazione a una stessa ideologia: o c’è, o non c’è. Tra noi c’era». Qui il sacerdote parla anche dei dubbi sulla scelta da prendere alla vigilia dell’ordinazione sacerdotale, se servire con l’azione politica o con la veste talare (alla fine ha fatto entrambe le cose!): «Ne parlai con De Gasperi, e naturalmente anche con l’amico Giulio Andreotti. Mi consigliarono, in pratica, di completare ciò che avevo iniziato entrando in seminario. Anche il mio padre spirituale si disse d’accordo». L’Associazione Welcome Maddaloni il 6 febbraio 2018 riporta al Villaggio Serena e Stefano Andreotti in occasione della presentazione del libro postumo del padre “il buono cattivo” e per l’occasione viene presentato e assegnato il premio “don Salvatore d’Angelo” che viene consegnato ai due figli in memoria del padre Giulio, principale amico di don Salvatore. Don Salvatore e la cronaca giudiziaria Sono due gli episodi di cronaca giudiziaria (Procure di Milano e Santa Maria Capua Vetere) che hanno interessato di don Salvatore. Il primo episodio riguarda la Procura di Milano e il secondo quella di Santa Maria Capua Vetere. Il primo di Milano riguarda degli assegni emessi per donazioni giunte al Villaggio dei Ragazzi da parte di taluni personaggi che apprezzavano l’opera di solidarietà della Fondazione. Sembra che questi donatori non avessero ben giustificato il tracciato del titolo, cosa che don Salvatore aveva ben fatto registrando queste movimentazioni economiche negli atti contabili. Il tutto nell’ambito di un’inchiesta del procuratore Gherardo Colombo che dispose la comparizione di don Salvatore per avere le giuste chiarificazioni. “Caso volle” che in quel periodo don Salvatore “non stesse bene in salute” tanto è vero che per più di una volta a distanza di giorni lo volevano a Milano per raccontare quanto gli era dato eventualmente sapere e don Salvatore non potè andare, come constatarono anche i Carabinieri di Maddaloni che lo trovarono a letto sofferente. La vicenda si dissolse da sola anche perché don Salvatore, come detto, molto ingegnosamente, era solito registrare il tutto, e quando si trattava di particolari donazioni, cioè rappresentative, non registrava il solo ingresso ma anche il dettaglio dell’uso specifico, al di là della amministrazione contabile generale. Amministrazione sempre esistita e disponibile. Infatti, don Salvatore come detto era maniacale a sera a controllare e controfirmare personalmente ogni registro della fondazione ed istituti annessi. Nel secondo caso si trattava di danaro contante, anche questo, fortunatamente, regolarmente registrato e con specifica spesa, per macchinari destinati al centro meccanografico, che secondo l’autorità giudiziaria erano la donazione fatta dal Senatore Giuseppe Santonastaso il quale era venuto in possesso di quei soldi attraverso la gara di acquisto dei locali destinati all’Unità Sanitaria Locale di Maddaloni per la sistemazione della riabilitazione a Via Caudina. Quindi, in breve, si trattava di una tangente politica offerta a don Salvatore dal Senatore Santonastaso. Ora che questo era vero o meno, restava il fatto che il Villaggio ricevendo una donazione, come di consueto, l’aveva debitamente registrata e destinata alle utilità comuni. Per quanto poteva esserci disappunto su come erano stati prodotti quei danari, di responsabilità o interventi di don Salvatore non c’erano. Della cosa ne parlò anche la stampa nazionale ma tutto fu chiarito e don Salvatore potè comprendere chi erano gli amici e chi si professavano tali, in quei momenti difficili con i riflettori puntati addosso a lui e al Villaggio. Come detto la Fondazione lo prendeva molto, aveva tutto sotto controllo. Ogni Ufficio aveva il suo bel registro, i suoi catenacci e a fine giornata si faceva il rapportino e lui doveva controllarseli singolarmente con le annotazioni per chi li aveva fatti: conferire, spiegare, etc. La sera lui non andava a dormire senza conoscere il villaggio dei registri del giorno. Salvo gli ultimi anni in cui era stanco e quindi per lo più li spuntava e basta buttando un occhio ad argomentazioni che lo avevano appesantito per una vita intera. Cultura al Villaggio con don Salvatore Uno soprattutto di Fede. Aveva le basi culturali ma era uomo di Fede. Le vicende culturali le viveva dai giornali, dai telegiornali, il mercoledì a Roma le viveva di persona. Don Salvatore ha avuto sempre occasione di ospitare, mostra convegni e rassegne musicali compresa quella di fine anni ’70 che durò circa per un quadriennio e vedeva da un lato coinvolti il Villaggio dei ragazzi e dell’altro il Comune di Maddaloni e il Ministero dei Beni Culturali per organizzare degli eventi di musica classica, concerti lirici e simili. Le stagioni liriche al Villaggio furono per il 1982 La Tosca e Elisir D’Amore, per il 1983 Il Barbiere di Siviglia e Madame Burterfly, per il 1984 La Boheme e il Trovatore, per il 1985 Rigoletto e La Traviata, per il 1986 I Pagliacci e Don Pasquale ed infine per il 1987 Lucia di Lamermoor e Il Barbiere di Siviglia. Mentre nel 1988 vi fu il Nabucco di Giuseppe Verdi. Nel 1995 in occasione dei Cent’anni del Cinema don Salvatore si fece promotore e con la collaborazione dell’amministrazione comunale e della Pro Loco, e l’ente Provinciale del Turismo della Provincia di Caserta, di una rassegna di film all’aperto, soprattutto di genere western cari a Salvatore Cardillo presidente della Pro Loco, aperti con “Solo Dio mi fermerà”. Circa i film va detto che don Salvatore ebbe rapporti con i fondatori della Scalera Film (Istituto Luce per intenderci, originari di Maddaloni) anche se non si è riusciti a contestualizzare aneddoti a riguardo, salvo il ricordo di Marietta Lombardi di cui gli stessi erano cugini del padre, Tornado agli appuntamenti del cinema all’aperto, questi appuntamenti si ebbero per diversi anni, forse cinque, e poi non si rinnovarono non tanto perché non vi fosse l’interessamento da parte di don Salvatore, bensì perché a una parte politica dell’amministrazione comunale non era più gradita questa organizzazione per un fatto contabile data la lungaggine amministrativa le anticipazioni economiche e via via la riduzione del trasferimento pubblico per questo tipo di iniziative locali. Una pagina importante per la crescita di Maddaloni comunque resta quella del settembre 1981. In quel periodo don Salvatore organizzò per 10 sere le maggiori opere liriche con compagnie di primissimo piano. Inutile dire che l'ingresso era gratuito e vi erano tantissime sedie. Il cortile del Villaggio dei Ragazzi diventò uno stupendo palco all'aperto. Don Salvatore per il suo fare era teso alla valorizzazione dell’informazione e della Cultura e nel Villaggio si faceva sempre di tutto. Un aspetto che ci aiuta a conservare la memoria è la catalogazione di tutto quanto, delle foto o video che faceva fare ad ogni evento, delle pubblicazioni per tutte le occasioni, dépliant e quant’altro, oltre al deposito che ne manteneva la contabilità, diceva che era forte il suo rammarico perché nessuno si preoccupava di metterne copie da parte per un archivio storico. Questo lo rinfacciava accusando i dipendenti. Leonardo de Lise, responsabile del Centro Grafico, mandava il materiale al deposito dove si conservava la contabilità. Cioè dato il numero di copie iniziali bisognava dettagliarne quelle che venivano consegnate e quindi da avere sempre il tutto sotto controllo. Teoricamente dovrebbe esistere ancora un deposito dov’è questo materiale. E comunque dal 2000/2001 nulla dovrebbe essere stato fatto salvo l’organizzazione e la scansione dei documenti e materiali a cura di Franco La Farina che ebbe l’onore di organizzare il Museo in memoria di don Salvatore. Don Salvatore era una persona dalla grande lungimiranza educativa, dalla semplice, efficace e vincente strategia educativa, strategia che ancora oggi se attuata, con gli opportuni adattamenti, dagli odierni gestori della Fondazione sarebbe valida e vincente. Il Villaggio teatro di Mostre ed eventi ha ricordato il 40° anniversario con una grande mostra dell’artista Gerges Mathies, con inaugurazione l’11 gennaio 1988, le cui opere furono presentare dal critico d’arte Renato Barilli alla presenza del senatore Giulio Andreotti nella sua figura di Ministro degli Affari Esteri. Si aggiunga anche che l’esposizione di Gerges Mathies si accompagna di una elegante e precisa monografia dedicata al Maestro francese, che costituisce il primo ampio omaggio editoriale di rigore strettamente scientifico che il bel Paese ha dedicato all’artista. La pubblicazione ha la presentazione di don Salvatore d’Angelo, la prefazione di Giulio Andreotti, e i testi critici di Renato Barilli e Pierre Dehaye, e la sintesi delle tappe fondamentali dell’artista a cura di Gérard Xuriguera. Ciò che di culturale il Villaggio non lo ha fatto direttamente lo ha fatto fare ai suoi allievi ed ex. Ed infatti nel 1988 nasce il Premio Nazionale di Pittura Estemporanea della Città di Maddaloni che si ripeterà nel tempo, con il ruolo organizzativo di don Salvatore, dell’associazione degli ex allievi del Villaggio e i patrocini della Regione Campania, Provincia di Caserta e Comune di Maddaloni, che coinvolse oltre cento artisti taluni anche di chiara fama. In quello stesso don Salvatore fa restaurare i quadri settecenteschi di Francesco De Mura conservati nella chiesa del Villaggio e provenienti dalla chiesa di San Benedetto Abate di Maddaloni. Sempre don Salvatore con il Villaggio aveva precedentemente provveduto al recupero della cadente chiesa di San Luca e per l’occasione anche alla stampa di un opuscolo che ne elencava la storia e le preziosità artistiche. Da assessore ha investito le sue risorse umane e strategiche per intervenire a favore della chiesa del Carmine e di Sant’Alfonso (i lavori lignei panche e quant’altro in particolare il tamburo nella chiesa realizzati dai fratelli Cafarelli (famiglia molto operante nel villaggio in diversi reparti) operanti nel Villaggio del sacerdote nulla questi a voluto e volentieri con i suoi collaboratori ovunque si è speso a richiesta fatta) e non solo, tanta cura per il quartiere de “mulini reali”. Don Salvatore viveva i momenti culturali della città e non è era trovare testimonianze fotografiche a sue partecipazioni di mostre o altri eventi simili, così come a manifestazioni promosse dai giovani del Circolo Cattolico XXIII con sede presso i Padri Oblati di Maddaloni. Don Salvatore sacerdote Don Salvatore era un sacerdote con la S maiuscola. Credeva molto nel suo ministero sacerdotale. In modo particolare quando celebrava o svolgeva funzioni sull’altare, si immedesimava molto nel ruolo sacerdotale. Non recitava, celebrava e viveva quello che faceva. Dalle immagini registrate è evidente, era forte il suo desiderio intimo di incontrarsi con il Signore. Viveva la consacrazione Eucaristica con grande spiritualità e partecipazione. Nella sua camera da letto aveva un altarino dove di mattina pregava e celebrava la Messa. Il rapporto con il clero di Maddaloni era strano e qualcuno lo andava a trovare di nascosto. Un dialogo aperto e continuo lo ha avuto con lo storico vicario foraneo, mons. Valentino Di Ventura; ottimo il rapporto con i Carmelitani e tra questi con p. Giovanni Izzo che fu il suo confessore e il sacerdote del suo saluto terreno. Nel periodo della guida dell’Istituto Sostentamento Clero (il giovedì era sempre presente nell’ufficio in Diocesi), con i vescovi Cuccarese e Nogaro, data la diffidenza di alcuni per l’impegno politico del sacerdote, spesso capitava che i sacerdoti piuttosto che andare in curia chiedevano appuntamenti al Villaggio dove don Salvatore li accoglieva per parlare di questioni spirituali e non solo. Si consideri che don Salvatore partecipava attivamente ai momenti di formazione e di vita spirituale della Diocesi un episodio su tutti è quello del Convegno Ecclesiale svoltosi nel gennaio 1989, dal giorno 28 al giorno 31, promosso dal Vescovo di Caserta mons. Francesco Cuccarese, per il quale il Centro Grafico Editoriale offri la stampa della modulistica e della pubblicazione degli atti, così come fatto per altri eventi. Don Salvatore partecipò alla tre giorni con assiduità, impegno e abnegazione. Sembrava uno scolaretto al primo banco. E quando icone come Forte, Brandolini e Pasini lo salutavano baciandogli la mano, lui molto umilmente stava lì ad ascoltare e pendere dalle loro labbra la dotta catechesi. Don Salvatore era sacerdote a Maddaloni, per lungo tempo parroco facente funzioni o comunque aiuto parroco di San Benedetto Abate (tutte le funzioni religiose fatte nel Villaggio dei Ragazzi erano registrate nei registri parrocchiali di quella chiesa ed ancora quadri di detta chiesa sono ancora nel Villaggio dei Ragazzi) e assistente spirituali di diversi gruppi laici maddalonesi e attraverso questa funzione si interfacciava con il clero diocesano e maddalonese. Probabilmente qualche sacerdote lo andava a incontrare nell’ufficio dell’Istituto Sostentamento Clero della Diocesi di Caserta dove è stato per lungo tempo presidente. Qui si portava ogni giovedì mattina, mentre il mercoledì andava stabilmente a Roma presso la segreteria personale del senatore Andreotti. Forte è stato il legame con uno dei suoi figliocci sacerdoti, don Pietro Farina (7 maggio 1942 – 24 settembre 2013) (con don Stefano Tagliafierro sono due delle cinque prime vocazioni sacerdotali di don Salvatore) che sarà Vescovo di Alife Caiazzo e Caserta e a cui don Salvatore avere destinato la guida del Villaggio dei Ragazzi dopo la sua morte, salvo questi optare per la sede vescovile. Don Salvatore ha tanto sostenuto il Seminario Vescovile di Caserta, soprattutto nel periodo in cui è stato Rettore don Valentino Picazio (suo “figlioccio” spirituale e ospite fisso al Meeting di Rimini e a Torre Pedrera. Don Valentino era il leader di una quarantina di ragazzi di Comunione e Liberazione che durante il Meeting erano anche ospiti di momenti al Villaggio o esterni con don Salvatore) anche facendo curare la gestione dell’economato del Seminario al suo economo rag. Benito Ronza, e allo stesso Seminario ha regalato anche un’auto che era solito guidare l’allora vicerettore don Nicola Lombardi, suo studente del Villaggio e “sostenitore” negli anni della formazione sacerdotale. Tanti però sono stati i seminaristi non solo del Seminario Minore ma anche nel percorso dei Seminari Maggiori che sono stati sostenuti da don Salvatore, come ricorda in più testimonianze don Matteo Coppola (a cui don Salvatore nel 1967 si offrì di seguirlo e sostenerlo nel cammino verso il sacerdozio e da lì divenne il suo padre spirituale), prima suo collaboratore e collega di partito e poi confratello in Cristo. Volendo fare una panoramica dei sacerdoti con hanno collaborato con don Salvatore nel Villaggio e nelle comunità di cui gli è stato chiesto di occuparsi come le chiese di San Benedetto a Abate e SS Corpo di Cristo di Maddaloni oppure della Cattedrale di Caserta Vecchia, don Salvatore è stato assistito da subito da don Giuseppe Magliocca, don Salvatore Letizia (responsabile del refettorio, che riceveva che riceveva sonori richiami dal fondatore del Villaggio dei ragazzi per il suo interloquire in dialetto che non si confaceva con l’educazione che si voleva dare ai ragazzi), don Salvatore Izzo, un certo don Vigliotti, don Michele Sordillo, don Angelo Rienco, a seguire da Padre Salvatore La Farina (15/01/1900-10/01/1972), Padre Greco e don Stefano Tagliafierro che lo ha assistito fino alla fine e nato vocazionalmente nel Villaggio si può dire che è rimasto nello stesso fino alla nascita al cielo. Tanti gli altri sacerdoti che a diverso titolo hanno avuto il suo sostegno nel cammino vocazionale e lo hanno assistito al bisogno uno per tutti mons. Pietro Farina (dal 16 febbraio 1999 è vescovo di Alife – Caiazzo e dal 25 aprile 2009 di Caserta fino alla morte) suo primo candidato alla successione e suo esecutore testamentale. Don Pietro è stato da sempre il prescelto di don Salvatore, figlio di Francesco (di cui sarà orfano nel 1949 a causa di un incidente, di professione venditore ambulante di frutta) e di Donata Di Donato (non maddalonese, nata a Calitri, Avellino). A lui don Salvatore dopo il sacerdozio aveva fatto destinare una parrocchia in Roma salvo il giovane sacerdote nel viaggio in auto di andata decise di rientrare in Diocesi per assistere la mamma avendo avuto garanzia dell’assegnazione di una parrocchia in una periferia tranquilla di Caserta; fu vicario Generale quando don Salvatore venne invitato, nel giorno del raggiungimento del limite di età, dopo dieci anni dalla fondazione alla funzionalità, ad abbandonare la guida dell’ISC della Diocesi di Caserta. Don Pietro ( prelato d’onore di sua Santità dal 14 novembre 1985) riceve l'ordinazione episcopale il 17 aprile 1999 dal cardinale Lucas Moreira Neves (consacranti il cardinale Michele Giordano e il vescovo Raffaele Nogaro) nella cattedrale di Alife e don Salvatore è tra i fedeli a pregare per lui durante la celebrazione eucaristica di nomina. Tanto ha pregato don Salvatore per don Pietro Farina nonostante a malincuore ha preso atto di talune sue scelte non conciliabili con la presa in carico della Fondazione Villaggio dei Ragazzi. La sua camera da letto La cameretta di don Salvatore era un luogo off-limits in quanto assolutamente privato, e dove si raccoglieva per le preghiere quotidiane. In questa camera l’accesso era molto riservato alle nipoti, al nipote Francesco, e in rara occasione vi è stato anche il segretario. In una sola occasione la camera fu violata, allorquando venne ad accertarsi del suo stato di salute il maresciallo Cacciapuoti Comandante della Stazione dei carabinieri di Maddaloni che venne a vedere il suo reale stato di salute non essendosi presentato a Milano a deporre come possibile interessato sui fatti, su alcuni assegni, regolarmente registrati come donazione. Don Salvatore non poté prendere parte all’interrogatorio perché non stava bene e quindi il giudice Gherardo Colombo del Tribunale di Milano mandò i carabinieri di Maddaloni ad accertarsene; il sacerdote non fu più interpellato in futuro sull’argomento. Tale vicenda coinvolgeva anche il Senatore Giuseppe Santonastaso, vero destinatario del provvedimento del giudice milanese che preferì rivalersi sul sacerdote per poi inquisire il parlamentare; mentre l’altra vicenda giudiziaria che ebbe i medesimi risvolti e risolta ancor prima l’Onorevole Pomicino (la cui vicenda non portò ad alcun arresto a rettifica di quanto riportato in altrui libri). In effetti il tutto nacque per un importo di 100 milioni (che a ben vedere secondo qualcuno non sarebbero poi neanche materialmente giunti, dunque oltre il danno la beffa!) che erano un obolo giunto attraverso il parlamentare per le gratifiche che poi sarebbero serviti per Natale allorquando il sacerdote doveva predisporre gratifiche e regali per i suoi dipendenti e studenti (don Salvatore da pensionato non riscuoteva la pensione e l’intera somma a Pasqua e Natale andava per le gratifiche al personale). Dunque, in occasione di questo unico arresto di don Salvatore avvenuto il 5 maggio 1994, mentre don Salvatore di mattina al Villaggio ancora non aveva ricevuto il provvedimento da parte del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere una anticipazione alla stampa aveva consentito alla stampa stessa di anticipare il provvedimento e come si usa fare in situazioni eclatanti furono realizzate locandine per la vendita dei quotidiani con le notizie dell’arresto e motivazioni varie. La Politica e il sostegno alla Democrazia Cristiana Don Salvatore iscritto alla Democrazia Cristiana dal 1943, a svolto un'intensa attività politica nelle fila della Dc di Maddaloni: eletto consigliere comunale fin dal 1956 con larghissimi suffragi ricoprendo l’incarico di Assessore ai lavori Pubblici e Vicesindaco (1957/61) adoperandosi per importanti opere come l’apertura della “face – Standard” a Maddaloni, l’apertura del nuovo Ufficio Postale ed altre opere infrastrutturali soprattutto nelle periferie. Ha concluso il suo impegno attivo negli anni novanta con la carica di segretario cittadino della DC. La vita politica è stata vissuta condividendo l’esperienza con l’Amico Giulio Andreotti presso cui teneva studio, per conto del Senatore, tutti i mercoledì a Roma. La politica portò anche dei dispiaceri al sacerdote che talvolta si è visto suo figliocci formati in politica voltargli le spalle, magari facendo accordi con correnti avverse al suo stesso partito della DC. Situazioni che gli portarono anche dispiaceri nella saluta come l’infarto e l’operazione a Houston. Siamo, siamo nel 1989. C’erano sono state le elezioni amministrative a Maddaloni nel 1988 dove la DC porta a casa 20 consiglieri comunali di cui otto/nove Andreottiani, ovvero facenti capo a don Salvatore che ne rappresenta la corrente, ovvero avrebbero dovuto far capo a don Salvatore. Cosa accade don Salvatore, alla luce delle undici sedie, più altre due che a suo parere lo avrebbero sostenuto nella scelta, quelle dei socialisti Antimo d’Alessandro e Vincenzo Fiorinelli, immaginava di suggerire il nuovo sindaco della Città. Ma qualcosa andò storto. Perché? C’era chi si aspettava di fare una veloce e programmata carriera e quindi stufo della preparazione offerta da don Salvatore in vista dello spiccare il volo fuori la casa comunale ed iniziava ad avere mire più alte, e così via. Quindi un gruppo di 5 consiglieri comunali (a cui aderì il segretario cittadino Franco Lombardi), pensarono bene di andare da Pomicino, andreottiano, a Roma e, scavalcando don Salvatore, offrirsi a lui in cambio di prospettive future. La causa che si imputava era legata al fatto che il gruppo voleva crescere autonomamente rispetto all’ala protettrice del sacerdote. Nel gruppo vi era anche Andrea De Filippo che nel 1985 aveva chiesto a don Salvatore, in occasione del congresso nazionale del movimento giovanile della Dc, un ruolo – visto anche i rapporti che lo stesso aveva con i vertici e l’ammirazione che gli si nutriva - che non gli fu riconosciuto mentre cadde la scelta sul nipote di Andreotti, che divenne presidente del consiglio nazionale. Cosa questa che certamente non fece piacere al futuro sindaco di Maddaloni. De Filippo ebbe anche compiti di rappresentanza per conto di don Salvatore come quando giuse a Caserta come Vescovo mons. Cuccarese, politicamente schierato con la Democrazia Cristiana, il 6 giugno 1987. Andrea De Filippo andò a prendere con l’auto il Cardinale Donato De Bonis (al tempo Segretario dell'Ufficio Amministrativo dell'Istituto per le opere di religione) il quale durante il viaggio riferì, oltre ai rapporti con don Salvatore da giovani in Seminario, che aveva dato i sacramenti (confessione, comunione ed estrema unzione) fini di vita ad Eduardo De Filippo, convertitosi in fin di vita nell’ottobre del 1984. In occasione del diciannovesimo anniversario della morte del sacerdote Andrea De Filippo, in qualità di sindaco della città ha dichiarato: «oggi per me è un giorno particolare e per questo voglio condividerlo con tutti voi. Il destino nel corso della mia vita ha voluto che il 30 maggio, oltre a essere una giornata di festa per la ricorrenza della mia nascita, diventasse anche la circostanza per ricordare uno degli uomini che ha contribuito maggiormente alla mia formazione umana e politica e alla crescita della nostra Città. Oggi sono 19 anni che Don Salvatore d’Angelo, il fondatore di una delle più grandi opere di assistenza per i ragazzi in difficoltà del nostro Paese, non è più tra noi. Ricordo ancora quella mattina, la voce dell’ambulanza arrivata di corsa e la notizia della sua morte. A tanti anni di distanza dalla sua scomparsa don Salvatore non manca solo al Villaggio dei Ragazzi ma alla Città intera. La sua morte ha significato non solo un momento di grande difficoltà per la Fondazione, da cui mi auguro esca fuori definitivamente tornando allo splendore di un tempo, ma la fine di una parte della storia della nostra comunità. Don Salvatore è una figura unica per Maddaloni, un sacerdote che ha interpretato e speso tutta la sua vita in favore degli ultimi. A lui mi legano i ricordi più belli della mia gioventù, il percorso politico e il rapporto personale, i rimproveri e gli incoraggiamenti, le lunghissime chiacchierate fatte in cortile o nel suo studio, i viaggi, le confidenze e i consigli. Questa mattina sono stato al cimitero per salutarlo, come ho fatto sempre ogni anno in forma privata, questa volta da sindaco di Maddaloni, ricordando la sua figura ai giovani allievi della Fondazione nel corso della Santa Messa officiata in sua memoria nella chiesa di Santa Maria della Pace dal Vescovo Giovanni D’Alise. Don Salvatore non lasciarci soli, continua a guardarci da lassù e guidaci nel difficile percorso di rinascita della nostra comunità da cittadini e amministratori. Riposa in pace». Tornando ai fatti del gruppo comunale scisso del 1989, Apriti cielo!”, non solo questi eletti avevano scavalcato don Salvatore ma, Pomicino li aveva pure accolti e consigliati. Don Salvatore non gradì per niente questa cosa e organizzò un pranzo al Ristorante “Leucio” a San Leucio, dove fu invitato l’on. Alfredo Pozzi, anch’esso andreottiano, gli eletti di Maddaloni e altri comunque vicini alla corrente andreottiana. L’on Pozzi inizio a parlare della politica nazionale e della DC giungendo a paragonare l’area andreottiana a una piramide dove sulla punta c’era il Presidente Giulio Andreotti. A seguire indicò l’on Pomicino e lui stesso. Don Salvatore, al momento del suo intervento, riferendosi al paragone Piramide-Andreotti espresso dall’on. Pozzi esclamò: “Alfredo … piano … piano…. dopo Andreotti …. dopo Andreotti …. su questa vicenda non dobbiamo sbilanciarci molto…..!”. Naturalmente, come si suole dire, ogni riferimento era puramente casuale. Almeno per il territorio in cui ci si trovava rispetto alla situazione che si era venuta a creare di cui tutti erano più che coscienti. La questione andò oltre, perché intanto non si era giunti a una quadratura. Nei giorni seguenti giunse Pomicino da Roma, e come di consueto doveva andare a salutare don Salvatore. Il sacerdote era nello studio con Innocenzo Lombardi ed era molto agitato confessa il Mister. Diceva “Mò che ven maggìà mangà!!” manifestando quel suo pieno disappunto non solo nei confronti dei suoi eletti che erano andati da lui ma per il suo accoglierli sapendo che lo stavano scavalcando. Con questo animo, mentre Pomicino scendeva dalla macchina nei pressi della direzione, e don Salvatore si avviava verso di lui e cade a terra ed ebbe l’infarto. Per fortuna Pomicino era accompagnato dal suo cardiologo che subito lo soccorse e poi ci fu l’operazione a Houston dove lo stesso onorevole era stato operato l’anno prima. Sembrerebbe che il tutto sia stato spesato dallo stesso Pomicino, forse per lo scrupolo dell’accaduto. Nel corso dell’intervento sapendo che don Salvatore che il senatore Santonastaso aveva piacere ad andarlo a trovare, visti gli ottimi rapporti tra i due, decise di far acquistare e provvedette al viaggio per il senatore e la moglie, che andarono accompagnati da Francesco d’Angelo e Antonio Mastella. Circa il ruolo politico di don Salvatore è interessato uno spaccato offerto da Mimmo Santonastaso, dove tra le altre cose si rileva non solo la centralità della sede del Villaggio per le riunioni della D.C: ma come la stessa sede abbia ospitato la sezione formativa e la scuola di formazione dei politici del futuro. Il periodo è particolare in quanto don Salvatore in quell’anno , a capo della segreteria andreottina a Napoli, si vide Pomicino e altri crearsi una sede autonoma che fu motivo di rancori poi soprasseduti come ricorderà al Corriere del Mezzogiorno lo stesso parlamentate all’indomani della morte di don Salvatore. Al Corriere della Campania, diretto da Claudio Petrone, il 30 maggio 2013 Mimmo Santonastaso dichiara: «Conobbi don Salvatore nel 1972. Avevo 10 anni e mi ritrovai nel Villaggio al seguito di mio padre all'epoca per la prima volta candidato al Senato. Ci accolse con un sorriso che, oggi, interpreto meglio come naturalmente carismatico, giacché accattivante e rassicurante, incorniciante una dentatura perfetta, bianchissima, come la sciarpa di seta, che, sciolta, incorniciava, ulteriormente ingentilendola, la sua già elegante persona. Non ero stato in alcun modo preparato a quell'incontro, dal quale, pertanto, ritornai a casa profondamente turbato, direi spaventato, poiché, sebbene al tempo semi-convittore presso i Padri Salesiani di Caserta, quindi già aduso al metodo educativo, di per sé piuttosto rigido, di Don Bosco, prima di allora non mi era comunque mai capitato di imbattermi in miei coetanei vestiti in compostissima uniforme blu, rigorosamente silenti e sull’immobile posizione d'attenti al nostro passaggio e, nel mentre dolcemente da Don Salvatore accarezzati sul capo, all'un tempo in ogni caso con singolare fermezza da lui apostrofati “soldato!“, il tutto a rimarcare la coesistenza di amore paterno e rigore della regola educativa e morale nell’Istituzione nella quale avevano avuto la consapevole fortuna di essere generosamente accolti, amorevolmente accuditi e sapientemente formati per divenire uomini sani e fortificati, non solo sul piano professionale, in vista delle multiformi prove della vita. Pur il suo nome essendo quasi quotidianamente, ma sempre con ammirazione, evocato nella mia casa, e per le più svariate ragioni, in specie umanitarie, fusolo dal 1980, e fino al 1993, allorquando con convinto trasporto militai nel partito della Democrazia Cristiana, che ebbi, poi, la possibilità di poter approfondire la conoscenza di Don Salvatore e di apprezzarne la profonda umanità, l'eccezionale carità, la sapiente capacità di mediazione, il rispetto e la ardente vocazione al servizio, che, rispettivamente, nutriva e sentiva per tutti i “fratelli”, indistintamente. Ma è a un ricordo di don Salvatore del gennaio 1989, capitato nell'ambito dei lavori preparatori del 18esimo Congresso Nazionale, quindi alla vigilia della 17`esima, e ultima, Assemblea Provinciale della Democrazia Cristiana, che sono particolarmente legato. Poco dopo don Salvatore con una lettera indicò le motivazioni per cui rinunciava all’impegno politico attivo, inviata a tutti i dirigenti del partito in cui evidenziava che erano stati traditi i suoi ideali. Senza che ne fosse lui richiesto da chicchessia, partì proprio da lui, quale esponente di spicco della corrente andreottiana della D.C. in provincia di Caserta, la proposta, subito anche sui mass-media fatta propria dai basisti Nicola Di Muro di S. Maria C. V. e Franchino lanniello di Sessa Aurunca, di eleggermi Segretario politico della D.C. in Terra di Lavoro, e non solo, come ovvio, perché il mio viatico era una ormai decennale “gavetta” di partito culminata nell'assunzione dell'incarico di consigliere e dirigente nazionale del Movimento Giovanile della D.C.. Vi fu scontro tra me e mio padre, che era contrarissimo a questa proposta, in specie perché immaginava che il conseguente gravoso impegno politico in definitiva si concretizzasse in una per lui inammissibile causa di ritardo per la conclusione dei miei studi universitari. Paradossalmente, così, e fino alla vigilia dell'Assemblea, che si celebrò tra il 28 e il 29 gennaio di quell'anno al Reggia Palace Hotel di San Nicola la Strada, non s'era costituita alcuna maggioranza volta a conseguire la mia elezione a Segretario, poiché, in presenza dell'astensione della corrente dorotea, che peraltro non aveva la forza di determinare differente soluzione rispetto a quella in potenza, ma solo se unitariamente, proveniente dalla corrente della sinistra di base, parte di quest'ultima, quella che faceva capo a Lello Menditto per Caserta centro, a Dante Cappello per l'alto casertano, a Enzo D'Anna per la Valle di Suessola e agli altri maggiorenti di questa componente, aveva espresso contrarietà alla detta proposta condizionata al solo nulla osta di mio padre, che tardava a venire e che, formalmente, dopo tutto, non sopraggiunse mai, attesa anche la sua poi significativa assenza nel corso del mio discorso di presentazione della lista. La situazione di stallo che si era venuta a creare fu sbloccata proprio dallo stesso Don Salvatore, e ciò in un per me memorabile incontro alla mia muta presenza tenutosi il giorno di S. Sebastiano (festa patronale del capoluogo) tra lui e mio padre, a Caserta; benvero, fu lui a chiedere a quest'ultimo di astenersi, ma di concedere proprio a lui, che rappresentava un’altra corrente, non solo di mediare, senza ostacoli di sorta, per tentare di convincere gli esponenti basisti più riottosi, ma anche di tutelarmi politicamente nell’espletamento del mandato segretariale una volta io risultato eletto. L’’incontro, che dal primo pomeriggio si protrasse fino a tarda notte, si concluse con un abbraccio torte e lunghissimo tra Don Salvatore e mio padre. Quest'ultimo, combattuto tra la strenua volontà di opporre paterna “tutela” al figlio, da una parte, e il timore, dall’altra, di sembrare agli occhi di questi l'interpretata incarnazione di un comunque mortificante ostacolo alla realizzazione di un “sogno giovanile”, sfinito si sciolse in un pianto rotto solo dalle contestuali e sincere lacrime di colui che, in quel mentre, mi apparve essere, per la forza consolatrice, quasi il papà di mio padre, quindi quasi un mio nonno, di certo una persona di casa; insomma, quel Padre, quel Nonno, quella Persona di casa, che, d'altronde, per l'intera sua luminosa vita é stato per tutti coloro che lo conobbero e che dagli stessi tutti, perciò a lui devotamente grati, non potrà mai essere dimenticato». A chi si meraviglia del sostegno a spada tratta di don Salvatore al figlio del Senatore Santonastaso non ha colto la condanna della logica nepotista sia del sacerdote che del senatore, del resto anche l’elezione a sindaco di Maddaloni da parte di Franco d’Angelo, discepolo e nipote del sacerdote, don Salvatore la dovette subire per imposizione dal senatore per un rapporto di forze di alternanze di spettanza delle correnti della nomina. Don Salvatore era fortemente contrario ad avere il nipote nella sede comunale, sia perché ne conosceva l’autonomia sia perché non accettava che si potesse pensare che il ruolo fosse stato raggiunto per suo intervento. Il viaggio in America per salute Don Salvatore (già operato a Bologna a seguito di un infarto al miocardio nel 1975, e a Roma operato dall’Urologo Ghiaccio) fu in America (ogni qual volta don Salvatore usciva fuori dall’Italia si faceva autorizza per iscritto dal Vescovo), senza sapere se sarebbe tornato, nel 1986, per l’operazione al cuore. Ad accompagnarlo furono la nipote Elena Lombardi e Francesco d’Angelo, la prima per accudirlo e il secondo per decisioni improvvise. Ad operarlo a Houston fu il dott. David Hot, e fu operato nel giorno stesso in cui in Italia fu operato Claudio Villa, che morì, e fu faticoso nascondere la cosa al sacerdote, notizia questa che veniva pubblicata dall’agenzia Ansa. Nella struttura ospedaliera di Houston Texas U.S.A, fu condotto da un grande Cardiologo, dott. Federico Gentile di Napoli, che era anche il cardiologo dell’on. Paolo Pomicino. Lo stesso oggi è uno dei più grandi cardiologi di tutta l’Europa. Tornò in America per un controllo l’anno successivo, l’occasione fu propizia per vedere le sorti del nipote Domenico figlio di Antonio operato al cuore, e ricoverato nella sua stessa stanza, accompagnato da Francesco che fu il suo accompagnatore l’anno prima (nel viaggio i due fratelli incontrarono all’aeroporto Santa Madre Teresa di Calcutta). Don Salvatore tornò l’anno successivo in America a Washington, nel 1988, per ritirare un premio e in quella occasione fu accompagnato da Marietta e da Antonio Mastella (fedele amico di don Salvatore). I due ricordo lo avevano accompagnato anche in Giappone nell’agosto del 1986. Ed ancora lo avevano accompagnato in Polonia. Don Salvatore sarà in America anche il 14 ottobre 1989 invitato dalla The Italian American Foundation alla sua Convention annuale che si è svolta a Washington D.C. presso l’Hotel Hilton al cui evento siederà al tavolo del Presidente Bush, e alla stessa convention parteciparono il Presidente Cossiga e diversi imprenditori e personalità italiane come l’Avv. Giovanni Agnelli e lo stilista Valentino. Va detto che don Salvatore fu operato a Roma alla prostata presso la clinica Quisisana dal prof. Ghiacci; e ancora fu ricoverato per i primi sintomi dei problemi al cuore a Bologna. Un rapporto oltre oceano tra don Salvatore la Fondazione italo-americana li occasione in cui stabilì rapporti con un referente originario di Piedimonte Matese a Washington, presso la NIAF , la National Italian American Foundation, dove don Salvatore fu anche premiato per le sue attività. Questi era Paolo Janni, che al 2000 era numero due dell’Ambasciata italiana a Washington e ambasciatore dell’Organizzazione degli Stati Americani, la più antica istituzione diplomatica d’oltreoceano e docente di Politiche Europee alla Catholic University di Washington. Alla vigilia della morte, ad inizio maggio Janni aveva scritto a don Salvatore e si sarebbero dovuti vedere nel corso del mese di giugno del 2000 per definire una collaborazione tra la fondazione e la Catholic University di Washington. Janni, nel suo ricordo al Corriere del Mezzoggiono, riferisce: «Ricordo di averlo incontrato la prima volta quando ebbe i primi problemi di salute e venne qui, negli Stati Uniti, per essere operato. Poi, fu ospite della Niaf, insignito del premio dei cinquecento, credo nell’86, e partecipò alla colazione organizzata in suo onore sedendo al tavolo dell’allora Presidente Bush. Quindi, sempre nello stesso periodo, fu ricevuto al Congresso dai deputati e dai senatori americani di origine italiana. Insomma, è stato un grande personaggio anche in America. Qualcuno potrebbe pensare che tutto questo sia stato possibile grazie alle sue amicizie con il Presidente Andreotti o con i massimi livelli istituzionali italiani. Invece, qui in America, è stata la grande storia della sua vita, la storia personale di don Salvatore, a fare breccia da sola. Io credo che don Salvatore d’Angelo sia riuscito a fornire il più importante contributo alla crescita civile di Terra di Lavoro». Circa poi l’interessamento che don Salvatore aveva avuto facendosi carico degli ammalati italiani costretti a ricorrere alle cure specialistiche delle strutture di New York, aggiunge: «Un ex dipendente del Consolato generale, Tancredi, fondò un centro per ospitare i ragazzi italiani che dovevano essere sottoposti a trattamenti specialistici. Soggiorni che costavano pochi dollari al giorno. Io e l’allora ambasciatore dell’Italia negli Usa, Rinaldo Petrignani, facevamo parte di una sorta di comitato di consulenza di questa struttura. Ma don Salvatore, appena venne a sapere di questa iniziativa, si dedicò anima e corpo all’organizzazione, tessendo una sorta di rete di collegamento tra l’Italia e gli Usa. Insomma, un uomo e un sacerdote dal carisma eccezionale». Nell’anno 1989, e uno speciale de Il Villaggio dei Ragazzi di dicembre lo ricorda, segna l’inizio della borsa di studio per gli studenti alla Catholic University di Washington e i più due studenti destinati a tale avvio di percorso formativo sono stati appena selezionati all’atto dell’articolo e saranno destinati uno a un percorso di economia e l’altro di arte. Nell’ambito delle relazioni americane anche a sostegno di questa iniziativa di don Salvatore della stessa il sacerdote aveva avuto modo di parlarne con il senatore Edward Kennedy nel corso degli incontri al Senato americano e questi, apprendiamo dalle parole di don Salvatore “ha manifestato apprezzamento per la nostra attività. Mi ha esortato a continuare e la fine del colloquio è stata toccante. Ha chiesto che i miei ragazzi preghino per sua madre che l’anno prossimo compirà cent’anni. Ha promesso che in cambio lui pregherà per noi”. In effetti l’incontro con i Kennedy fu chiesto da don Salvatore attraverso Paolo Janni e si ebbe in una sala del Senato alla presenza del Senatore Kennedy, di Paolo Janni, di don Salvatore d’Angelo di Marietta Lombardi e Antonio Mastella. In quella occasione don Salvatore consegnò a Kennedy il libro del Villaggio e una medaglia, da lì Kennedy disse che la avrebbe data alla madre sempre vicina alle iniziative come quella di don Salvatore e quant’altro riportato nelle parole di don Salvatore. In occasione della premiazione in America Lello Nuzzo produsse su incarico di don Salvatore un cd molto interessante dove si raccontava la storia di don Salvatore del Villaggio . E in questa occasione don Salvatore si vestì per la prima volta con il clergyman che destò, ovviamente, un po’ di ilarità generale visto l’attaccamento alla sua veste talare. Poi in altre occasioni anche per il viaggio in Giappone indosso nuovamente il clergyman. Riconoscimenti terreni all’operato del sacerdote Incarichi e ruoli di responsabilità, mediazione e consiglio sono stati all’ordine del giorno per don Salvatore d’Angelo che si ricorda, prioritariamente, essere stato Assistente provinciale delle Acli in provincia di Caserta fin dalla fondazione (oltre ad esserlo a Maddaloni). Ha svolto un'intensa attività politica nelle fila della Dc di Maddaloni: eletto consigliere comunale fin dal 1956 con larghissimi suffragi ricoprendo l’incarico di assessore ai lavori Pubblici (ha concluso il suo impegno attivo negli anni novanta con la carica di segretario cittadino della DC), e tra i tanti si segna la sua guida presidenziale dell’Istituto Sostentamento Clero della Diocesi di Caserta. Nel corso della sua esperienza umana, sacerdotale, educativa e politica la sua persona è stata oggetto di numero voli riconoscimenti e attestati di stima, tra i tanti si segnala che il 2 giugno 1961 riceve il diploma di benemerito della scuola, della cultura e dell'arte con la relativa medaglia d'oro. A Natale dello stesso anno riceve a Milano la Stella della bontà per l'instancabile opera a favore dell'infanzia abbandonata. Dunque, la medaglia d’Oro e il Diploma di 1° Classe ai benemeriti della Scuola, della cultura e dell’arte in Roma del 2 giugno 1962 e sempre dello stesso anno il 28 settembre 1962 la Medaglia d’Oro del Ministero della Difesa per l’assistenza religiosa volontaria data ai militari della Scuola Servizi di Commissariato e d’Amministrazione Militare di Maddaloni. Infatti, il sacerdote per lungo tempo è stato assistente spirituale delle caserme – scuole dell’esercito di Maddaloni. Nel 1987 don Salvatore d’Angelo (al tempo anche parroco del Duomo di Casertavecchia) unitamente all’arcivescovo mons. Francesco Cuccarese, da poco nominato Vescovo di Caserta al tempo, sono stati insigniti della commenda del Sacro Ordine Militare Costantiniano di San Giorgio. La prestigiosa onorificenza rappresenta il riconoscimento per l’impegno profuso dai due ecclesiastici nello sviluppo della più autentica cultura cristiana. Molti sono i riconoscimenti avuti da don Salvatore tra cui due Americani: uno della National Italian American Foundation (presieduto a quanto sembra da un oriundo di Piedimonte Matese - Caserta) e l'altro è quello della Catholic University of America di Washington. In relazione a questa occasione don Salvatore, ricorda Donato Proto, fece fare un video ed un opuscolo e si avvio oltreoceano, per ritirare il premio, non in veste talare ma Clergyman (sembra prima o comunque una delle rarissime volte in cui ciò è avvenuta) provocando un sorriso collettivo, alla sua discesa dall’appartamento, che con il suo fare “autorevole” ha subito stoppato. La segnalazione viene dalla National Italian American Foundation (NIAF) e cioè dai Senatori e dai Parlamentari di origine italiana che la costituiscono, i quali destinano tale riconoscimento a personalità italiane o con origini italiane che hanno tenuto alto il nome del proprio paese il 21 ottobre 1988. Il riconoscimento è concesso anche ad altri tre personaggi: il giovane atleta italo americano Brian Boltano recentemente vincitore della medaglia olimpica; l’attrice Liza Minnelli e io del Psi on. Bettino Craxi. Nel passato il riconoscimento era stato concesso a personalità come Sandro Pertini e Giulio Andreotti. Anche questa volta, come nel caso dell’Università Cattolica di Washington, ad accompagnare il sacerdote è mons. Francesco Cuccarese che su segnalazione della Santa Sede porta il saluto della Chiesa. La stampa che si rifà al Villaggio e quella esterna riportando la cronaca dell’evento e contributi fotografici immortalano don Salvatore in appassionati colloqui con Il segretario di Stato degli Usa George Shultz, Enrico Manca Presidente della Rai, Gianni Agnelli, Liza Minelli, Bettino Craxi e tanti altri. Nel giugno dello stesso anno abbiamo un ulteriore significativo attestato da parte di padre William Byron, presidente dell’Università Cattolica di Washington che gli consegna negli Stati Uniti d’America il premio del centenario dell’Ateneo per il costante impegno in favore dei giovani e per la risonanza internazionale della Fondazione Villaggio dei Ragazzi alla presenza di parlamentari statunitensi di origine italiana e dell’Ambasciatore d’Italia generale negli USA Rinaldo Petrignani. A raccontare la cronaca della tre giorni su Il Villaggio dei Ragazzi (dicembre 1988) sarà il l’arcivescovo mons. Francesco Cuccarese, Vescovo di Caserta che ha accompagnato don Salvatore in questo viaggio oltreoceano anche per portare il saluto della Chiesa di Caserta. Il tutto era nato qualche mese prima allorquando don Salvatore nell’aprile 1988 era stato presso la medesima università americana ad illustrare con conferenze l’attività della sua opera e i suoi metodi educativi e da qui la decisione del riconoscimento, del primo a cui seguiranno gli altri. A giugno dello stesso 1988 don Salvatore era stato anche impegnato in Giappone per stringere rapporti e partenariati e anche lì aveva ricevuto onori e gratificazioni. Si consideri che Giulio Andreotti dal 1983 al 1989 è Ministro degli Affari Esteri per cui la vicinanza all’amico Giulio sicuramente avrà favorito questi viaggi intercontinentali del sacerdote. Nel 1989 fu premiato con il riconoscimento “Caserta Amicizia ‘89” insieme ad altri tra cui mons. Mario Vallarelli per il loro impegno sociale. La motivazione specifica di don Salvatore fu «per aver saputo donare, a quanti ha avvicinato o conosciuto, solidarietà e comprensione affermando con Giovanni XXIII “Non ci siamo soffermati a raccattare i sassi che a una parte e dall’altra ci venivano lanciati. E non li abbiamo rilanciati a nessuno” ». In quella stessa occasione rivolgendo il pensiero ai premiati e dunque anche ai suoi due sacerdoti l’arcivescovo Cuccarese affermò: «Il senso profondo, vero, autentico dell’amicizia deve essere il vincolo tenace che tutti gli uomini di buna volontà, impegnati nel sociale e nel cristiano, debbono ricercare tra di loro per rendere possibile la realizzazione di ogni migliore progettualità politica». Un Diploma di Benemerenza è stato ritirato dal nipote omonimo, post mortem alla memoria, il 2 dicembre 2017 a Vitulazio (Caserta) nel corso del conferimento di una cerimonia di un Premio alla Legalità organizzato dalla Dea Sport Onlus promotrice del riconoscimento stesso. Pensiero e azione di don Salvatore Si narra che don Salvatore abbia coniato l’espressione “blasfema” “l’ingratitudine umana è più grande della Misericordia di ….”, ebbene questa cosa non deve fare sfuggire quella che, appare dalle testimonianze ricevute in questi mesi, è stata invece la totale pro azione di misericordia in cui agiva il sacerdote. Tante le “cattiverie” indirizzate alla sua persona, le male lingue, le voci che lo mettevano in cattiva luce, e forti le delusioni, non sappiamo se ne sono state in numero indescrivibile, data la sua capacità di capire l’animo umano e quindi relazionarsi intimamente a pochi, ma certamente forti tra cui quelle di una persona a cui teneva tanto al punto da individuarlo quale successore. E qui la grandezza della misericordia del sacerdote nell’aver messo da parte i ricordi di almeno tre “tradimenti” che si perdono nei decenni. Quindi, altro aspetto della modernità di don Salvatore, uomo e sacerdote di misericordia, perché forte il suo intimo rapporto con Gesù e l’Eucarestia, come si vedrà nelle testimonianze che seguiranno. Il prof. Antonio Pagliaro così riassume il suo pensiero sul ruolo e azione del sacerdote: «L’azione educativa di don Salvatore era molto diretta ed efficace. Ci ha dato la possibilità di crescere in modo equilibrato mettendoci a disposizione bravi educatori, bravi maestri ( ricordo con affetto il maestro Badelli e il maestro Tanzarella, papà dell’ex Onorevole Sergio il quale ha frequentato la quinta classe con noi) e altrettanti bravi professori, in particolare quelli dell’Istituto Tecnico Industriale, l’ing. Vallario, il prof. Tufano, la prof. Tanzillo, i presidi Stumpo e Giuliani. Non ci ha fatto mancare mai niente, ci dava tutto il corredo scolastico, penne, quaderni e libri di testo. Nel mio lavoro quotidiano, la cosa che porto dentro di me, e che non dimentico mai, è il motto di don Salvatore: Il Villaggio non chiede ma dona, dona a tutti la gioia del dare. C’è più gioia nel dare che nel ricevere». La Comunicazione Notevole è stata l’attenzione che don Salvatore ha voluto dedicare alla comunicazione anche con il “Centro Grafico Editoriale Villaggio dei Ragazzi”, con la Tipografia interna, sempre attento a “immortalare” eventi così come l’attenzione alla memoria fotografica e “video” (anche sembra non esista un vero e proprio archivio organizzato con tutto il materiale prodotto in oltre 50 anni di Fondazione). Don Salvatore non era avaro di far “figurare” su testate giornalistiche nazionali la sua “Fondazione”, ricordo intere pagine su “Avvenire”, e comunque l’abnegazione per le due testate giornalistiche della stessa “Il Corriere della Campania” e “Il Villaggio dei Ragazzi”. La cura delle relazioni, e quindi la promozione della sua opera, era alla base del suo “donare agli altri la gioia del donare” che doveva obbligatoriamente passare per la conoscenza dell’Opera a cui donare. Molta attenzione, fuoriesce dalle testimonianze su di lui, era riversata nel ricordare le ricorrenze e fare gli opportuni auguri (e maniacale attenzione nel rispondere a quelli ricevuti), che nel caso delle “Feste Comandate”, su suggerimento di Donato Proto, negli ultimi anni prevedevano una grafica del Maestro Crescenzo Del Vecchio Berlingieri, a dimostrazione della cura per la Cultura, nelle sue diverse sfaccettature, che aveva don Salvatore. L'opera principale di don Salvatore d’Angelo resta il “Villaggio dei Ragazzi”, la sua Fondazione, alla quale ha dedicato ogni sforzo, e che, dopo la morte, allo stesso è stata dedicata. Nella conoscenza del sacerdote, attraverso le testimonianze di queste settimane si evidenzia la maniacale attività di controllo generale su ogni aspetto dell’amministrazione e della gestione della Fondazione, con tanto di lettura serale dei registri e ritiri delle chiavi dei tanti e tanti catenacci distribuiti nelle diverse sedi. Meticolosa, ricordano tanti (che negli ultimi tempi, testimonia Donato Proto, si ridusse a un mero visto per via dei malesseri che lo interessavano e per la stanchezza oramai giunta a livelli notevoli), era la sua analisi di ogni voce con note a rimando: “visto”, “ok”, “conferire”, “chiarire”, etc.. Don Salvatore, era così attento, in quanto riteneva importantissima la cura dei suoi “fanciulli”, dei suoi “ragazzi” senza i quali in Villaggio non aveva senso di esistere e che la presenza dei “collaboratori”, ovvero dei dipendenti, era funzionale solo a questi, così come l’opera dei volontari, dove il primo era lui. L’opera, vista l’importanza all’educazione di cui aveva cura don Salvatore d’Angelo, ha avuto un centro professionale di avviamento poi trasformato alla fine in Istituto Tecnico Industriale per l'Elettronica e per l'Informatica, un Liceo Linguistico dagli anni ’70 (e poi un Istituto Superiore per Interpreti e Traduttori) e negli anni ’80 una scuola materna, mentre da subito o quella che sarà la Fondazione avrà una Scuola Elementare e una Scuola Media pubblica e interna per uso degli ospiti del Villaggio, annessa al Villaggio stesso. Ed ancora un Istituti Tecnico Aeronautico con indirizzi per la navigazione aerea e l'assistenza alla navigazione aerea. Negli ultimi decenni della permanenza degli Istituti in loco sarà aperta anche ad esterni. Successivamente alla morte di don Salvatore vi saranno anche altre istituzioni scolastiche istituite. Per fotografare la Fondazione "Villaggio dei Ragazzi", nel giorno della nascita al Cielo di don Salvatore d'Angelo si veda il prospetto di presentazione, di illustrazione di quello che ne è il fine educativo e formativo, estratto dal dépliant distribuito a metà maggio 2000 in occasione del "Giro d'Italia" (accuratamente ritrovato nel mio personale archivio documentale su e di Maddaloni): «La Fondazione “Villaggio dei Ragazzi” La Fondazione “Villaggio dei Ragazzi” di Maddaloni è un Ente Morale riconosciuto con Decreto della Giunta Regionale Campania n. 609 del 5 febbraio 1975 e, pertanto, ha una propria personalità giuridica. Ne è stato il Fondatore e ne è Presidente Don Salvatore d’Angelo, notissima figura sacerdotale attivamente impegnato da un cinquantennio nell’attività etico-sociale e culturale a favore della gioventù, per la quale ha rinunciato senza rimpianto alcuno a dignità ecclesiastiche cui era sicuramente vocato per intelligenza, qualità spirituali e preparazione. La Fondazione è tutto il suo cosmo. “Il Villaggio è la mia vita" è il suo motto programmatico da circa dieci lustri. Scopo della Fondazione è quello di promuovere iniziative educative, culturali e ricreative in favore di quei fanciulli - ormai si contano in migliaia - nei quali le carenze affettive e le difficoltà nell’ambiente familiare e socio-economiche non avrebbero consentito una formazione del carattere e della personalità. Nel Villaggio essi vivono una vita serena, basata ed orientata sui valori dell'amore, della solidarietà, della comprensione e del dialogo. Questa formazione si raggiunge preminentemente attraverso un`articolata varietà di istituzioni culturali, ricreative, ludiche e di attività educative: una Scuola Materna; una Scuola Primaria dell'obbligo; una Scuola Media; un istituto Tecnico Industriale per l'Elettronica e per l’Informatica impegnato ad attuare nuovi programmi sperimentali al passo con le moderne tecnologie; un Istituto Tecnico Aeronautico con indirizzi per la Navigazione Aerea e per l'Assistenza alla Navigazione Aerea (piloti e controllori di volo); un Liceo Linguistico all`avanguardia per attrezzature e laboratori moderni ed efficienti con due aree di indirizzo: Linguistico Moderno e Giuridico Economico; un Centro Grafico Editoriale: un Centro di Produzione Programmi Televisivi: una Polisportiva; una Banda Musicale. Sensibile alle attuali esigenze determinatesi nel mondo del lavoro in previsione dell'imminente assetto socio-politico e culturale dell’Europa Unita, proseguendo Fazione educativa a favore dei giovani cui si è ininterrottamente ispirata da un cinquantennio, la Fondazione ha istituito, ai sensi della Legge 11 ottobre 1986, n. 697, l'Istituto Superiore Interpreti e Traduttori (I.S.I.T.) che rilascia, in virtù del D.M. 19 maggio 1939, al termine di un corso triennale, il Diploma di Interprete e Traduttore, avente valore legale secondo la denominazione e l'ordinamento delle corrispondenti scuole dirette a fini speciali delle Università Statali. E' stato istituito, inoltre. un quarto anno di corso al cui compimento viene rilasciato il Diploma Quadriennale di Interprete e Traduttore, per il quale è stata già avviata la procedura intesa ad ottenere il riconoscimento legale come Diploma di Laurea, ai sensi e per gli effetti di cui all`art. 6 della legge 7 agosto 1990, n. 245. Il Convitto, il Semiconvitto e la semplice frequenza rappresentano, infine. le varie proposte che il Villaggio offre ai suoi ospiti. La Fondazione consente. in tal modo, per il suo carattere di struttura aperta, di scegliere indirizzi scolastici diversi, esistenti, per altro, sul territorio (Liceo scientifico, Liceo classico, Conservatorio di Musica, ecc.). Attività sportive e l’organizzazione del tempo libero, la partecipazione esterna alle più varie attività socio-culturali, soggiorni di vacanza estiva (il Villaggio possiede un Soggiorno sulla costa adriatica, a Torre Pedrera presso Rimini) Completano il quadro di quanto viene offerto ai ragazzi che la Fondazione accoglie ed educa. Si può dire che la Fondazione è “una città nella città", fornita com`e di proprie strutture idonee a soddisfare, all'interno di essa, le più varie esigenze “pratiche” e capace di proporsi, altresì, come esempio prospettive sul piano dell'apprendistato giovanile d’oggi e in linea con i tempi a venire». Per la parte grafica televisiva il fidato collaboratore di don Salvatore è stato Raffaele (Lello) di Nuzzo mentre per i rapporti con la carta stampata locale la coppia Vincenzo Lombardi (anche speaker delle manifestazioni) e Michele Cerreto. Don Salvatore da subito, dall’inizio della sua opera non si è sottratto ai media, ai giornali, alle radio (nelle scuole del villaggio c’era anche la fila diffusione e la radio) e alle tv. Del resto, sapeva bene e aveva compreso il potere della comunicazione e lo orientava a favore della sua opera principale la Casa del Fanciullo/Villaggio dei Ragazzi. Tra le curiosità ricorda il giornalista Carlo Scalera (spesso lo intervistava per Radio Maddaloni International e fece uno speciale con i presenti all’annuncio della morte presso il Villaggio) che il sacerdote preferiva farsi riprendere sempre con un cagnolino, di razza piccola, di colore bianco. Certamente soprattutto nell’ultimo ventennio il sacerdote veniva attaccato dalla stampa scandalistica e fu coinvolto in uno scandalo, secondo il quale aveva ricevuto una tangente di parecchi milioni da Gaetano Caltagirone. La fazione politica opposta alla Dc e a don Salvatore reagì a Maddaloni con i cartelloni in piazza, manifesti e perfino il settimanale l’Espresso si interessò di questa notizia. Un giorno, Carlo Scalera e Antonio Mastella da don Salvatore furono mandati dal sacerdote all’aeroporto di Napoli per incontrare il giornalista de l’Espresso Pietro Calderoni, con la premessa che non dovevano rispondere alle sue domande. Bene una volta che lo prelevarono, iniziò il viaggio per portarlo al Villaggio di don Salvatore e, infatti, il giornalista la prima domanda che rivolse chiese che tipo era don Salvatore. Loro che erano stati avvisati, come due pere mature, iniziarono a parlare della sua amicizia con Andreotti, con Scotti, Pomicino che dal nulla aveva costruito una grande cittadella dello studio, ecc. ecc. . Arrivati a Maddaloni lo fecero accomodare nella vicedirezione e dopo due minuti arrivò don Salvatore che lo accolse a braccia aperte e con un sorriso meraviglioso. Stettero due ore insieme, gli fece vistare tutto il Villaggio e alla fine lo accompagnò in alcune stanze dove aveva installato uno dei più grandi centri di elaborazione dati e all’entrata un grande targa: “Dono del cavaliere del Lavoro Gaetano Caltagirone”. Ecco come lui aveva speso quei soldi, investendoli in un qualcosa, sempre per la crescita del Villaggio. Don Salvatore aveva sempre la soluzione pronta, era un lungimirante e per questo spesso poteva avere noia a parlare con chi non era capace di vedere oltre il proprio naso ma comunque per vocazione e carità cristiana la sua attenzione era rivolta e al servizio di tutti, soprattutto degli ultimi, di chi oggi potremmo dire fa parte delle “periferie umane”. Tornando all’episodio, nella strada di ritorno i due accompagnatori videro che il giornalista Calderoni, era silenzioso al che Scalera gli chiese: “Dottore tutto bene? Che impressione vi ha fatto don Salvatore?” Calderoni con un filo di voce ci rispose: “Anche io ho dato un contributo economico mio personale al Villaggio dei Ragazzi, non ho potuto farne a meno e gli scappò una piccola lacrima”. Il povero giornalista da che era arrivato tutto grintoso per fare lo scoop si ritrovò “volontario” sostenitore dell’iniziativa del sacerdote. Questa era don Salvatore, capace di trarre il buono da ogni situazione per i suoi ragazzi. Don Salvatore nel mentre dall’avvio dell’esperienza era lieto dell’associazione che si faceva di Andreotti al Villaggio, nell’ultimo decennio si preoccupava del contrario per evitare che le vicissitudini del Senatore poteva buttare fango sul Villaggio. Don Salvatore per promuovere la sua fondazione non badava a spese con i media come l’acquisto delle pagine si Avvenire o la pubblicazione de Il Corriere della Campania e Il Villaggio dei Ragazzi. Dove il primo nasce con Federico Scialla e responsabile della redazione, detto “o’ professore”, di Marcianise con gli occhiali. Successivamente subentrarono altri giornalisti anche con la seconda testata come Franco Tontoli, Alberto Zaza D’Aulisio, Antonio Mastella, Aniello Gentile etc. Il direttore del secondo giornale è stato lo stesso don Salvatore d’Angelo, avendo tra le altre cose il tesserino di giornalista pubblicista. Don Salvatore aveva un buon rapporto con i giornalisti, tanto è vero che il giorno della morte, dopo che si seppe la notizia, Antonello Velardi, che era da poco arrivato a Bari (per conto del Corriere del Mezzogiorno) dopo l’intervista allo stesso sacerdote la mattina si era preoccupato del fatto che in qualche modo la sua intervista di qualche ora prima della morte lo avesse potuto far star male. Di tanto ne parlò anche l’indomani nel suo articolo testimonianza sul suo giornale. Del resto, fu lui l’ultima persona ad avere incontrato e parlato, mentre dall’altro lato c’erano le segretarie al lavoro. Con il suo “Centro Grafico Editoriale Villaggio dei Ragazzi”, e dunque la sua tipografia interna, don Salvatore oltre a pubblicare libri, e materiale per eventi e cancelleria per il Villaggio, per il Seminario, per la Curia ha edito tanti libri e giornali e la catalogazione bibliografica di Gaetano Andrisani di inizio secolo, che ne suddivide anche il tipo di prodotti, ne è la chiara testimonianza. La produzione, almeno di libri e giornali, è talmente ampia che per una catalogazione completa solo il ricorso all’eventuale magazzino interno al Villaggio con copie delle singole pubblicazioni potrebbe portarla a termine. Sono ancora in giro delle mini guide turistiche della città, realizzate da don Salvatore con la sua tipografia, su richiesta del presidente della Pro Loco Salvatore Cardillo. E sicuramente tanto materiale è in quello che è noto come il Museo storico di don Salvatore interno al Villaggio dei ragazzi organizzato, scheda, fotografato e sistemato dal vicedirettore Franco La Farina a inizio secolo, tra le altre cose anche con la collaborazione di Pasquale Mauro Maria Onorati. La Tv di Maddaloni ospite di don Salvatore Negli anni 80 Carlo Scalera con l’editore radiofonico Vincenzo Di Nuzzo (noto per Radio Maddaloni International poi New Radio Network) si lanciarono nel mondo delle tv private. Da qui nacque l’esperienza di “Radio Maddaloni International Tv”, nota anche come “Tele Radio Maddaloni International” che fu una bellissima esperienza, che durò dal 1983 al 1986, accolta dalla città e dal sacerdote che offri i propri spazi per la regia e lo studio, gli stessi spazi poi occupati dal centro multimediale della Fondazione Villaggio dei Ragazzi. Di giorno e sera vi era la normale programmazione mentre la notte, per una notte, così come accadeva invece abitualmente per tutte queste tv private, dopo la mezzanotte, si ebbe a trasmettere un film vietato ai minori. L’indomani di questa infausta scelta Scalera e Di Nuzzo furono urgentemente convocati nello studio di don Salvatore che gli fece una “sonora cazziata”, che iniziava grossomodo così :“Tu n’ta casa mia a notte fai trasmettere quelle schifezze?”. La trasmissione hot era andata in onda la notte tra il venerdì e il sabato. Prima di congedarli don Salvatore consegnò ai due una videocassetta con l’invito a mettere quella la notte. Si trattava di una Santa Messa celebrata da don Salvatore e un sacerdote polacco che celebrava la santa messa della prima comunione nella chiesa del Villaggio dei Ragazzi. Il sacerdote, amico di don Salvatore conosciuto a Roma e che più volte don Salvatore andò a trovare nella sua terra, anche con la sua fidata cugina e segretaria Marietta, era don Piotr Jarecki che poi diventerà vescovo ausiliare di Varsavia dal 1994. Don Piotr Jarecki (che spesso è stato al villaggio anche dopo la morte del sacerdote) era amico di don Jerzy Popiełuszko, prete polacco ucciso da funzionari del ministero dell'interno della Repubblica Popolare di Polonia il 19 ottobre del 1984. Dopo Salvatore subito dopo la sua morte volle andare in Polonia e celebrò sulla sua tomba e in sua memoria. In occasione di questa visita don Salvatore andò anche sulla Collina delle Croci nei pressi della città lituana di Šiauliai. Qui su una piccola altura si ergevano un tempo oltre quattrocentomila croci, piantate per devozione dai pellegrini secondo una tradizione popolare che dura da alcuni secoli, ma che ha preso un enorme impulso nella seconda metà del XX secolo come simbolo dell'identità nazionale lituana. La tomba di mons. Jerzy Popiełuszko, su cui do Salvatore tornò pregare più volte, è nel giardino della chiesa di San Stanislao Kostka di Varsavia, dove egli prestò il suo servizio sacerdotale negli ultimi anni di vita, ed è meta di continui pellegrinaggi, dalla Polonia e dall’estero; e il 14 giugno 1987 pregò sulla sua tomba anche papa Giovanni Paolo II. I protagonisti di questa disavventura hot ricordano che il loro volto si fece di mille colori in occasione di quella partaccia però ci fu anche un altro risvolto, ovvero, la domenica mattina tutti in piazza a parlare di questa messa. Da questo particolare si capì che la tv aveva un ottimo indice di ascolto, solo per pudore avevano evitato di commentare il film vietato ai minori, ergo, tutti prima seguivano la programmazione hot. C’è un episodio divertente collegato che coinvolge l’ex sindaco Salvatore Cardillo, il quale il lunedì mattina in treno per Napoli (sede di lavoro in Regione Campania) confidò che aveva sentito parlare di questa programmazione notturna e per curiosità voleva vedere se era vero che andava in onda, ma a sua meraviglia quando si collegò trovò Mons. Piotor Jarecki a celebrare la messa della prima comunione. Ma prima ancora di questa esperienza le attrezzature del Villaggio avevo già dato i loro frutti. Infatti, ricorda Salvatore Renga che già nel 1975, allorquando operava in regia con il prof. Antonio Colella, nella sala di regia di allora del Villaggio dei Ragazzi, tanti chiedevano di poter usare le attrezzature. Questa sala era dotata delle più moderne apparecchiature per quei tempi, alcune anche autoprodotte dalla schiera di valenti tecnici che collaborava l’Ing. Giuliani (direttore dei corsi dell’Istituto Tecnico del Villaggio), come Antonio Palumbo ex allievo del Marconi (centro per la formazione di tecnici per le telecomunicazioni di Santa Lucia- Napoli), vero genio, che dopo tale periodo creò a San Vitaliano NA un’azienda che produceva materiale elettronico per trasmissione/ricezione di segnali radiotelevisivi. Nella provincia di Caserta solo nel 1977 iniziava le trasmissioni “TeleCaserta”. Ricorda Salvatore Renga di tante visite da parte di personaggi interessati alla creazione di emittenti private. Successivamente negli anni novanta l’amichevole collaborazione con Teleluna, che trasmetteva spesso eventi registrati nel e per il Villaggio. Va detto però, che l’impianto era essenzialmente a “circuito chiuso” vale a dire che non andava mai in etere dal villaggio, non si completò per la produzione interna mai l’impianto con un trasmettitore vero e proprio. Nel tempo questa attività televisiva si limitò solo alla produzione di programmi televisivi che oltre ad essere di tipo didattico-educativo, essenzialmente documentavano la vita della Fondazione e talvolta di manifestazioni esterne. Don Salvatore instancabile e sempre in movimento Nel corso delle interviste e della raccolta di testimonianze varie è emersa la conoscenza di molti aspetti della personalità di don Salvatore d’Angelo e della sua forza di carattere, e della sua capacità viva anche nella dinamicità e mobilità, in cui era nota la sua proverbiale attività motoria con la sua auto, almeno fino alla fine degli anni ’60 allorquando, a seguito di un incidente, sulla strada per la colonia estiva, decise di non guidare più e quindi di dotarsi di un autista. Autista storico è stato, ricorda il nipote Francesco d’Angelo, Giuseppe Olino anche se negli ultimi tempi sarà anche accompagnato dal suo collaboratore Donato Proto. La fiducia in quest’ultimo è unica al punto che tra le sue ultime volontà ci sarà quella di essere accompagnato da questi e solo da questi al Cimitero. E così fu. Infatti, il giorno delle esequie la salma sarà in un’auto e oltre l’autista della ditta f.lli Iorio di Maddaloni solo Donato Proto, nella stessa auto al posto del passeggero davanti, accompagno don Salvatore al Cimitero di Maddaloni. In una sua toccante testimonianza a tredici anni dalla morte di don Salvatore, don Matteo Coppola che prima ancora di confratello lo ha avuto come collega di partito (ricorda don Matteo che nelle riunioni degli interpartitici quando bisognava creare confusione andavano Matteo Coppola e Giuseppe Vigliotta mentre quando si affacciava don Salvatore era per mediare e chiudere la “partita”) e cittadino impegnato, ha affermato che il sacerdote «era solito affermare che nel suo DNA c’era la D.C. e il suo essere prete. Il tutto conglobato nel termine “il prete”. Don Salvatore era il prete non perché non ha mai smesso di usare il talare, ma si intendeva la sua umanità vissuta alla luce del Vangelo sine glossa. I poveri, gli umili, lo conoscevano bene. Non certo solo quelli che bussavano alla porta del Villaggio, ma quelli che lui conosceva di persona e permetteva a qualcuno suo amico fidato di fare visita per portare sempre qualche sussidio economico. Era molto significativo nelle solennità, ci mandava. “Non bussate la porta, mettete la lettera sotto la porta, non fatevi sentire, non umiliate”. Sono persone dignitose. Come non parlare di quella carezza annuale che ricevevi ogni anno, il giovedì santo, nella chiesa cattedrale per la messa crismale. Ci si scambiava gli auguri di Pasqua nel giorno in cui la Chiesa ricorda l'istituzione del Sacerdozio. Quanti giovani don Salvatore ha portato all'altare sia con l'assistenza spirituale che economica presso i vari seminari della regione. Molti non sanno che “il prete”, affianco all'Almo Collegio Capranica in Roma aveva creato una casa per permettere ai giovani preti della diocesi di raggiungere i più alti gradi accademici. Aveva un grande sogno. Anche lui, come il beato Bartolo Longo, profetizzava che un giorno qualche Papa si sarebbe affacciato dal balcone del Villaggio a Maddaloni. Auguriamo che, come a Pompei, ogni papa si reca per la visita anche per Maddaloni il sogno diventerà realtà». 28 giugno 2013: nasce il passaggio don Salvatore d’Angelo a via Redentore a Caserta A Caserta, all’ingresso di quella stessa Curia, vi è un passaggio pedonale, una sorta di grande marciapiede che ha solcato molte volte lo stesso son Salvatore d’Angelo. Ebbene quel “passaggio”, è stato intitolato a don Salvatore. È stato fervente desiderio di mons. Pietro Farina fare questo omaggio al suo “padre” e “guida”, ricordando l’avvenuta nascita al Cielo del Vescovo di Caserta Farina. L’evento si concretizzò il 28 giugno 2013 e costituì l'ultima uscita pubblica del vescovo Farina. La dedica su richiesta del vescovo fu concretizzata dal Comune del capoluogo con la intitolazione a don Salvatore D'Angelo, fondatore del ‘‘Villaggio dei Ragazzi'', del passaggio di via Redentore che lambisce il palazzo della Curia vescovile. Per l’evento dello scoprimento della lapide toponomastica, a cui il vescovo assistette sulla sedia a rotelle, c’erano i fedeli di Caserta, di Maddaloni e i ragazzi di quel Villaggio che lo aveva ospitato da bambino e che ne fece una delle prime due vocazioni sacerdotali ed ancora naturale erede e successore di don Salvatore. L’evento della intitolazione avvenne il 28 giugno 2013, mentre qualche giorno prima il 24 dello stesso mese fu diffuso un comunicato stampa che ne annunciava l’iniziativa a cura della Fondazione Villaggio dei Ragazzi “don Salvatore d’Angelo”. In esso di parla del via libera da parte del Sindaco di Caserta Pio Del Gaudio e del Consiglio Comunale, presieduto da Gianfausto Iarrobino. I responsabili del Comitato promotore di questa iniziativa invece risultano essere mons. Antonio Pasquariello, Vicario Generale della Curia Vescovile di Caserta nonché primo direttore della fondazione maddalonese dopo la morte di don Salvatore d’Angelo, Padre Miguel Cavallè, Presidente della Fondazione Villaggio dei Ragazzi, dott. Pietro Matrisciano, commercialista e Direttore delle Relazioni Esterne della Fondazione Villaggio dei Ragazzi, l’ing. Fulvio Campagnuolo, Presidente della Consulta della Conurbazione Casertana, l’avv. Alberto Zaza d’Aulisio, presidente Società di Storia Patria di Terra di Lavoro e Biagio Ancarola. La motivazione della intitolazione si ricorda che è da ricercare nella valenza socio-educativa della Fondazione Villaggio dei Ragazzi e nella memoria di un sacerdote da cui le future generazione possano trarre insegnamento e riferimento. In merito, il primo cittadino del capoluogo di provincia, Pio Del Gaudio, ha dichiarato: “La nostra Amministrazione, nel solco di una comunanza di affetti che da sempre ha caratterizzato la stima nutrita dai casertani per don Salvatore d’Angelo, ha inteso adottare un atto di toponomastica per affermare in città, a futuro ricordo di quanti attraverseranno da oggi in poi il centro storico, la memoria di chi ha dedicato la sua vita ad una importante e imperitura offerta di formazione educativa, culturale e religiosa che ha travalicato, nel suo significato e nella sua efficacia, i confini dei nostri territori”. Grande fu la vicinanza della Regione Campania come si evince dalle parole dell’on. Stefano Caldoro, Presidente della Giunta Regionale. “Con l’intitolazione di un’area di circolazione stradale al fondatore del Villaggio dei Ragazzi si rende merito a quello che è stato il lavoro costante e assiduo di don Salvatore verso i sofferenti, i più deboli ed indifesi. Una tradizione che continua il suo percorso sul territorio. Quando ci si impegna per favorire l’integrazione sociale, per sostenere i giovani e per indirizzarne il cammino, spesso in contesti difficili, si è legati al proprio territorio e si sostiene il tessuto sociale. E’ un dovere ricordare, e far ricordare, sempre chi si è impegnato in questa direzione. Il valore della memoria – prosegue il Governatore campano – è imprescindibile, gli esempi del passato aiutano a vivere con maggiore coscienza il presente ed a costruire un futuro migliore, di progresso e sviluppo”. Sulla stessa linea anche il Presidente della Provincia di Caserta. Infatti, “Credo – ha sottolineato l’on. Domenico Zinzi, antico amico di don Salvatore – sia doveroso intitolare a don Salvatore d’Angelo una strada nella città Capoluogo. La sua straordinaria opera, svolta soprattutto a favore dei giovani, non si è limitata solo alla città di Maddaloni, dove ha dato vita a quella straordinaria realtà che è il Villaggio dei Ragazzi, ma all’intera provincia di Caserta. Il giorno dell’inaugurazione del “passaggio pedonale” casertano il programma prevedeva prima la visita a Maddaloni del Museo delle Cere “don Salvatore d’Angelo” per le ore 17, dunque la Santa Messa nella Chiesa Cattedrale di Caserta città, officiata da mons. Antonio Pasquariello, Vicario Generale della Curia Vescovile di Caserta e da Padre Miguel Cavallè per le 19. A seguire, fuori la chiesa Cattedrale all’ingresso della Curia, alla base del campanile dello stesso Duomo, vi fu la commemorazione di don Salvatore d’Angelo e il saluto delle Autorità all’incirca per le 19.45, con l’esibizione in via Redentore della Banda Musicale “Villaggio dei Ragazzi” alle 20.30 e dunque lo scoprimento e la benedizione della targa toponomastica a Caserta (zona Duomo/via Redentore) per le ore 21 da parte del Vescovo mons. Pietro Farina. Significativa è stata la presenza della “Nuova Associazione Ex Allievi” don Salvatore d’Angelo guidata dal vicepresidente Michele Zimbardi. 30 maggio 2016: dedica della piazza a Maddaloni L’evento si è svolto il 30 maggio 2016 di mattina, nel giorno del ricordo del sedicesimo anniversario della nascita al cielo di don Salvatore d’Angelo. L’occasione ha avuto un duplice significato: da un lato reso onore, seppur in ritardo, alla memoria di chi ha fatto tanto per Maddaloni… ma si sa chi fa tanto è voluto bene o no! - Ed in base a questo, e per le volontà politiche, si delineano i tempi dei legittimi riconoscimenti - Dall’altro dimostrare che l’opera maggiore del sacerdote maddalonese e viva ed è in corsa per recuperare l’immagine compromessa dal disagio economico e dalle vicende amministrative e ne è la dimostrazione un servizio televisivo andato in onda nel Tg3 Campania alle ore 14 del 31 maggio 2016. Circa la dedicazione della piazza ed i potenziali ritardi ad essa riferibili, ricorda Francesco Russo uno degli ex allievi del Villaggio dei Ragazzi, su facebook nel gruppo “ex allievi del villaggio dei ragazzi anni 60 70”, ed altri, che la raccolta di firme (regolarmente protocollate presso la Casa comunale) per l’intitolazione di un luogo a don Salvatore d’Angelo risale al 2010 al tempo dell’amministrazione guidata dal Sindaco Antonio Cerreto, anche se il Comune di Maddaloni si adopera in tal senso solo nel 2014, ovvero a 14 anni dalla morte del sacerdote ed ad un anno dall’insediamento dell’amministrazione De Lucia che ne inizierà l’iter. Si ricorda, tra l’altro, che il 5 dicembre 2015 il sindaco di Maddaloni pro tempore, Rosa De Lucia, riferì che “con decreto a firma del Prefetto di Caserta Arturo De Felice è stato ufficialmente soppresso il toponimo vigente “Piazza della Pace” ed è stata autorizzata l’intitolazione dell’area compresa tra via Capillo, via Altomari e via San Francesco d’Assisi al fondatore dell’antica struttura di accoglienza per i minori don Salvatore d’Angelo. Il lungo iter autorizzativo è iniziato con l’approvazione della delibera di giunta comunale n. 182 del 10 luglio 2014 proposta dall’assessore alla Cultura Cecilia D’Anna”, ciò si apprendeva dal post della pagina social del primo cittadino a cui si aggiungeva una sua dichiarazione: “Voglio ricordare e ringraziare il lavoro del Comitato Ex Allievi Villaggio dei Ragazzi che, per primo, ha iniziato a raccogliere le firme a sostegno dell’intitolazione”. Aggiungeva ancora la nota per la stampa: “Nelle prossime settimane l’amministrazione, in collaborazione con il Comitato, predisporrà la cerimonia di scopertura della targa per l'intitolazione della piazza”. E, infatti, subito girò voce che in occasione dell’anniversario di nascita, a gennaio 2016, si sarebbe provveduto alla intitolazione. Intanto il mese di gennaio passò e riscontri non se ne ebbero. Proseguendo si è giunti al 30 maggio 2016. Si aggiunga, tra l’altro, che sarà il ritardo della dedicazione maddalonese a “muovere” l’altro ex allievo mons. Pietro Farina (Vescovo di Caserta) a dedicare la sua ultima uscita pubblica e le sue ultime forze il 28 giugno 2013 a che si dedicasse un luogo alla memoria del sacerdote maddalonese in Caserta, proprio il passaggio davanti l’ingresso della Curia che porta (su via Redentore) all’ingresso del Seminario Vescovile di Caserta. La mattina del 30 maggio 2016 una enorme folla di cittadini, studenti ed ex studenti, amici e simpatizzanti, e forse anche meno, del sacerdote maddalonesi si sono riversati verso le ore 10 nella già piazza d’Armi, piazza Mercato, poi piazza della Pace e da quel giorno Piazza don Salvatore d’Angelo. Ad accogliere tutti la Banda musicale della fondazione, voluta fin dalla seconda metà degli anni ’40 da don Salvatore d’Angelo quale organo funzionale alla vita della sua casa del Fanciullo poi Villaggio dei Ragazzi. La Banda ha accompagnato le autorità nell’inaugurazione, nel deposito dell’omaggio floreale al milite ignoto e dell’omaggio floreale alla statua di don Salvatore d’Angelo posta all’interno del cortile grande della Fondazione maddalonese. E sempre la Banda e la cittadinanza ha assistito alla inaugurazione della Piazza don Salvatore d’Angelo (la piazza è inaugurata, per effetto della delibera di Giunta Comunale n. 182/2014, Piazza Don Salvatore d’Angelo (ex Piazza della Pace), sacerdote-fondatore del Villaggio dei Ragazzi) alla presenza del Commissario Straordinario del Comune di Maddaloni, dott. Samuele De Lucia; del Commissario Straordinario della Fondazione, Generale Giuseppe Alineri; di mons. Giovanni Vella, Vicario Generale della Curia di Caserta; della dott.ssa Rosanna Romano, dirigente Politiche Sociali della Regione Campania delegata per l’occasione; dall’Assessore alle Politiche Sociali della Giunta De Luca, prof.ssa Lucia Fortini e di altre autorità civili e militari. Tra le altre personalità si sono notati i parenti del sacerdote tra cui l’ex sindaco ed erede spirituale Francesco d’Angelo e la cugina Teresa d’Angelo ed altri familiari. Lo speaker della manifestazione è stato Vincenzo Lombardi dell’Ufficio Stampa della Fondazione Villaggio dei Ragazzi “don Salvatore d’Angelo” ed ancora ha rappresentato l’associazione ex allievi (e tra i tanti si è notata anche la figura di Michele Zimbardi tra i primi ospiti di don Salvatore -fa parte del gruppo di convittori- e collante dei tanti associati) il prof. Francesco Caserta che ha delineato ottimamente la figura di don Salvatore d’Angelo, aggiungendo anche delle idee proposte per ricordare la figura del sacerdote educatore anche in relazione al legame con il protettore del “Villaggio” San Giovanni Bosco ed ancora don Lorenzo Milani figura di sacerdote molto vicina per metodologia all’esperienza di don Salvatore d’Angelo, magari con un convegno. Gli ex allievi, tra le altre cose, hanno desiderato in esito alla inaugurazione fare una foto di gruppo con il Commissario Straordinario della Fondazione, Generale Giuseppe Alineri. Dunque, una piazza piena con diverse centinaia di persone commosse ed emozionate hanno partecipato alla cerimonia insieme con cittadini, studenti, ex allievi, autorità militari e religiose. Non è mancata la presenza di esponenti politici tra cui quella del consigliere regionale on. Zinzi. Si è notata la rappresentanza anche di diverse organizzazioni di militari in concedo ed ancora della presidenza provinciale dell’A.N.M.I.G. e Fondazione ed unitamente al Corpo dei Vigili urbani quella della Protezione Civile. È stato, dunque, questo sicuramente un riconoscimento significativo al lavoro costante e assiduo del sacerdote-fondatore dell’Opera maddalonese impegnato, fin dal 1946 (con i campi estivi), a favorire l’integrazione sociale dei giovani meno abbienti e a sostenere i loro percorsi in contesti molto difficili. In occasione di tale evento, il Generale Giuseppe Alineri, Commissario Straordinario dell’Ente calatino, ha dichiarato: «E’ questo un evento importante perché la Città di Maddaloni, amatissima da Don Salvatore, gli rende onore commemorandone la memoria dedicandogli una Piazza tanto importante proprio perché così attigua al Villaggio”. “Un Villaggio– ha concluso conclude il Commissario Alineri – martoriato nel tempo da troppi eventi e troppi uomini che lo hanno minato al punto da lasciarlo agonizzante e sull’orlo di un abisso dal quale il ritorno sarebbe impossibile se non fosse rimasto lo spirito nei suoi ragazzi di allora e di oggi: quello spirito che ci consente di dire che la Fondazione, nonostante la permanente drammaticità della situazione, è ancora pienamente operante ed ancora continua a mietere successi anche fuori dal nostro Paese». La Cerimonia (che nel corso della giornata ha visto degli ospiti della fondazione rindossare la divisa ufficiale come consuetudine d’un tempo passato per onorare il sacerdote nei picchetti) di inaugurazione di Piazza Don Salvatore d’Angelo è stata, altresì, caratterizzata da molti momenti toccanti, quali: la deposizione della Corona di Alloro ai piedi della statua di don Salvatore, ubicata all’interno dell’ente maddalonese, da parte della Banda Musicale “Villaggio dei Ragazzi”; la deposizione della Corona di Alloro da parte della Fondazione maddalonese ai piedi del Monumento dei Caduti di Piazza della Vittoria ed ancora la recita della Preghiera del “Villaggio” (in piazza) da parte di una studentessa del Liceo Linguistico. Come su richiamato il momento musicale di grande intensità offerto dalla Banda del Villaggio ha fatto da cornice. La giornata dedicata alla memoria del sacerdote maddalonese si è poi conclusa nel pomeriggio allorquando, in occasione del 16 anniversario della nascita al Cielo, si è celebrata la Santa Messa presieduta dal rettore della Basilica Pontificia Minore del Corpus Domini e parroco di Sant’Aniello Abate, don Carmine Ventrone, nella chiesa di Santa Maria della Pace, ubicata all’interno Villaggio. A concelebrare sono stati don Stefano Tagliaferro (presente in piazza di mattina con don Giovanni Vella), anche lui tra i primi ospiti del “Villaggio” e don Antonio Traviso da poco neo sacerdote maddalonese, oltre all’accolito Francesco Russo. Va detto che la scelta del luogo da dedicare al sacerdote non è casuale, al di là della prospettiva che la fondazione ha con il suo imponete fabbricato sulla stessa piazza. Infatti, la già piazza della Pace, o comunque parte di essa, per lungo tempo il sacerdote ebbe a chiederne l’uso per la scuola dell’infanzia prenderne la gestione e cura e riservandone l’accesso alla platea scolastica in orari antimeridiani nei giorni scolastici e lasciando l’accesso ai cittadini nel resto del tempo. In tal modo certamente sarebbe stata più curata e maggiormente fruita l’area interessata. Ma ciò non gli è stato concesso dalla fine degli anni ’80 allorquando ne iniziò a fare richiesta fino alla morte. In conclusione va detto che la giornata del 30 maggio 2016 è preceduta da due giornate, che potremmo definire preparatorie una il 7 aprile 2016 e l’altra il 7 maggio 2016. Il primo appuntamento (di cui si hanno le prime anticipazioni nel corso della trasmissione radiofonica “Dietro l’Angolo” a cura di Carlo Scalera e Michele Schioppa dedicata a don Salvatore d’Angelo, dell’emittente New Radio Network di sabato 19 marzo 2016.) moderato da Michele Schioppa nella Sala “Luigi Settembrini” del Convitto Nazionale Statale “Giordano Bruno” di Maddaloni ha visto come relatori, dopo la proiezione di un video giornale degli anni 50 della fondazione maddalonese di don Salvatore, il prof. Michele Vigliotti, rettore del Convitto Nazionale Statale “Giordano Bruno” che ha relazionato sul tema “tra don Bosco e don Milani: per una pedagogia dell’inclusione”; l’on. Paolo Broccoli, storico che ha relazionato sul tema “prima e dopo la guerra: nasce il Villaggio”; l’on. Clemente Mastella, Europarlamentare - già Ministro ed amico del sacerdote che ha relazionato sul tema “la scelta di campo: cattolici democratici”; l’avv. Francesco d’Angelo, erede spirituale del sacerdote (già sindaco di Maddaloni) che ha relazionato sul tema “le opere e l’eredità” mentre le conclusioni furono affidate a Mons. Piotr Jarecki, vescovo ausiliare di Varsavia dal 1994 (il 23 aprile 1994 quando divenne Vescovo don Salvatore era presente nella cattedrale di San Giovanni Battista a Varsavia) e amico di don Salvatore che ebbe, dopo la morte, del sacerdote maddalonese in dono la valigetta con il necessario per la celebrazione delle messe nei luoghi esterni. Mons. Piotr Jarecki in occasione del convegno al “Giordano Bruno” rilasciò una intervista privata nella quale ricordò che aveva fatto gli studi alla Gregoriana dal 1982 al 1988. Nel 1986, visto il ruolo anche politico della Chiesa in Polonia per i problemi politici e della comunità vi era tanta attenzione del primate, del segretario generale della conferenza religiosa mons. Arcivescovo Bronisław Dąbrowski, che era colui il quale aveva il ruolo di tenere le redini di tali sensibilità. E qui al giovane studente sacerdote Piotr Jarecki fu consegnata una lettera riservata a don Salvatore d’Angelo e solo a lui, raccomandando la lettera e i rapporti con questo speciale sacerdote. Qui un mercoledì il giovane sacerdote andò dal don Salvatore consegnò la lettera e don Salvatore, visto anche forse il ruolo di intermediario che questi aveva con la Chiesa polacca, volle conosce e diventare amico di don Piotr Jarecki e lo prese sotto la sua ala protettrice. E qui le frequentazioni anche a Maddaloni. La cosa che restò impressa al sacerdote polacco è che passeggiando per strada don Salvatore incontrò un barbone e il sacerdote di Maddaloni affondò le mani nelle tasche e consegnò al malcapitato tutto quanto aveva, così era don Salvatore dava tutto quanto aveva ai bisognosi. Episodi come questi con don Salvatore si ripetevano spesso. Naturalmente chi lo accompagnava al secondo bisognoso doveva provvedere a rifocillare economicamente don Salvatore per la sua opera di misericordia. Il rapporto tra don Salvatore e la Polonia è saldo, anche perché con l’avvento di San Giovanni Paolo II è dalla Polonia che parte un movimento di crescita religiosa che porterà alla “rivoluzione delle coscienze” fino all’abbattimento del muro di Berlino che segna la caduta di un’era dittatoriale aconfessionale. E del resto don Salvato, attraverso il Vescovo di Caserta mons. Francesco Cuccarese, ha fortemente ed economicamente sostenuto la Polonia nella costruzione di alcune chiese. Si ricorda che in un viaggio don Salvatore portò con sé in Polonia la somma di 126mila dollari per la realizzazione delle nuove chiese. Il senso della manifestazione del 7 aprile 2016 è racchiusa in un estratto del testamento del sacerdote che fu riproposto nell’invito predisposto dal Convitto Nazionale Statale “Giordano Bruno”: «Io penso che le sofferenze del tempo presente non siano assolutamente paragonabili alla gloria che Dio ci manifesterà”. Partecipe, spero, della gloria di Dio, continuerò a vigilare con amore sui miei ragazzi, sui miei collaboratori, sui miei concittadini e su tutti i miei cari, senza alcuna distinzione o preferenza. Ho amato ed amerò Maddaloni, la mia città, dove sono nato e vissuto. Con tutte le mie energie e con le mie azioni ho inteso dedicarle ogni servizio, specie nel tentativo di renderla quanto più vivibile possibile. Per questo, nulla ho da rimproverare alla mia coscienza, anche per quei risultati non del tutto soddisfacenti. La ricerca di possibili soluzioni alle sue numerose e complesse problematiche ha sempre guidato, comunque, il mio impegno socio-politico. Il mio contributo, generoso e sempre disinteressato, alla gestione della “res publica”, ha comportato frequentazioni dei gruppi politici, anche di quelli che traevano il loro humus da ideologie diverse ed opposte alle mie. Con tutti ho cercato il dialogo, collocando i bisogni della città al centro di tutta la mia azione politica. E, quando c’è stato lo scontro, non ho combattuto gli uomini, ma le loro idee. Per quello che non ho potuto o non realizzato – e ciò senza colpa – chiedo a tutti, singoli e collettività, il perdono». L’altro appuntamento invece è stato vissuto nella fondazione di piazza Matteotti dove la mattina è stato organizzato un ricordo del sacerdote con la proiezione del film “Solo Dio mi fermerà” con regia di Renato Polselli del 1956 della durata di 90 minuti di genere drammatico che nel cast ha protagonisti come Gérard Landry, Memmo Carotenuto e Lea Padovani. Tra le curiosità va detto che Gérard Landry nel 1992, per le edizioni Pro-France, nel 1992, pubblica il libro “Un homme digne d'avoir un chien” in cui dedica un capitolo a don Salvatore. Gérard Landry, attor protagonista del film e autore del libro riferirà «Gli attori hanno l’abitudine di dire che ogni volta che interpretano un ruolo importante, vi lasciano un po’ del loro cuore. Ciò può essere vero. In tutti i casi, interpretando il ruolo di don Salvatore, ho lasciato in quel Villaggio di orfani una gran parte di me», così ricorda e si lega la sua esperienza a «questo prete, che nel dopoguerra iniziò a entrare nella leggenda». Riferendo tra l’altro di aver rinunciato all’incarico di interpretarlo proposto dalla Titanus al punto da scomodare lo stesso sacerdote che lo raggiunse a Roma per avere come risposta che «non si vedeva bene in sottana». L’attore disse al sacerdote che il diniego era dovuto «per onestà professionale», in quando si vedeva più un «fisico da pirata o da spadaccino ma certamente non quello di un prete». E il sacerdote gli riferì che per il film voleva un protagonista che non avesse l’aria della persona curata, il suo scopo era far conoscere e amare il Villaggio dei Ragazzi, aggiungendo «Devi aiutarmi a far credere in Dio e alla mia opera». E l’attore si convinse e fu individuata, come è noto, l’attrice protagonista in Lea Padovani che aveva qualche dubbio sulla sua partecipazione. L’attore riferisce che «arrivò sul set (il Villaggio di Maddaloni) con segretaria, impresario, parrucchiere … e ebbe l’impressione che il ruolo non fosse degno di lei. Andai a vederla. La condussi in una camerata non ancora terminata. Le spiegai che se avesse accettato d’interpretare il ruolo ci sarebbero stati molti letti e dei nuovi orfani in quel dormitorio. Lei mi guardò. Aveva le lacrime agli occhi. Non soltanto accettò, ma adottò anche due bambini». Tra le vicissitudini del film, raccontate dal protagonista, vi è quella della partecipazione di “Solo Dio mi fermerà” al Festival di Vichy dove rischiò l’estromissione per l’assenza del doppiaggio in francese. L’attore, sapendo che il ricavato della diffusione del film era destinato al Villaggio non si perse d’animo e in due giorni si preoccupò di realizzare una sorta di traduzione simultanea al suo personaggio con commento degli altri protagonisti così da rendere fruibile la visione del film. Dopo la proiezione della prima, ricorda l’autore, che ci fu in assoluto silenzio e mentre lui pensava a un disastro si trovò la platea in lacrime e il film su un vero successo tant’è che in “Cinemondo” del 1958 si lesse «il miglior attore del mondo ha presentato il suo viso al creatore del villaggio dei ragazzi». Nello stesso 1992, per le Editrice Bellini, viene pubblicato il libro “Scippe, scarte e rròbba 'a ittà Copertina flessibile” di Tato Russo (notissimo commediografo e direttore artistico del Bellini) con una poesia dedicata al sacerdote. Il commediografo dedica una poesia dal titolo “Salvatò” in cui raccoglie tutta l’umanità e la grandezza del sacerdote: «Salvatò,/ na mana lava n’ata, e n’ata asciutta,/ a quanne nne faciste tu de bbene/ ‘a tante po’ nn’aviste arraggia e llutte!/Tu, troppo tuòste, e troppiccòse ‘a dicere/ a st’uommene a mmità dint’ ‘o mantrùllo!/ malarazza, maleziùse e mmalapelle,/ ca sanno dì de sì nzième cu no./ Na mana lava n’ata; e nata asciutta,/ fancènne tu de bbene ancòra tutte/ e quanto occhiù so’ trsite e cecagnùole/ fancènne tu de bbène tanto ancòra». Nella breve lirica l’autore condanna sibillinamente quelli che tanto hanno ricevuto dal sacerdote e della sua opera e che per memoria corta non si inseriscono in un percorso di sostegno all’opera per poter consentire di far tanto altro bene. Meeting dell’Amicizia tra i Popoli La presenza del Presidente Andreotti è stabile nei momenti centrali della vita della Colonia di Torre Pedrera ed è connessa al suo soggiorno per la partecipazione al “Meeting per l’amicizia fra i popoli” di Rimini. Tanti sono stati gli eventi che hanno reso indimenticabili quelle presenze. Tra queste, siamo nell'estate del 1988, vi è il soggiorno dei profughi libanesi (alcuni coopti cattolici), bambini accolti da don Salvatore, prima in struttura alberghiera, e poi, liberatisi i posti in Colonia presso la medesima in Torre Pedrera. A fine soggiorno fu fatta una messa “interreligiosa”. La presenza a Maddaloni di Comunione e Liberazione, dalla cui diretta espressione nasce il Meeting, e quindi nasce e si sviluppa l’importante appuntamento di confronto, di espressione cattolica, vede un diretto momento di partecipazione e interessamento, per tutta la sua durata, nel corso della esistenza in vita, di don Salvatore d’Angelo. A suggerire a don Salvatore l’occasione della partecipazione fu don Matteo Coppola, al tempo professore di Storia dell’Arte e politico cittadino della DC. Don Matteo ci dice: “fu io a chiedere a don Salvatore di partecipare. Mi affascinava la notizia Meeting internazionale per l'amicizia fra i popoli. Ricordo che fummo accolti in un grande albergo delle colline romagnole e rimanemmo solo tre giorni, per la prima edizione”. In particolare, ci soffermeremo ai primi anni del Meeting. Don Matteo ci racconta di avervi partecipato in modo continuativo alle prime tre edizioni. Nello specifico le prime tre annualità, e in questo intervento approfondiremo particolarmente la terza, sono quelle del 1980, tenutasi dal 23 al 31 agosto con il tema: “La pace e i diritti dell'uomo”. L’appuntamento “dedicato al tema dei diritti dell'uomo, dà ampio spazio alla situazione nell'Unione Sovietica: prendono tra gli altri la parola i dissidenti russi Vladimir Bukovskij e Tatiana Goritcheva. Partecipa anche Giulio Andreotti (che tornerà ogni anno, con una sola eccezione nel 1991)”. La seconda annualità si terrà nel 1981 dal 22 al 29 agosto ed avrà per tema “L'Europa dei popoli e delle culture”. “Uno dei relatori è il giornalista Tadeusz Mazowiecki, che nel 1989 sarà premier del primo governo non comunista della Polonia. Partecipano anche Guido Bodrato, Roberto Formigoni (che tornerà con regolare frequenza), Emilio Colombo, Giovanni Spadolini, Vincenzo Scotti”. In occasione della seconda edizione, don Matteo, ricorda che ebbe il gruppo maddalonese ebbe modo di incontrare anche il compianto prof. Giuseppe Ceci, maddalonese, al tempo Addetto Stampa Nazionale dei Cooperatori Salesiani. La terza annualità è quella del 1982 e si terrà dal 21 al 29 agosto ed avrà per tema “Le risorse dell'uomo”..” Giovanni Paolo II visita il Meeting e vi pronuncia uno tra i più importanti discorsi programmatici del suo pontificato. Partecipa inoltre ai lavori l'allora arcivescovo di Ravenna Ersilio Tonini, più tardi nominato cardinale. Interviene pure Julien Ries, studioso di antropologia del sacro ed erede culturale di Mircea Eliade: da allora parteciperà a molte delle successive edizioni dell'incontro riminese”. Nel corso della sua testimonianza dell’11 agosto 2015, don Matteo, per conoscenza diretta, ci riferisce che don Salvatore era amico sia di Roberto Formigoni (e questo ci è noto anche da altre testimonianze anche fotografiche) ed ancora di don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione negli anni ’50, realtà oggi presente in quasi ottanta Paesi in tutto il mondo. In particolare, ricorda don Matteo, che in occasione della terza edizione la partecipazione maddalonese fu di cinquanta unità. Tra i partecipanti di quegli anni ricorda Gaetano Cibelli, Enzo Caturano, Pizzuti, Enzo Pascarella, Domenico della Ventura, Irene Tramontano (le ragazze era cinque in quell’occasione) Luigi di Nuzzo di Montedecoro ed altri ancora. Il terzo anno, si diceva, il gruppo maddalonese (che aveva come referente provinciale Luigi Tamburro, oggi don) fu reclutato per lavorare all’allestimento del meeting dal titolo “bit tamburi e messaggi”, interno all’evento. In quello stesso anno si registra la presenza del Cancelliere Tedesco Helmut Kohl non solo al Meeting per l’amicizia fra i popoli ma quale ospite di don Salvatore d’Angelo alla Colonia di Torre Pedrera, accompagnato dal Presidente Giulio Andreotti. Per la sua partecipazione vi fu una importante conferenza stampa al Grand Hotel Rimini che ebbe come moderatore un giovane giornalista di nome Enrico Mentana, alla quale prese parte anche don Salvatore d’Angelo. La partecipazione fu estesa anche alla componente maddalonese di Comunione e Liberazione. Va detto che il Cancelliere, al suo primo mandato di rappresentante della Germania, e quindi di notevole importanza, si fermò alla Colonia di Torre Pedrera che per l’occasione, ricorda don Matteo, fu accerchiata dalle forze di sicurezza e protezione. Don Matteo, ricorda, che nell’ultima settimana, sempre di questa terza edizione, partecipò al Meeting anche il prof. Michele Vigliotti, poi Rettore del Convitto Nazionale “Giordano Bruno” di Maddaloni, in qualità di Presidente dell’Azione Cattolica diocesana di Acerra. Un ricordo, molto carino, di quegli anni, don Matteo lo associa al Presidente Giulio Andreotti, che va detto soggiornare presso il suo appartamento della Colonia di Torre Pedrera piuttosto che presso la suite messa a disposizione dal Meeting per la sua partecipazione allo stesso. Marietta Lombardi, affezionata nipote e assistente personale di don Salvatore d’Angelo, ci ricorda che anche in presenza della consorte, la signora Livia Danese, per ben tre volte intervenuta all’evento del Meeting, il Presidente e signora alloggiavano presso l’appartamento della Colonia del Villaggio dei Ragazzi. E quindi, tornando all’aneddoto di don Matteo, questi ci riferisce che Marietta gli affidò un compito “gravissimo”: quello di servire colazione al Presidente Andreotti. Il giovane prof. Matteo Coppola, poi don, ricorda con emozione l’impatto di quando si portò al tavolino per posare la colazione, ed ancora di più le parole del Presidente: “ma fa che fai ? vai via? No siedi e facciamo colazione insieme”, ed ancora che gli servi il caffè. Per queste e per tante altre motivazioni, don Matteo, ci riferisce che ha stimato molto il Presidente Andreotti. Negli anni a seguire tanti parteciparono al Meeting, tra cui don Valentino Picazio, a cui si deve l'aver mobilitato poi rappresentanze parrocchiali, anche maddalonesi, per la partecipazione, e che nel corso delle serate, liberi dagli impegni del Meeting, trascorreva piacevoli ore presso la Colonia della Fondazione Villaggio dei Ragazzi, e come ricorda amorevolmente Maria (Marietta) Lombardi, partecipando attivamente all’animazione dei piccoli ospiti. Va aggiunto che il 30 agosto, puntualmente, don Salvatore d’Angelo a Rimini celebrava la messa in memoria della signora Rosa, mamma del Presidente Andreotti. Circa il “Meeting per l’amicizia fra i popoli” vi è una bellissima testimonianza dell’ex Rettore del Convitto maddalonese, prof. Michele Vigliotti: «Sono stato al Meeting dell’Amicizia tra i Popoli e quando dicevo di essere maddalonese subito interloquivano “Ah il paese di don Salvatore!” Sono stato altresì ad un congresso DC a Fiuggi qualche decennio fa, ed anche lì, quando seppero che ero di Maddaloni mi dissero subito: “Certo, la città di don Salvatore d’Angelo e del Villaggio!”. Per decenni questa città si è identificata con il fondatore del Villaggio dei Ragazzi. Il prete che faceva politica, il prete dei ragazzi, l’amico di Andreotti…. Poi, come purtroppo capita nelle vicende umane, la scomparsa di don Salvatore ha comportato una eclisse della sua persona a cui ha fatto subito eco una grave decadenza dell’Istituzione al suo nome legata. Tranne qualche fiammata senza seguito, Maddaloni non ha data al suo figlio illustre quegli onori che meritava. Io mi sono sempre onorato della sua amicizia: un giorno mi disse con aria sicura: “Michè, so che ti piace fare lo storico. Non ti far venire il ghiribizzo di frugare nella mia vita dopo che sarò morto! Ricordati che sotto ogni bella pietra ci sono i vermi!”. Parole di grande saggezza! Ma state sicuro, don Salvatore, in quel Paradiso dove sicuramente state, circondato dalle migliaia di vostri allievi, nessuno potrà dire di avere trovato vermi, sotto quella pietra!». Film e libro “Solo Dio mi fermerà” Il Film “Solo Dio mi fermerà” ha la regia di Renato Polselli e nel Cast ha protagonisti come Gérard Landry, Memmo Carotenuto e Lea Padovani. Il film fu girato nel 1956 e il produttore fu il cineasta casertano Gennaro Keller della Edera Film (che ne fece anche un primo cortometraggio) che con il senno di poi ritenne sbagliata la scelta dell’uscita del film il 23 agosto del 1957 e non a Natale, che portò un successo locale ma non provinciale (alla prima al San Marco di Caserta c’era il vescovo Mangino, il prefetto Tito e il sindaco Salvatores, un pieno naturalmente) non nazionale, infatti, ad esempio si ricorda che a Roma al Metropolitan mantenne la programmazione solo qualche giorno per poi passare alla distruzione in Campania e altro in autunno. L’anno di uscita è il 1957 ed è di genere drammatico con una durata di 90 minuti. Lo stesso di recente era stato preso in esame dalla Consulta della Cultura di Maddaloni, presieduta dal prof. Daniele Napolitano (decaduta a seguito del termine dell’esperienza amministrativa comunale 2013-2016 a guida dell’ing. Rosa De Lucia) in quanto, partendo dallo stesso, si voleva condurre uno studio sull’urbanistica del centro cittadino per il periodo delle riprese stesse film. Le prime riprese del film furono fatte il 29 ottobre 1956 e in due mesi furono eseguite tra il Villaggio di Maddaloni, i ponti della Valle di Maddaloni e in alcune casermette di Capua, oltre che nella città delle due torri. Circa l’esperienza della “Casa del Fanciullo”, poi “Villaggio dei Ragazzi” e infine “Fondazione Villaggio dei Ragazzi”, nel 1957 viene girato a Maddaloni un film per la regia di Renato Polselli, distribuito dalla Titanus in tutto il mondo, dal titolo “Solo Dio mi fermerà”, dedicato all'opera di don Salvatore. Tra gli interpreti: Lea Padovani e Gerard Landry (nel ruolo del protagonista). Wikimedia Italia dedica alla produzione una scheda dove la trama riportata è la seguente: «In una sera di pioggia Don Salvatore d'Angelo incontra Nottola, uno sbarazzino che, avendo perduto i genitori, vive solo. Egli s'interessa al piccolo ed in breve è indotto a dedicare le sue cure ad un gruppo di ragazzi sbandati. Malgrado l'avversione di alcuni anticlericali e la scandalizzata alterigia di alcune bigotte il Sacerdote pensa ad una nuova opera per la quale riceve i primi aiuti dal padre, dapprima contrario all'iniziativa. Il maresciallo dei Carabinieri gli è amico e lo difende quando può; altri aiuti gli consentono di adattare ai fini della sorgente istituzione una vecchia caserma abbandonata e il numero dei ragazzi cui provvede, aumenta sempre più. In qualche attimo fugace è preso dallo scoraggiamento e vorrebbe rinunciare all’iniziativa, ma subito l'amore per i giovani abbandonati ha il sopravvento. La popolazione apprezza ed ammira il "Villaggio dei ragazzi", e quando un incendio doloso lo devasta, concorre alla sua ricostruzione. Si dà anche il caso che, per effetto della nuova istituzione, qualche mamma o qualche parente sia portato a riconoscere i propri doveri. Un giorno però si fa viva l'autorità militare, che vuole riavere la caserma; ma l'accorrere della popolazione, richiamata dal vivace Nottola, dimostra la necessità dell'opera ormai sviluppata e fa cambiare idea ai responsabili». Scheda del Film “Solo Dio mi fermerà” - Titolo originale: Solo Dio mi fermerà; Lingua originale: italiano; Paese di produzione : Italia; Anno: 1957; Durata: 94 min; Colore: B/N; Audio: sonoro; Genere: drammatico; Regia: Renato Polselli; Sceneggiatura: Renato Polselli; Casa di produzione: Edera Film; Fotografia: Ugo Brunelli; Montaggio: Guido Bertoli; Musiche: Felice Di Stefano e Scenografia: Vittorio Valentini. Interpreti e personaggi, Vittorio André, Claudio Biava, Mimo Billi, Pina Branchetti, Miranda Campa, Bruno Carotenuto, Memmo Carotenuto, Ada Colombo, Adalgisa Colombo, Giulio Donnini, Piero Giagnoni, Tina Gloriani, Philippe Hersent, Edilio Kim, Gérard Landry, Carlo Lombardi, Lea Padovani, Marcello Prando, Astrid Recher, Olga Solbelli, Erminio Spalla, Nora Visconti, Giancarlo Zarfati, Michele Cerreto. Dopo pochi mesi dalla produzione del Film, che don Salvatore negli anni ’70 fece ritirare, la cui scelta è motivata dal nipote Francesco d’Angelo come aspetto della sua timidezza, ci sarà una sorpresa editoriale. Infatti, in Francia, viene pubblicato un libro dal titolo “Dieu seul m'arretera”, scritto da Hervé Le Boterf. Le foto che illustrano questo libro sono tratte dal film solo fermarmi Dio, scritto e diretto da Renato Polselli. Tra le curiosità di ricorda che l’Ing. Giuliani ricordasse che durante le riprese del film l’attore che interpretava don Salvatore (Gérard Landry) passeggiava nel cortile del Villaggio con Lea Padovani e pare che Don salvatore abbia detto … “e quello sarei io?,,, Mah…..”. Oltre al film esiste una pubblicazione dal titolo “Dieu Seul m’arrêtera” (Parigi, France-Empire, 1958) di “Hervè Le Boterf” (che a quanto sembra non sia mai venuto a Maddaloni, circa poi il fatto che non mai avuto la possibilità di incontrarsi con don Salvatore c’è qualche dubbio in quanto anche Le Boterf è stato allievo del collegio francese ove era don Salvatore salvo il fatto di lasciare poi l’abito talare. Probabilmente i due avranno avuto modo di incontrarsi in qualche occasione anche se l’autore dalla prefazione dirà che dopo l’avvio di tale iniziativa non ha avuto modo di incontrare il sacerdote), che si ispira alla medesima storia del Villaggio ed al film. Hervé Lin Ernest Le Boterf (Nantes, 29 aprile 1921 – Les Pavillons-sous-Bois, 13 giugno 2000) è stato uno scrittore e giornalista francese. Ha scritto prevalentemente di romanzi, e si è anche occupato di storia (scrivendo sul territorio della Bretagna) e di cinema. Per “Lo spretato” (in lingua originale “Le défroqué”) ha vinto il Premio Bancarella nel 1955, tre anni prima di scrivere il libro sulla storia di don Salvatore e del Villaggio. Della pubblicazione che racconta la storia maddalonese sempre per “EDITIONS FRANCE EMPIRE” esiste una edizione del 1959. Alla pubblicazione verrà dedicato uno speciale sulla rivista francese “Lectures”, nuova serie vol. 6 n. 5 del 1960 alla pagina 147. Di questo libro esiste una versione bozza italiana, tradotta dall’Ing. Giuliani e dalla prof.ssa Angela Fasbender. La stessa su fatta entro l’agosto 1984, e richiese mesi e mesi di lavoro, e doveva anche essere pubblicata a cura del Centro Grafico Editoriale del Villaggio dei Ragazzi ma ciò non è avvenuto. A trascrivere sul supporto informativo la traduzione fu Salvatore Renga. Segue la prefazione (come da traduzione appena citata): «La primavera si era svegliata tutt’insieme quel mattino, a Parigi, spazzando via le ultime brume di un lungo e rigido inverno. Sul piazzale che va da piazza della Concordia ai Champs-Eljsées, Gérard Landry osservava con senso di tenerezza le giovanette che sfoggiavano per la prima volta i loro festosi abiti primaverili, e gli imponenti ippocastani che, in lunghi filari, svettavano verso il cielo con le loro chiome bianchissime. Incontratici sul terrazzo di un gran caffè alla moda, noi avevamo trovato squisita la pasticceria, il sole carezzevole, le donne eccezionalmente avvenenti, gli uomini amabilmente garbati e gli automobilisti pieni di cortesie verso i pedoni. In breve, tutto intorno a noi ci conduceva a sentimenti di affabilità e di commozione. Fu così che in quella giornata propizia a iniziative generose e a cordiali sentimenti Gérard mi ha raccontato la storia commovente di Don Salvatore D‘Angelo, quel prete ammirevole che aveva raccolto, all’indomani della guerra, dei ragazzini abbandonati da tutti e aveva fondato con essi, a Maddaloni presso Caserta, una repubblica di fanciulli di cui egli è ancora oggi il capo. In quell’incontro si parlò di voler girare un film che fosse ispirato alla vita di questo moderno San Giovanni Bosco, e Gérard Landry era in certo modo intenzionato ad assumere un ruolo in questa produzione. Passarono alcuni mesi e Gérard, che è assolutamente allergico ad ogni tipo di corrispondenza, non mi dette più alcuna sua notizia. Nell’agosto del 1957 scrissi a Don Salvatore D’Angelo per chiedergli l’autorizzazione a narrare in un libro la sua straordinaria avventura. In quell’epoca, il giovane sacerdote aveva condotto la sua truppa giovanile a gioire del piacere delle vacanze, nella verdeggiante campagna svizzera. La sua risposta mi giunse in novembre, con l’invito a soggiornare al “Villaggio dei Ragazzi” di Maddaloni, per qualche tempo. Un concorso di noiose circostanze mi impedì di recarmi in Italia e fare la conoscenza di Don Salvatore, ma comunque vi fu l’opportunità di scambiarci ancora qualche lettera a proposito della pubblicazione di questo libro. In una di queste lettere, egli mi confidava: “Sono contento per i miei ragazzi. La mia persona è poca cosa a cospetto della grandezza umana, cristiana e sociale di questo “Villaggio dei Ragazzi”. Poi aggiungeva, con l’umiltà di un San Francesco d’Assisi: “Il Signore si è voluto servire di me soltanto come strumento della Sua volontà”. In seguito, il regista italiano Renato Polselli aveva preparato la trama che traduceva liberamente per il cinema, l’opera di Don Salvatore, e venni a conoscenza che Gérard Landry si era fatto tagliare i suo baffi da conquistatore alla stregua di Douglas Fairbanks, per impersonare il protagonista di questo film intitolato: “Solo Dio mi fermerà”. Dall’insieme di tutte queste documentazioni, io mi sono ispirato per scrivere questo libro. L’ammirazione che io provo per la persona di Don Salvatore mi ha impedito di fare una specie di biografia romanzata di questo magnifico apostolo della carità. Le situazioni e i personaggi di “Solo Dio mi fermerà” sono volontariamente immaginari, ma s’ispirano alla grande opera, nello stesso tempo umana e cristiana, che ha vissuto Don Salvatore. Se certi fatti riportati in queste pagine fanno parte, forse, delle gesta autenticamente vissute dal fondatore del “Villaggio dei Ragazzi” di Maddaloni, la maggior parte di tutte le altre sono state in certo modo travisate, oppure del tutto inventate dal regista del film, con un talento da sorprendente narratore, e in parte dall’autore di queste pagine. Io non provo che un solo rammarico: quello di non aver potuto tradurre, nella sua straordinaria semplicità, il racconto meraviglioso che mi fece il mio amico Gérard Landry, in quel tiepido mattino, carico di misteriosi profumi, del 21 marzo 1957, quando i nostri cuori avevano trovato, forse soltanto per un’ora, la purezza di piccoli orfanelli di Maddaloni». Le fotografie che illustrano questo libro originale sono tratte dal film “Solo Dio mi fermerà”, realizzato dal regista Renato Polselli, interpretato da Gérard Landry, Lea Padovani, con il piccolo Giancarlo Scarfati, prodotto da Edera Film, selezionato a cura della ArdennesFilms e distribuito dalla D.C.F. Anche se la versione giunta non ha reso possibile catturarle dalla pubblicazione stessa. Le foto originali del libro non si potè utilizzarle per la via del cattivo stato in cui si trovava il libro (si ricorda che il libro arrivò per un caso fortuito a don Salvatore, infatti, un amico che si era recato a Parigi scartabellando opere sulle bancarelle del lungo Senna trovo questo vecchio libro e lo acquisto regalandolo a don Salvatore, quando fece ritorno). Così la bozza rimase per anni senza immagini fino a quando recuperata da un negativo depositato presso l’Archivio Nazionale della Cinematografia Italiano venne stampata una copia del film in buono stato dalla quale ne derivò una Videocassetta nel formato VHS e successivamente si digitalizzò tale video e da qui io furono estratti fotogrammi per l’illustrazione della traduzione. La prima del film fu proiettata a Roma domenica il 26 maggio 1957 al Cinema Rivoli in via Lombardia 23 traversa di via Veneto, alle ore 11. L’invito, ancora oggi in esemplare disponibile era della “produzione Edera Film”, distribuzione “Titanus”. Va detto che si trattava di una proiezione privata del Film. Per l’occasione fu stilato un programma dettagliato che prevedeva il raduno dei partecipanti al Villaggio alle ore 6, e partenza alle 6.15. Ore 8 arrivo a Terracina per la colazione e qui si legge “i partecipanti possono consumare al Bar quello che desiderano. Cortesemente son pregati però di comunicare al Cav. Antonio Omaggio quello che hanno consumato”. Omaggio fu un caro amico di don Salvatore. Dopo mezz’ora 8.30 partenza da Terracina con arrivo a Roma alle 10.30 per porta “Pinciana” ed ingresso ne cinema alle 10.45 con inizio proiezione alle ore 11. Anche qui un'altra nota a chiara matrice del sacerdote: “chiedo venia se mi permetto pregare i partecipanti di non fare in sala alcun commento durante tutta la proiezione. Prego altresì di considerare questa viva raccomandazione come gentile e cortese ricordo e non intenderla quale offesa”. In prima fila con il senatore Andreotti vi era la madre di questi, la signora Rosa Falasca, particolarmente legata a don Salvatore in una delle sue pochissime uscite pubbliche. Don Salvatore in quella occasione era seduto in mezzo a sua madre e alla madre di Andreotti. Alle 13 era previstala fine della proiezione e rientro nel bus. Vi è dunque il pranzo alle ore 14 presso il ristorante “Archimede” in piazza Sant’Eustacchio che prevede fettuccine, filetto arrosto con contorno, frutta, vino e acqua minerale. Alle 16 c’è il caffè al Bar di Piazza Sant’Eustacchio e alle ore 16.30 raduno per il rientro a Maddaloni. Si consideri che ci sono due punti di rientro uno a Piazza San Pietro e uno all’Eur per quanti hanno deciso di soffermarsi a visitare la città. Ore 16.45 partenza da Roma con sosta dopo due ore a Terracina con le medesime prescrizioni della mattina, e da qui alle ore 19.15 partenza per Maddaloni dove l’arrivo è previsto alle ore 21, il tutto sottoscritto e firmato di proprio pugno nel programma dattiloscritto da don Salvatore d’Angelo. Vi fu poi la proiezione al Cinema Roma di Caserta. Qualche mese dopo il film vi fu un servizio televisivo giornalistico sul Villaggio, con regia di Guido Bertoli (che ha fatto al cinema, come attore, regista o sceneggiatore tra gli anni 40 e 50) e Musiche del Maestro Felice Di Stefano. Forse questo è il primo cortometraggio sul Villaggio di Gennaro Keller. Qui viene presentata la giornata tipo del Villaggio dei Ragazzi, dell’opera sorto per “la tenace iniziativa e dalla volontà realizzatrice di don salvatore d’Angelo”. Nel Villaggio si dice all’alba mentre i bambini dormono in molti uffici della direzione si è già a lavoro, e sullo schermo appare don Salvatore che apre il portone e mostra in grande cortile con anche delle auto tra cui la Balilla del sacerdote. Si riferisce che ci sono 800 componenti in “comunità”, dunque si richiede che ogni cosa sia perfettamente organizzata. La sveglia fa partire la vita nel Villaggio dove la capacità di auto governo si fonde con le forme di disciplina militare. I bambini alzatisi subito ai bagni a lavarsi nelle “attrezzature igieniche ampie e moderne”, sulla “linea dei migliori collegi”. A seguire tutti nel cortile per l’alzabandiera con cui si apre il giorno con tanto di trombettiere per il saluto dove i ragazzi sono divisi in plotone e con il quale in marcia si muoveranno verso la mensa per la colazione. L’educazione del Villaggio è completa e dunque non si trascura il fisico con le attività di atletica, anche nelle attrezzate palestre. E dunque oltre la corsa vi sono sport come la scherma (nel video si vede anche il prof. Francesco Angioni principale anima della preparazione dei primi decenni) e il salto ad ostacoli. Alla cura del corpo vi è dunque la cura della mente con i diversi indirizzi di studi per età e percorsi di avviamento professionali per avviare i giovani alla vita, con tanto del centro di elettronica che tanto farà parlare di se in futuro – e non solo per vicende formative -. Si sottolinea che chi è propenso allo studio viene avviato a percorsi liceali (esterni) o a quelli tecnici (interni) con laboratori dotati di ogni strumento della tecnica moderna. Vi è poi una panoramica delle officine meccaniche e di calzatura, ancora la falegnameria. Vi è poi una volata all’allevamento di Valle di Maddaloni con galline, maiali e altri animali per la ristorazione del Villaggio. Si passa poi al reparto forni con la sfornatura del pane, alle cucine con i suoi macchinari ad iniziare da un pelapatate o potenti lavastoviglie. Il tutto perché il Villaggio tende all’autosufficienza a 360 gradi nonostante vive anche della generosità e provvidenza esterna. Il momento della mensa è preceduto dalla preghiera e l’andamento della stessa mensa è assunto a turno dai ragazzi più grandi che aiutano e correggono il comportamento dei più piccoli (galateo). Si passa poi alle attività ricreative che si unisce allo spirito giocoso autonomo che si sviluppa nel cortile e nei luoghi preposti con autonomia da parte dei ragazzi. Si presenta l’aula di intrattenimento con un piccolo bar, con biliardo ed altri tavoli da gioco oltre all’immancabile calcio balilla. Si passa poi a presentare a banda musicale (con un don Salvatore nel video che la dirige) dove si sottolinea che don Salvatore ci dedica ogni sorta di cura e via a presentare a video una serie di esibizioni in città della stessa banda, numerosissima in divisa che marcia a plotone. Una delle mete nei momenti di gioco dei ragazzi è l’acquedotto vanvitelliano di Valle di Maddaloni dove vi è il saluto al monumento ai caduti e poi i ragazzi si divino in borbonici e garibaldini e ridanno vita alla battaglia che consegnò l’Italia ai Savoia. Si ritorna al villaggio con uno spaccato di qualche ragazzo che riceve la visita di qualche componente familiare, se la ho. Nel mentre don Salvatore è ripreso alla sua umile scrivania dove spicca nel lato la statua di don Bosco sopra una radio di cassettone dove il sacerdote probabilmente ascoltava anche la musica classica di cui, come il padre, era un estimatore. E qui seduto accoglieva a turno i cittadini e le mamme che a lui si rivolgevano per la qualunque. Si passa poi alla parte teatrale degli spettacoli che i ragazzi organizzano per loro, per le loro famiglie e per i benefattori, qui si esibiscono anche in balletti. Fa da spettacolo anche l’atletica rievocazione degli sport classici e storici, dove la boxe cattura l’entusiasmo generale. E quindi si passa alla riunione serale che il sacerdote fa con insegnanti educatori e collaboratori vari per fare il punto sul giorno terminato, su quello da venire e sui progetti futuri comprendendo eventuali interventi da adottare, mentre i ragazzi dopo la preghiera davanti le brande si preparano per dormire. E così con uno sguardo sul cortile di notte ma illuminato termina il filmato. Un'altra curiosità legata alla cinematografia del Villaggio vede come protagonista un ospite del Villaggio, Domenico Formato (Apollosa, 16 agosto 1949) che rimasto orfano del padre a soli 4 anni, fu accolto da don Salvatore. La sua storia di attore si intreccia con le attività del Villaggio, ed infatti, nel corso di una gita della primavera del 1962 a Paestum, l’oramai tredicenne giovanotto con i suoi compagni e i referenti della scuola e del Villaggio si imbattono nell’incontro con il regista Nanni Loy, in quel periodo impegnato ai casting per il film “Le quattro giornate di Napoli”. L’occasione è unica e dunque il casting del film si sposta presso il Villaggio dei Ragazzi di Maddaloni, e qui oltre 300 ragazzi vi partecipano ma solo 3 sono i prescelti, tra cui Domenico Formato. Lo scopo principale è trovare l’interprete del dodicenne M.O.V.M. Gennarino Capuozzo, protagonista del film e a cui il film era dedicato. La scelta, come annunciato, ricadde su Domenico Formato, e si racconta che ciò avvenne per i consigli dati al regista Nanni Loy da parte di Regina Bianchi, che nel film interpreterà Concetta Capuozzo, ovvero la mamma di Gennarino. Si trattò di un ingaggio importante di ben 65 milioni di lire, che vedeva come contraenti Domenico Formato (rappresentato da don Salvatore d’Angelo a cui era stato affidato ) e la Casa di produzione cinematografica Titanus. L’occasione fu presa al volo ed infatti il sacerdote confermò prima ancora di avvisare la famiglia del piccolo. Il compensò restò al Villaggio per le sue opere e al ragazzo, ovvero ai suoi familiari, direttamente da Nanni Loy elargì ulteriori 15 milioni di lire. Per la cronaca le riprese del film durarono circa sei mesi, ovvero dall’estate del 1962 all'inizio del 1963 e la “prima” fu a Napoli nel Teatro San Carlo di Napoli nel maggio 1963. La festa degli 80 anni Don Salvatore con passo affaticato ma sicuro, è stato protagonista suo malgrado di un evento semplice ma di una semplicità austera, dove il silenzio degli intervenuti fu rotto dal commovente e passionale applauso scattato all’arrivo del sacerdote che, come un ruscello nascosto tra gli arbusti di un monte, si innesca, si trasporta e sfocia in un laghetto, in un lago, anche se quello che trovò nel suo cortile e nella sua Fondazione era un mare di persone. Si scorgono braccia tremolanti, mani tese commosse e grate, ricche di affetto per il sacerdote che dalle piccole alle grandi cose ha operato per quegli occhi lucidi che ora lo stanno attorniando. Tutti presenti, allievi ed ex allievi, dipendenti ed ex dipendenti (gran parte volontari che continuano la loro gratuita e preziosa opera), gente umile, amici e parenti, semplici conoscenti, semplicità autorità dal largo respiro come il sindaco cittadino Gaetano Pascarella e il Governatore della Campania Andrea Lasco e grandi autorità come Nicola Mancino (al tempo Presidente del Senato della Repubblica) e Giulio Andreotti, la cui signora Livia era alla destra del sacerdote in prima fila per il concerto della serata. Del resto, quel luogo era abituato ad accogliere personalità che diventavano di casa come i premi Nobel Montalcini e Rubbia. Quella sera don Salvatore ebbe in omaggio un concerto da camera a cura del Maestro Antonio Barchetta, figlio dell’amico del sacerdote Maestro Aniello, per il festeggiato e i suoi ospiti come Andreotti e Mancino. Elio Rosati ricorda l’impegno sociale e politico del sacerdote di Maddaloni soffermandosi sulle fasi precedenti la fondazione della Casa del Fanciullo: “Eravamo seduti su una brandina all’interno dell’ex caserma borbonica abbandonata da qualche settimana dai soldati alleati. Con noi c’era anche Salvatore Cardillo, futuro sindaco di Maddaloni. Don Salvatore ci comunicò che voleva occupare la caserma. Elaborammo un manifesto, una sorta di avviso alla cittadinanza. Il titolo era “Amico, fermati e leggi!” E così nacque la grande opera di don Salvatore”. In una serata dove tra autorità civili, politiche e religiose (tra gli altri il vescovo mons. Pietro Farina e l’arcivescovo mons. Francesco Cuccarese), che preparata in gran segreto dal sindaco Gaetano Pascarella e svelta al sacerdote a cose fatte (anche per via delle presenze istituzionali come quelle di Mancino, Andreotti e Lasco) ha visto un momento di ricordi e testimonianze Ampio, ampissimo il riscontro della stampa che cita finanche gli auguri di Arafat e ancora una bellissima testimonianza di auguri di mons. Bruno Schettino, arcivescovo di Capua, che fa dono al sacerdote di una foto che riprende un gruppo di seminaristi del terzo liceo del seminario regionale di Salerno che nel 1959 vennero in visita e furono ospiti di don Salvatore, tra questi tre futuri vescovi (Mungione, De Rosa e Schettino), i filosofi Franco Donadio e Lino Prenna, tanti sacerdote e illustri esponenti, da laici, della società civile. Nel corso della serata il sindaco di Maddaloni ebbe a pronunciare un accorato augurio che siamo riusciti a ritrovare: «Signor Presidente del Senato, Signor Senatore Andreotti, Eccellentissimi Prelati, Autorità, Signori Concittadini, Cari studenti, Don Salvatore carissimo: l’emozione, intuibile, di Gaetano Pascarella che vi parla, deve fare posto a ciò che in qualità di sindaco – primo fra gli uguali dei cittadini maddalonesi - sento di dire in questa occasione. Poche parole, don Salvatore carissimo; tutti sappiamo quanta distanza avete sempre frapposto - e continuate a frapporre - tra la vostra persona e le considerazioni ammirate su quel che avete fatto e fate. Per una volta, don Salvatore, accettate. ricevete almeno la espressione forte e genuina della gratitudine dei sentimenti. Voi che avete caratterizzato la vostra vita col dare, col donare, fino a farne il motto del Villaggio dei Ragazzi, per una volta accettate che vi si dica grazie. E non per quel che avete fatto ma per ciò che ancora dovete fare, vogliamo che facciate, che certamente farete. L`augurio che a nome della intera comunità maddalonese, della sterminata popolazione di quanti sono transitati per il Villaggio, per i giovani che ancora vi verranno è riflessivo. È un augurio anche interessato - inutile nasconderlo – perché vuole riflettersi sul beneficio che la nostra comunità ancora può trarre dall’opera, dalle intenzioni, dall’insegnamento, dalla fattività di uomini come voi. Che di speciale avete la fede nella Provvidenza, che con questa Provvidenza intrattenete un rapporto quotidiano, fatto di richieste tacite e di risposte positive evidenti. Che di speciale avete il segreto di quella combinazione che scardina, con la prepotenza dei sentimenti, il cuore di chi non può che sintonizzarsi sulle intenzioni di altruismo e solidarietà che caratterizzano il vostro fare quotidiano. Le vostre forze, la vostra attività, le vostre intenzioni lungo una strada che oggi ha toccato gli 80 anni, le avete investite sempre nel futuro. Cioè nei giovani che sono il futuro, sempre e per ogni epoca. Avete seminato conoscenza e sapere, avete fornito a migliaia di giovani la canna per pescare, la chiave per aprirsi le porte dell’avvenire, lo spartito per recitare il proprio ruolo di uomini sani, liberi, sereni, genuini come gli insegnamenti ricevuti. Vi siamo grati per questo. Avete apparecchiato la tavola giorno dopo giorno col cruccio e con l’interrogativo delle necessità dell’indomani. Non sarò qui a ricordare la fame che avete soddisfatta, quella materiale, cruda, fisica, quella dello stomaco. Ma voglio, devo ricordare la fame spirituale che avete soddisfatta, questo cibo chissà se uguale o non più importante di quello da mettere sulla mensa. Avete nutrito l’anima, don Salvatore, lungo una vita che è arrivata alla tappa degli 80 anni. C’è ancora fame, ancora da sfamare Don Salvatore carissimo. C’è la fame dei valori, c`è ancora fame dei valori, dei sentimenti, della spiritualità, della solidarietà, della socialità. C’è fame di Pace, don Salvatore e la pace dei sentimenti è l’ingrediente primo e unico per la pace sociale. Lo dico da primo cittadino fra gli uguali di questa nostra Maddaloni. Lo dico da inquilino di quella casa comunale che è proprio gomito a gomito col Villaggio da voi fondato. Siete stato il fornitore - lasciatemi questo freddo termine - di ottimi cittadini consegnati alla società. La quale società - diciamo - spesso si è dimenticata di questa nostra Maddaloni, ricca di uomini come Voi, ricca di aspirazioni all’insegna delle sue potenzialità ma povera di attenzioni. Aspiravamo anche noi a un pezzo della Seconda Università seminata a pioggia su tutta la provincia. E ci avete pensato ancora Voi, nessun’altro, con l’Istituto per Interpreti assurto a Diploma Universitario e con la facoltà per lo studio delle religioni islamiche. Non avete ancora finito, Don Salvatore. Ancora una volta, anche alla tappa degli 80 anni, siete chiamato a dare e per tanti anni ancora. E l’augurio che oggi facciamo a Voi, è l'augurio che oggi facciamo a Noi. Vi abbraccio a nome di Maddaloni». La Morte “È silenzio cupo, irreale quello che avvolge il grande cortile del Villaggio dei Ragazzi, a Maddaloni. I segni del dolore e dello sgomento sono dappertutto: la bandiera a mezz’asta, gli occhi lucidi e ancora increduli degli studenti e dei dipendenti della Fondazione, il pellegrinaggio mesto e muto alla camera ardente [inizialmente fu attrezzata nella sala adiacente il vano ascensore e nel pomeriggio inoltrato, liberata dai banchi, fu camera ardente la chiesa del Villaggio, che sarà accessibile il 30 e il 31 maggio 2000] allestita nella chiesetta interna di Santa Maria della Pace” (la stessa chiesa dove don Salvatore aveva detto che non ci sarebbero dovuti essere morti, ovvero camere mortuali o funerali ma solo “matrimoni” – ovvero sacramenti per vivi, e anche il suo funerale non lo immaginava nella medesima chiesa), ed ancora, “Se n’è andato come aveva sperato: in silenzio, senza soffrire e senza creare alcun disagio a chi avrebbe dovuto semplicemente esaudire le sue già note volontà testamentarie”, così accennava la morte Nando Santonastaso su Il Mattino il 31 maggio. In quella stessa chiesa in cui don Salvatore ha sempre detto che andavano celebrati riti gioiosi, come battesimi, comunioni, cresime, matrimoni quel triste giorno ci si apprestava a celebrare un funerale, quello dello stesso sacerdote. Non vibrava nell’aria la melodia della banda sempre presente e attiva nei momenti di vita di don Salvatore e del Villaggio, la stessa banda che di lì a qualche giorno in occasione della Festa della Repubblica non mancò di essere in piazza a onorare l’impegno preso e a cui il sacerdote teneva non poco, perché si trattava di fatto della Banda di Musica della Città. Il 30 maggio 2000 nel primo pomeriggio, ovvero all’incirca alle 14.30 il sacerdote nasce al Cielo a causa di un infarto e che ebbe il primo soccorso da parte della segretaria Rosa Tassagno. Nella prima mattinata il sacerdote aveva incontrato il giornalista Antonello Velardi (al tempo vicedirettore del “Corriere del Mezzogiorno / Corriere della Sera”; ora caporedattore centrale de "Il Mattino") con i colleghi Gimmo Cuomo e Angelo Agrippa, con cui aveva chiacchierato a lungo sulla vicenda del Macrico salvato dalle speculazioni e restituito dal sacerdote alla diocesi e città di Caserta. Dopo aver salutato i giornalisti, il sacerdote ritorna alle sue attività. Tra le altre cose aveva pranzato con si suoi ragazzi. Vi era un rito: un cuoco o collaboratore della cucina doveva dotarsi di vassoio e portare al sacerdote il pasto completo che sarebbe stato poi somministrato ai ragazzi –pane e frutta compresa – e solo dopo che don Salvatore ne accertava la freschezza e genuinità si poteva procedere diversamente bisognava correre ai ripari: solo la migliore qualità anche nella ristorazione era richiesta e garantita ai suoi ragazzi. C’è un ricordo di inizio anni ’50 che vide tra i protagonisti Michele Zimbardi e Giuseppe Vigliotta, a pranzo fu somministrato un primo piatto “non buono” i più grandi andarono da don Salvatore il quale dopo aver assaggiato, e aver richiamato i responsabili, fece buttare tutto e preparare il pranzo da capo e i ragazzi trovano anche i fiori a tavola in segno di scuse. Non solo, nella mensa, si adottava e si insegnava il galateo, tutte norme che hanno fatto dei commensali dei perfetti commensali alla tavola in cui si sono trovati dopo quel periodo e ne hanno esaltato la signorilità, rendendoli pronti a talune prove della vita nelle relazioni esterne facendoli non essere sprovveduti come talun’altri . La sua presenza a pranzo o a cena (non amava cenare da solo, agli inizi quando a tarda notte finiva gli incontri politici nella sede della DC e rientrava nella sua casa nel Villaggio e anche alle due o tre di notte la cugina Rosa lo aspettava per la cena e per cenare insieme. Con la famiglia della stessa cugina di domenica – quando abitava ancora nei locali della caserma – il sacerdote si radunava con loro per il pranzo), o comunque l’incontro con i suoi ragazzi in qualche momento della giornata non mancava di dare “la bella cosa” caramella o gelato che sia al cui rito si preparò anche mattino della sua morte, infatti, chiudendo l’intervista con i giornalisti del Corriere del Mezzogiorno disse: «Sono un uomo che ha tutto e niente. Nelle mie mani sono passati tanti soldi, ma non ho mai tenuto nulla per me. Ecco, stamattina ho chiesto al ragioniere del Villaggio di darmi centomila lire. Più tardi le cambierò in banconote da dieci e cinquemila lire. Così, quando verranno i miei figli, i ragazzi del Villaggio, gliele offrirò. Loro mi aspettano per qualche gelato». Quel giorno pranzò con i semiconvittori delle scuole elementari e medie ed era alle prese con l’organizzazione del Giubileo dell’Unione Cattolica degli Insegnanti Medi che si sarebbe tenuto da lì a qualche giorno a Maddaloni il 4 giugno nello stesso Villaggio) e a un certo punto, circa un’ora e mezza dopo, si accascia nel salone a terra, e vani saranno i tentativi di salvataggio. Questi tre giornalisti sono in pratica l'ultimo incontro pubblico di don Salvatore. Don Salvatore, in questo modo, con la sua dipartita lascerà nello sconforto non solo la cittadina casertana ma di tatti altri già cittadini oriundi in Italia e all’Estero. Vincenzo (Enzo) Bove, dipendente quale personale sanitario dell’ospedale di Maddaloni nonché politico ideatore e leader del Movimento “Uniti per Maddaloni”, ricordando quel giorno, in cui attratto dalle sirene dell’autoambulanza entra subito nel Villaggio con il suo collega infermiere e consigliere comunale Domenico Borino, e nel tentativo vano di salvataggio riferisce: “sono rimasto sbalordito quando è deceduto Don Salvatore .Lui li diceva sempre che quando stava morendo io gli dovevo stare accanto fino al suo decesso. Quanto si è sentito male nel Villaggio Del Prete e corso fuori a chiedere aiuto fuori al portone ha incontrato me. Sono corso dentro ho controllato i parametri vitali e gli sono restato vicino fino all'arrivo del 118 poi sono salito insieme nell'ambulanza fino al Presidio Ospedaliero di Maddaloni e con il mio telefono ho allertato l'anestesiste della Rianimazione che ci aspettava in Terapia intensiva così gli sono stato vicino anche in Terapia Intensiva fino all'ultimo respiro. Poi sono scoppiato in lacrime. Questo episodio ha lasciato il segno nel mio cuore”. Certamente don Salvatore nel tempo aveva subito una serie di “sospensione delle attività” per problemi di salute e anche le settimane antecedenti la morte, fortemente impegnato in molteplici attività, tra cui l’arrivo del Giro d’Italia nel Villaggio, aveva sofferto di una forte sciatalgia che ne aveva compromesso le visite e gli incontri con le personalità del mondo politico, religioso, civile e culturale del territorio e non solo. Anche se, nonostante ciò, soleva dire a quelli che lo affiancavano che era più in apprensione per la salute dell’amico Giulio che per la sua in quel periodo. Al capezzale del sacerdote tra i primi ad accorrere il Vescovo di Caserta mons. Raffaele Nogaro e l’altro Vescovo ed erede nonché esecutore testamentale mons. Pietro Farina (che appena sacerdote don Salvatore aveva mandato a Roma per fargli fare la sua carriera ma questi a metà strada chiese al suo accompagnatore di tornarsene indietro e restò a Caserta anche se don Salvatore ha continuato ad investire sulla sua specializzazione), oltre ai familiari stretti come le sorelle Elena e Maria Lombardi le fidate nipoti (che avevano fatto le scuole medie al Sant’Agostino di Caserta dove suor Olimpia, la preside, aveva un nipote studente negli istituti del Villaggio. Marietta poi è passato a Roma per il Magistrale e l’Istituto Superiore per Assistente Sociale. E tra gli aneddoti vi è quello che quando la domenica Marietta e Pietro Farina studente a Benevento dovevano partire aspettavano anche ore fuori la direzione del sacerdote e se questi avesse racimolato i soldi che ciascuno doveva portare alla propria sede di convitto si sarebbe partito diversamente si rimandava la partenza in quanto senza retta ne dalle suore a Roma ne in Seminario a Benevento era possibile entrare) e assistenti e l’altro erede spirituale Francesco d’Angelo. Arrivano i fratelli del sacerdote Antonio e Francesco che chiamano con un filo di voce la sorella Giuseppina a Roma. E sono tutti lì senza parole, i suoi fidati collaboratori, l’ossatura, dirà qualcuno, del villaggio, oltre a quelli della segreteria e della vicedirezione (Franco La Farina e Aldo Del Prete: Sergio Fabbrocile, Andrea Ferone, Giuseppe Diomaiuti, Antonio Piscitelli, Giuseppe Mattei, e tanti altri tra cui Linda d’Onofrio e Michelina Vinciguerra, Luigi Petrella ed Adolfo Tontoli e tanti altri. Peggio di una chiamata alle armi giungono gli ex Allievi capitanati da Michele Zimbardi che già solo all’inizio degli anni ’80 (9 maggio 1981) senza soldi al primo raduno portò oltre 400 ragazzi oramai adulti nuovamente al Villaggio. Si consideri che con don Salvatore in vita la Casa Villaggio ha visto l’accoglienza almeno di 16 mila ragazzi. Nel primo gruppo di istitutori/educatori del Villaggio vanno ricordati Michele Cafarelli (che poi divenne economo) e suo fratello Giuseppe (l’altra sorella Severina era la cuoca del Villaggio. Vincenzo invece era un’artista della falegnameria ed alla stessa era dedicato), Domenico Pellegrino (detto “mimmone” fratello del sen. Salvatore), Michele Fuccellaro. A seguire i Di Silvestro, Cognetta e tanti altri. La guida dell’associazione ex allievi (intitolata a “Nicola Santangelo”) è stata da sempre affidata a Michele Zimbardi che nell’organizzazione di quel maggio 1981 aveva nel consiglio direttivo come suo vice Gennaro Vitale, cime segretario Luigi Maccarone e cassiere Giuseppe Mataluno. I consiglieri erano: Francesco Mirotto, Nicola Raucci, Antonio Formato, Roberto Catapane e Filippo D’Aiello. Arriva accolto dal fratello Francesco e del nipote omonimo del sacerdote anche l’amico e collega casertano con cui don Salvatore aveva condiviso il recupero dell’infanzia abbandonata: don Mario Vallarelli. La salma sarà benedetta dal suo confessore e padre spirituale, p. Giovanni Izzo dei Carmelitani Scalzi della casa di Maddaloni (così come ricordato anche nel testamento), alla presenza di mons. Raffaele Nogaro, don Giovanni Gionti e don Valentino Di Ventura. Da subito il sindaco di Maddaloni Gaetano Pascarella (che ha dichiarato “Maddaloni ha perso un grande uomo e un grande sacerdote”), già artefice della sua festa per l’80° compleanno del gennaio 2000, i comandanti delle caserme maddalonese, dei carabinieri e i dirigenti della Polizia di Stato e a seguire tutte le autorità civili, religiose (tanti confratelli sacerdoti e religiosi tra cui mons. Cesare Scarpa suo parroco che in modo defilato ha salutato l’amico sacerdote con cui ha potuto operare piccole cose con la volontà e la Provvidenza di Dio. Riconoscente di ciò don Cesare passando con la processione del patrono era solito fermarsi sotto la finestra della camera da letto di don Salvatore, bloccando il corteo a via Bixio, e qui rivolgeva a Dio il ringraziamento per aver concesso don Salvatore e a don Salvatore per quanto bene faceva), politiche (i senatori comunisti Salvatore Pellegrino e Francesco Lugnano e l’immancabile Elio Rosati, e Clemente Mastella proveniente da Roma dove aveva disertato l’assemblea annuale di Bankitalia per giungere al capezzale dell’amico sacerdote. L’ex assessore regionale Dante Cappello e l’assessore all’Università della Provincia Goffredo Sciaudone. Il vicesegretario regionale del PPI Alessandro de Franciscis con il sindaco di Capodrise Anthony Acconcia, e l’amico Piero Squeglia. L’ex sindaco di Caserta Giampaolo Iaselli anche in memoria del forte contributo dato dal padre Renato al sacerdote e alla sua Opera sul nascere della stessa per il suo ruolo guida nell’Opera Nazionale Orfani di Guerra.Si è notato l’ex segretario della Dc di Caserta Lello Menditto e il Presidente della Società di Storia Patria di Terra di Lavoro Aniello Gentile di casa e fido collaboratore di don Salvatore.Il Duca Alberto Tixon e il presidente dell’Assostampa Michele De Simone e tanti altri tra cui il consigliere comunale di Caserta ed ex allievo Francesco Capobianco che ha dichiarato: “è scomparso un democristiano del popolo, capace di interpretare il principio di comunione rendendo felici tanti ragazzi che sarebbero vissuti nel totale abbandono senza di lui”) e di ogni estrazione sociale e culturale della provincia si sono messi in fila al capezzale (il Corriere del Mezzogiorno ne indica almeno diecimila), dove studenti, dipendenti ed ex allievi hanno sostato per ore pregando per il loro benefattore. All’unanimità la politica locale ha indetto il lutto cittadino per il giorno dell’omaggio alla camera ardente e quello dei funerali il 1 giugno 2000 dove a celebrare saranno i sacerdoti che lui ha assistito così come espresso a don Matteo Coppola alla vigila della prima versione del suo testamento e dunque prima della sua partenza per l’operazione al cuore. E così, ricorda don Matteo, avvenne. La stampa ha dedicato intere pagine al triste evento e lo stesso Giulio Andreotti non si è sottratto a una intervista a Francesca Nardi che ha raccolto anche il cordoglio degli onorevoli Ferdinando Imposimato, Mario Landolfi e Nicolò Cuscunà. Il suo stesso giornale aveva raccolta anche il cordoglio del sindaco di Caserta Luigi Falco e del presidente della Provincia Riccardo Ventre. Significative le dichiarazioni del primo cittadino Gaetano Pascarella: “Maddaloni ha perso oggi un pezzo della sua storia. Don Salvatore era un punto di riferimento per questa città e quello che è riuscito a realizzare ne è la prova. In questo momento il mio pensiero va ai ragazzi del ’47, del ’47 e a quelli che tutt’oggi vivono nel Villaggio e ai quali don Salvatore ha dedicato la sua vita. In questa fondazione vivono ragazzi italiani, albanesi, extracomunitari da ogni parte del mondo in una sintesi di multi-etnica che deve essere di esempio per tutti. Don Salvatore ha avuto un grande pregio: quello di pensare non a sé stesso ma alla sua città e la Fondazione né la prova. Mi auguro che ora la città sia all’altezza della Fondazione, noi faremo di tutto per realizzare le sue volontà”. Tra i tanti nel cortile e in fila per l’ultimo saluto terreno la domanda era sempre la stessa: “e ora, che succederà del Villaggio?” era nota da tempo, dopo l’elezione a vescovo di don Pietro Farina, la volontà del sacerdote di cedere la fondazione alla Diocesi (cosa che ribadiva al Vescovo di Caserta durante i saluti in occasione delle sante Messe di Natale e Pasqua con il Villaggio nella chiesa del SS. Corpo di Cristo) con un ruolo di controllo e guida da parte anche della Città a cui di fatto appartiene tutta l’opera. Don Salvatore aveva individuato nelle almeno quattro richieste ufficiali alla Diocesi per il tramite dell’Istituto Sostentamento Clero di prendere in carica il Villaggio, anche le figure guida con l’amministrazione affidata a don Antonio Aragosa, la direzione affidata a don Valentino Picazio e don Silvio Verdoliva (che fu segretario di mons. Cuccarese consolidando il rapporto con don Salvatore) come capo del personale. Restando don Salvatore fondatore e presidente a vita. Il progetto con mons. Francesco Cuccarese stava prendendo forma, con Nogaro la cosa resta sospesa. Anche perché in quello stesso cortile il 13 maggio 2000 don Salvatore, ringraziando e salutando i protagonisti del Musical “Forza Venite Gente” di Michele Paulicelli messo sul palcoscenico dalla omonima compagnia teatrale “Forza Venite Gente” ebbe a fare il seguente discorso volto più che a rasserenare i presenti o parlare di una guida certa per la Fondazione allo scopi, invece, di sollecitare il Vescovo e la Diocesi per prendersi in carico la Fondazione, a tra breve lo si contestualizza ulteriormente. Alla presenza del sindaco di Maddaloni Gaetano Pascarella, dell’ex sindaco Salvatore Cardillo e dell’onorevole Elio Rosati oltre che più di un migliaio di persone tra cui chi scrive, don Salvatore alle 20.30 dice: «Prima di tutto vi voglio tranquillizzare, mi permetterete di dirvi che il Villaggio non è stato venduto ai Legionari di Cristo, ne` devono venire i legionari di d’Annunzio da Fiume, ne’ devono venire i legionari della Francia, questi volontari. Noi abbiamo contattato e siamo orgogliosi di aver trattato con i. Legionari di Cristo che verranno a Maddaloni con tre sacerdoti, uno tratterà la parte direzionale della Fondazione, un altro penserà alla parte amministrativa ed un altro penserà alla parte spirituale. E poi ci saranno otto suore messicane, di cui una infermiera, che parlano anche in italiano. E quindi c’è una nuova via per la Fondazione “Villaggio dei Ragazzi”. Attenzione, il personale resterà immutato per impegni presi, quindi l’organismo del Villaggio resterà intatto. Che cosa farò io? Avevo detto che me ne volevo andare, se nonché hanno insistito nel dirmi che sono un po’ una loro reliquia, ed avendo loro un fondatore, attenzione un fondatore di largo respiro non come me povero prete, e allora resterò qui con loro ... è vero.... dandoli qualche consiglio, eventualmente ascoltandoli qualche volta. Ecco quello che sarà il Villaggio nel domani. Vi voglio anche accennare ai miei rapporti con Sua Eccellenza Mons. Vescovo. Cordiali, filiali e patemi perché io, per l’art. 1242 del Codice di Diritto Canonico, sono un sacerdote incardinato a Caserta quindi, in quanto tale, debbo obbedienza, devozione e tutto. Ma anche Sua Eccellenza il Vescovo è contento, ha bisogno di alcune chiarificazioni che noi gli daremo e quindi ci avviamo per questa nostra tornata. Ve l’ho detto amici miei di Maddaloni e anche a qualche forestiero della provincia, ve l’ho detto per farvi stare tranquilli. Il Villaggio non si è venduto, non è che i Legionari di Cristo ci hanno depositato dei miliardi, ma insomma ecco, questa vicenda, che in questi giorni è stata dibattuta sui giornali e provinciali e nazionali. Ho fatto questa precisazione perché ho approfittato dell’incontro con voi per rassicurarvi. Qui c’è anche il Sindaco di Maddaloni, sappia il Sindaco che, eventualmente i Legionari non adempissero i loro obblighi di attuare quello che dice lo Statuto della Fondazione, i beni della Fondazione, che sono abbastanza consistenti, anche se abbiamo qualche piccolo debito, ma chi è che non ha dei debiti, ci sono anche in mille famiglie, immaginate in questa grande famiglia, quindi regolarmente può stare tranquillo che scatterà l’art. 18 dello Statuto che depone nelle mani dei maddalonesi, di un sacerdote e del Sindaco quello che possa essere la destinazione futura se il tutto non può essere realizzato ma la provvidenza divina è grande, lo dicono tutti, l’On.le Rosati ogni giorno dice che prega per me, Cardillo mi sta molto vicino. C’è anche qui Peppe Caliendo ... tutti quanti. Sono contento, sono contento di questo». Quello che 13 maggio 2000, riferirà il 30 aprile 2015 in un evento in memoria del sacerdote il collaboratore Aldo Del Prete, il Vescovo Nogaro telefonò don Salvatore perché desistesse dall’avvento dei Legionari di Cristo (dopo il rifiuto da parte della rappresentanza di Comunione e Liberazione con cui il sacerdote aveva rapporti con i vertici) ed a tal fine chiedeva un incontro personalizzato presso il convento dei Padri Carmelitani Scalzi di Maddaloni. In serata, anche in replica alla telefonata, Del Prete accompagnò verso le 22 don Salvatore a dormire, alla presenza di mons. Valentino Di Ventura, al tempo vicario foraneo di Maddaloni, e don Salvatore riferì anche al suo vicario e amico (con cui sono state sempre frequenti i contatti fisici o telefonici) che aveva comunicato al suo Vescovo che avrebbe volentieri ceduto la guida della Fondazione alla Diocesi a patto che a capo vi andassero uno di questi tre nomi: don Giovanni Giorni, don Valentino Picazio o don Silvio Verdoliva. Il fatto che a distanza di 17 giorni non vi fossero stati sviluppi o ratifiche diverse ha determinato che la Fondazione passasse ai Legionari di Cristo (il cui contatto è arrivato attraverso Marco Ravaioli e non già Andreotti in primis). La sera di quel 13 maggio interrogato da Marietta don Salvatore dirà che la citazione dei Legionari era una provocazione per velocizzare il passaggio alla Diocesi del Villaggio. Tra le altre cose il 17 giugno 2015, in una delle tante interviste testimonianze di Francesco d’Angelo, si appurerà che don Salvatore voleva comunque trovare una soluzione per risolvere la trattativa con i Legionari (forse prevedendo i tempi più lunghi per la diocesi o chi sa cos’altro) e dunque approntò un appunto dove emergeva un debito del villaggio di un miliardo e trecentotrentasette mila lire, debito con banche e privati compresi. Questo appunto lo avrebbe discusso con Giulio il mercoledì successivo, cosa che non avvenne perché morì prima, e che nella sua idea per scongiurare la chiusura degli accordi con i legionari indicava la destinazione della parte antica alla Fondazione con i suoi servizi e la parte nuova con le scuole alla loro gestione. Intanto il 30 maggio il giornalista Franco Tontoli a cui don Salvatore d’Angelo aveva affidato al gestione della Comunicazione con i media per se e il Villaggio oltre a rendere note le informative del caso riferiva anche la volontà del Vescovo di affidare a mons. Antonio Pasquariello (sacerdote molto stimato da don Salvatore d’Angelo. Dal Villaggio a Pasquariello, rettore del Seminario di Caserta, don Salvatore inviava i suoi ragazzi vocati al sacerdozio), Vicario Generale, la difficile gestione immediata dell’opera di don Salvatore. Dopo la morte del sacerdote il senatore Salvatore Pellegrino ha avviato una sua personale battaglia, purtroppo non andata a buon fine, perché la gestione della Fondazione fosse affidata alla Città di Maddaloni. Circa poi la tesi di tanti che ritenevano che il sacerdote avesse dei rancori nei confronti del Vescovo perché al compimento esatto del settantacinquesimo anno di età gli avesse chiesto di abbandonare formalmente la guida dell’Istituto Sostentamento Clero della Diocesi (che don Salvatore aveva preso in carica dalla fase costitutiva fino alla gestione nel primo decennio della sua esistenza riuscendo così a recuperare una gestione approssimata dei beni diocesani – motivo della nascita dell’istituto a livello generale - e aveva rivoluzionato e inventariando tutto il patrimonio della Diocesi (cosa si dice non gradita a tanti del clero che gestivano in autonomia tante rendite), ampliandolo - si pensi al Macrico dove per favorire il passaggio, c’è qualcuno dei ben informati che riferisce che furono pagate competenze dai conti del Villaggio, di cui circa 850 milioni, di cui non si conosce l’eventuale restituzione - e riattivando anche i pagamenti dei pigioni di elusori ed evasori), nell’ultima intervista rilasciata il giorno della morte Angelo Agrippa riporta questa dichiarazione del sacerdote: «Sono deluso da questa politica. Mi verrebbe quasi da dire che si stava meglio quando si stava peggio. Io sono stato e resto un democristiano. Anzi, dico di più: sono con il mio vescovo monsignor Nogaro. Dopo qualche incomprensione iniziale, ho imparato a conoscerlo e ad amarlo in questi anni. Ho imparato la sua bontà, la sua carità cristiana. Sono diventato un riformista come lui. Desidero un mondo diverso, nel quale i ricchi siano meno ricchi e i poveri non esistano più». Il messaggio di quel 30 maggio 2000 di mons. Raffaele Nogaro fu affidato alla pagina Caserta Sette di Avvenire: “Arrivederci Don Salvatore”: «Stamattina Don Salvatore è tutto nostro. È un uomo che ha segnato un’epoca nella storia della nostra Terra di Lavoro. Di lui si continuerà a scrivere tanto. Ma egli è soprattutto il Sacerdote tra i suoi sacerdoti: quei sacerdoti che ha tanto amato, che ha stimolato a opere sempre più grandi. Fondatore del Villaggio dei Ragazzi ha insegnato la vita a generazioni di giovani di ogni provenienza e si è fatto animatore di numerose vocazioni sacerdotali. I giovani. Per essi ha lasciato i suoi interessi di studioso e di intelligente animatore sociale. E ha dato a migliaia di giovani un’anima, la passione della vita valorosa e generosa. Fino all’ultimo è rimasto giovane, un creatore di sempre nuovi orizzonti e di speranze sempre più ardimentose. Si diranno tante cose di lui. Ma i dovrà dire in modo glorioso che seppe esprimere tutte le passione vede della giovinezza e che costruì giovani capaci di rifare la storia nuova della solidarietà. La sua fede rimase adamantina e seppe sempre dare alla vita che si sviluppa in sé e nei suoi giovani il volto di Dio. Ed ora Dio abbraccia il nostro Don Salvatore, per mantenerlo indomabile e provvidente per la sorte sempre felice del suo Villaggio dei Ragazzi e per la speranza piena di immortalità di tutti noi, che profondamente lo stimiamo e sempre lo amiamo». I Funerali Don Salvatore, oltre che al manifesto già citato ha pensato anche a come dovevano essere i suoi ultimi istanti di presenza terrena. L’articolo uno del suo testamento recita: «La morte è in realtà, anche se imprevedibile. Co sé porta, però, la certezza, unitamente alla gioia, di poter ritornare là dove siamo stati creati per un atto d’amore: nel “Regno di Dio”. Il non poter definire a priori quando, come e dove tale appuntamento si realizzerà, nulla toglie alla Grazia che ne scaturirà. Nella certezza, dunque, della morte e della sua imprevedibilità, circa tempi e modi, sento il bisogno di definire ciò che desidero mi sia riservato sul piano umano e spirituale. A) se l’incontro con sorella morte, per qualsivoglia ragione, dovesse avvenire fuori Maddaloni, la mia salma dovrà essere trasportata direttamente nella casa comunale e, cioè, nel cimitero della mia città; B) se il decesso avverrà a Maddaloni, tale trasporto dovrà avvenire all’alba, o comunque, non oltre le ore otto del mattino. Non desidero alcuna solennità ufficiale o ufficiosa. Partecipe, spero, della gloria di Dio continuerò a vigilare con amore sui miei ragazzi, sui miei collaboratori, sui miei concittadini e su tutti i miei cari, senza alcuna distinzione o preferenza». Naturalmente non è andata proprio così, dato i due giorni di camera ardente, la Santa Messa pure in forma privata delle ore 7 con due fasci di gigli e rose rosse attorno al feretro, con autorità il giorno del funerale 1° giugno 2000 e l’uscita con il carro funebre, dei f.lli Iorio, oltre le otto, usci alle ore 8.10, e dopo l’alba. Ma non poteva essere altrimenti. Celebrò il rito funebre il Vescovo di Caserta mons. Raffaele Nogaro, assistito da mons. Antonio Pasquariello, da mons. Pietro Farina e da decine di altri sacerdoti tra cui un altro allievo di don Salvatore e del Villaggio, don Nicola Lombardi. Era presente il senatore Nicola Mancino, Presidente del Senato (l’onorevole Cirino Pomicino era arrivato la sera prima), il sindaco di Maddaloni Gaetano Pascarella e tanti altri anonimi commossi. La commozione del Vescovo Nogaro fu evidente durante tutta la cerimonia funebre. Il feretro lasciò il Villaggio tra due ali di sacerdoti e di allievi che sugli attenti e con la mano sul cuore recitarono la preghiera del Villaggio. La commozione dilagò anche tra la folla che attendeva nella piazza e al Cimitero. Lì, la salma fu benedetta da padre Giovanni Izzo, carmelitano e confessore di don Salvatore. Come detto don Salvatore ha sempre ricordato e anche nel testamento “al mio seguito il giorno che muoio non voglio nessuno. Quando morirò non voglio funerali ma all’alba mi dovete portare al cimitero”. Ed a voce aggiunse che doveva essere Donato Proto ad accompagnarlo al cimitero. E così fu. Sulla macchina del carro funebre, dei f.lli Iorio, a fianco dell’autista, al posto dell’opera della ditta funebre vi era seduto proprio Donato Proto. La cosa destò qualche attimo di smarrimento in tutti, ma pochi erano a conoscenza della reale volontà del sacerdote; e il giornalista Tontoli l’indomani nel suo giornale lo riferì puntualmente: una cosa che nessuno si aspettava. Nel cimitero maddalonese, nella cappella che ospita i genitori di don Salvatore, padre Salvatore La Farina e don Salvatore d’Angelo il 3 giugno giunse Giulio Andreotti e consorte in visita privata per omaggiare il fraterno amico, della riservatezza della visita si occupò il primo cittadino di Maddaloni presente sul posto con la consorte che premurosamente fece in modo che l’incontro e saluto fosse esclusivo e riservato allontanandosi lui per primo. A rappresentare Andreotti il giorno dei funerali vi era Marco Ravaioli, genero del Presidente, mentre Giulio aveva partecipato a una messa in suffragio del sacerdote celebratasi in Roma. Il 31 maggio 2000 alla messa celebrata da mons. Pietro Farina Vescovo di Alife e Caiazzo aveva partecipato Paolo Cirino Pomicino. Nel mentre, fin dal giorno dell’annuncio della morte di don Salvatore è giunta una rappresentanza a Maddaloni dei sacerdoti della congregazione dei Legionari di Cristo. Il Testamento Il giorno 15 marzo 1996, dunque, don Salvatore d’Angelo era presso lo studio del notaio Vincenzo Barletta di Caserta per raccogliere le volontà testamentarie del sacerdote maddalonese. Questo fu il secondo testamento il primo fu rilasciato al notaio Gennaro Delli Paoli (carissimo amico e sostenitore di don Salvatore) nel 1977 (è fatto a seguito del riconoscimento di fondazione del Villaggio; in gran parte ricalca quello successivo mancando gli atteggiamenti da aversi in caso di morte, i ringraziamenti a studenti e collaboratori e il riconoscimento del ruolo a Elena e Marietta Lombardi). Con lui il 15 marzo 1996 sono presenti Donato Proto e Plinio Salanti, due affezionatissimi collaboratori volontari, di don Salvatore prima e del Villaggio dei Ragazzi dopo. Il testamento fu aperto il 26 giugno 2000 presso lo studio del notaio rogante alla presenza di mons. Antonio Pasquariello delegato vescovile e direttore pro tempore della fondazione, oltre ai due testimoni originari. Convocata la riunione, in quel 15 marzo 1996, per la lettura e deposito delle volontà di don Salvatore nel pomeriggio solo alle ore 19 inizio la lettura di quella che sarà poi la stesura finale. Una lettura che, come riferisce Donato Proto, dopo le innumerevoli riletture e “sistemazioni” dei termini e dei concetti, perché il messaggio e la volontà fosse chiara e priva di arbitrarie rivendicazioni o interpretazioni, pur iniziata alle ore 19 non finì prima delle ore venti e trenta, per quanto sarebbe stato più che sufficiente neanche un terzo del tempo stesso. Cosa accade? Semplice il sacerdote, volle, ancora nel corso della lettura definitiva, apporre qualche postilla rettificativa, integrativa, chiarificatrice. E, sempre testimonia Proto, il testo depositato e firmato sarà ricco di rimandi e postille, infatti, solo così si spiega del perché ci serviranno per la stesura manuale ben quattro fogli doppi da protocollo per quindici facciate complessive consistenti nel testamento stesso. Sappiamo, da quanto ci ricorda l’avvocato Francesco d’Angelo, che la prima versione delle volontà testamentarie sono state raccolte, sotto dettatura del sacerdote da Maria Lombardi, detta anche “Marietta”, una delle due cugine (l’altra, sorella di Maria, è Elena) che hanno dedicato la loro vita ad assistere il sacerdote. Per quanto ci è dato sapere la stessa è stata da sempre una delle principali consigliere del sacerdote, e quindi anche in questo testo avrà avuto l’occasione di “spronare” don Salvatore in una disanima generale di tutto quanto gli era caro perché il messaggio che ne uscisse fosse quanto più coerente con la sua volontà. Donato Proto (che ha fornito il pieghevole con la riproduzione del testamento stampato a cura di f.lli Proto Grafiche in Maddaloni nel corso del 1996) racconta che il testo originario è stato, unitamente allo stesso, dal sacerdote letto, analizzato, emendato, ricorretto e rivisto svariate volte e che, alla vigila del deposito dello scritto presso l’ufficio notarile, la figlia di un collaboratore a cui don Salvatore era molto legato, e a cui esprimeva la massima fiducia, ebbe l’onere e l’onore di dattiloscrivere. Ad affiancare, quali testimoni, del deposito delle ultime volontà di don Salvatore abbiamo anticipato che vi sono Donato Proto e Plinio Salanti, due molto affezionati e fidati collaboratori volontari di don Salvatore. Circa i testimoni, riferisce il nipote di don Salvatore, l’avvocato Francesco d’Angelo, che quando gli fu nota la stesura del testamento e più ancora i testimoni scelti, fermo restando l’apprezzamento e la condivisione per la scelta dei propri collaboratori, non per forza già in luogo di questi ma ad integrazione ritenne manifestare a don Salvatore la opportuna esigenza di far presenziare come testimoni anche il Sindaco della Città di Maddaloni, in quel periodo il sindaco pro tempore era Gaetano Pascarella (poi Senatore, e successivamente Sottosegretario di Stato alla Pubblica Istruzione ed altro) e il Vice Direttore della Fondazione, al tempo Franco La Farina. La sua proposta, che fu fatta in modo molto “accorata”, era avanzata stante la funzione Istituzionale delle figure richiamate anche in base al contenuto del documento testamentario stesso. Dopo la morte di don Salvatore d’Angelo l’apertura del testamento avvenne il 26 giugno 2000, sempre presso lo studio del notaio Vincenzo Barletta a Caserta, presenti oltre il notaio, Proto, Salanti e mons. Antonio Pasquariello, “nella qualità di legale rappresentante della Fondazione “Villaggio dei Ragazzi”. Viene allegato, oltre alle volontà testamentarie, il certificato di morte del sacerdote, sbagliato, e letto il testamento. Tra le altre cose il certificato di morte è sbagliato, infatti, il nome della mamma di don Salvatore non è Rosa ma Teresa Tedesco. Nel primo articolo il sacerdote chiarisce come deve essere organizzata l’evento della sua morte, spiegando che se “dovesse avvenire fuori Maddaloni, la mia salma dovrà essere trasportata direttamente nella casa comune, e cioè, nel cimitero della mia Città”. Ed ancora, “se il decesso avverrà in Maddaloni, tale trasporto dovrà avvenire all’alba, o, comunque, non oltre le ore otto del mattino”. E comunque, “in entrambi i casi, la mia salma, vestita con abito talare e dopo essere stata benedetta da un confratello dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi, sarà composta in una semplice cassa e riposta nel loculo a me destinato nel cimitero di Maddaloni”. Si consideri che padre Giovanni Izzo dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi di Maddaloni provvederà a benedire la Salma e che il legame con la detta comunità è sicuramente forte e ne è testimonianza una “panca lignea” donata dal sacerdote alla Chiesa della Santissima Annunziata di Maddaloni retta dal detto ordine, presente a centro navata sul lato sinistro della Sala Liturgica della stessa Chiesa. Don Salvatore, sempre nel primo articolo, formula anche il manifesto chiedendo che non si provveda a fare “alcuna solennità ufficiale o ufficiosa”, segue il testo del manifesto funebre dallo stesso redatto: “don Salvatore ci ha lasciati chiede a tutti perdono per quanto non ha fatto o potuto fare I Ragazzi ed i collaboratori della Fondazione chiedono una preghiera per la sua anima”. Nel secondo articolo v’è un riconoscimento all’educazione ricevuta, e richiamando le esortazioni dei suoi vescovi Moriondo, Gagnor e Mangino ripropone il suo motto: “Non Chiedere, ma dona - Dona agli altri la gioia di dare”, che riprende il messaggio di don Bosco a cui il sacerdote ha ispirato la sua missione educativa. Non a caso, si ricorda che ogni sera, presente presso la Fondazione a Maddaloni, il suo pensiero prima di andare a dormire era rivolto prima alla statua di San Giovanni Bosco con San Domenico Savio posta all’ingresso e poi v’era il saluto a Gesù nella cappella adiacente lo studio. Sempre in relazione a don Bosco va sottolineato come don Salvatore per la sua Casa/Villaggio si ispirò ai salesiani anche se di fatto pi nella sostanza sono due realtà diverse, infatti, mentre i salesiani dedicano la loro azione alla educazione religiosa la Casa/Villaggio è molto tende ad una formazione molto più aperta, laica e al tempo stesso attenta ai bisogni spirituali. Sempre in questo secondo articolo il sacerdote riferisce che dispone che tutti i suoi eventuali beni siano destinati alla Fondazione, riferisce se per contingenze qualcosa è intestato a lui debba intendersi quale patrimonio della Fondazione Villaggio dei Ragazzi. Ed aggiunge: “Nulla ed a nessun titolo è dovuto ai miei parenti, in qualunque grado di consanguineità, ai miei collaboratori, ai miei amici e conoscenti”. Con l’articolo terzo chiede che si celebri una messa ai defunti della Fondazione, mentre nel quarto riconosce l’impegno a favore della sua missione della cugina Rosa e delle figlie Maria e Elena, oltre a ricordare i padri guide della sua formazione del Pontificio Seminario francese di via Santa Chiara a Roma. L’articolo quinto è dedicato ai rapporti con la Diocesi, il Vescovo e i Sacerdoti, a tal proposito si ricordi che è stato Presidente dell’Istituto Sostentamento Clero della Diocesi di Caserta (occupandosene della gestione per il primo decennio della sua costituzione 1985-1995), tra le altre cose avocando alla Diocesi la proprietà dell’ex Macrico di Caserta, sui cui nel tempo si è andati poi anche “speculando” volontà di rivalutazione e impiego senza però mai, a quanto sembra, riconoscere il merito a chi ha consentito che ancora oggi si parli di tale area verde a disposizione della Città di Caserta. Il sesto articolo è dedicato ai suoi collaboratori, ovvero ai dipendenti del villaggio, che per l’appunto soleva chiamare collaboratori del Villaggio di cui lui era un volontario, ed infatti lui di per se non aveva stipendi ed anche la pensione che maturò raggiunta l’età entrava nelle casse del villaggio e qualche prodotto anche per le esigenze personali era più probabile che lo comprassero con i loro soldi le sorelle Elena e Marietta piuttosto che venisse dalle casse del Villaggio dove comunque si versava la sua pensione. Qui ha modo di ringraziarli per la loro opera. Il settimo articolo è dedicato ai veri protagonisti del Villaggio, i suoi fanciulli, i suoi ragazzi, ai quali dice: “a tutti voi dico grazie! Mi avete dato l’opportunità di esprimere il valore della solidarietà; mi avete accolto con entusiasmo nel vostro progetto educativo e formativo; mi avete offerto la possibilità di sperimentare fino in fondo il senso della mia vita”. Altrettanto importante l’articolo ottavo in cui parla dei rapporti con Maddaloni, con i cittadini e i partiti politici. Qui rende noto, per il raggiungimento del bene comune, la trasversalità dei rapporti avuti, manifestando il massimo impegno per gli obiettivi proposti e chiedendo, velatamente scusa, se in qualcosa non è riuscito secondo le altrui aspettative. A seguire v’è l’articolo dell’esecutore testamentale che sarà don Pietro Farina, Vescovo al tempo del decesso del sacerdote, tra i primi ad arrivare al capezzale del sacerdote il giorno della nascita al Cielo, che nelle prime intenzione di don Salvatore d’Angelo ne sarebbe dovuto essere il successore alla presidenza. In questa parte, come si legge dalla sottostante immagine che ripropone la parte dell’esecutore testa mentale in caso di non conseguimento degli scopi sociali la Fondazione sarebbe stata liquidata e il ricavo, attivo al momento del trapasso del sacerdote, dovrà essere, a cura del Comune, affidato agli studenti meno abbienti. Tutto ciò come si evince dell’articolo 18 al tempo in vigore dello Statuto della Fondazione: Dopo la nuova guida della Fondazione a cura dei Legionari di Cristo, cambiando lo statuto, l’articolo 18 non sarà più speculare all’argomento che troveremo all’articolo 20 che così recita: “Nel caso in cui la Fondazione non dovesse conseguire i suoi scopi o non li potesse più conseguire, per qualsivoglia ragione, la si porrà in liquidazione secondo questi criteri: Eliminare le passività, il residuo attivo verrà affidato – convertito in titoli di Stato - al Sindaco del Comune di Maddaloni che, di concerto con il vescovo diocesano, provvederà, mediante l’utilizzazione delle rendite, alle determinazioni delle borse di studio da distribuire annualmente, ai giovani ed alle giovani maddalonesi che saranno distinte per profitto scolastico e carità cristiana e che si trovino in disagiate condizioni economiche. Il residuo attivo potrà anche essere devoluto ad altri enti che perseguano finalità analoghe o affini dell’Ente ovvero ai fini di utilità pubblica sentito l’organismo di controllo di cui all’art. 3, comma 190, della L. 23 dicembre 1996, n. 662, organismo istituito con DPCM del 26 settembre 2000 ( in G. U. n. 229 del 30 settembre 2000), salvo diversa disposizione imposta dalla legge come previsto dalla lettera f della norma citata”. Tra le righe va detto che lo spirito che anima questo testamento richiama molto quello redatto dal Sua Santità Paolo VI il 30 giugno 1965, con relative due aggiunte del 1972 e del 1973. L’immediata gestione del Villaggio Del come avvenne l’immediata gestione del Villaggio nel dopo don Salvatore lo racconta ancora una volta il 30 aprile 2015 mons. Antonio Pasquariello a cui fu affidata la direzione in quanto Vicario Generale della Diocesi, oltre a ribadire la “fede grandissima di don Salvatore d’Angelo” ha ricordato in quella occasione che di fatto si è occupato della guida del Villaggio da subito dopo la morte di don Salvatore d’Angelo anche in virtù del suo ruolo di vicario generale e poi della sua nomina alla Presidenza (fuoriuscita dalla terna presentata il 6 giugno 2000: don Michele Tagliafierro, don Antonio Aragosa e don Antonio Pasquariello, poi ratificata il 12 giugno di quello stesso anno dal Cda, anche se il Presidente Andreotti (quando poi si dimise dal Cda del Villaggio pretese nella lettera che, per quanto lo statuto chiedesse la sua presenza o di un suo erede, si faceva divieto a chiunque a suo nome di occupare un posto nel Cda della Fondazione maddalonese. Questa lettera al suo arrivo non fu diffusa nei contenuti ma si enunciò solo la dimissione del Cda) che era orientato su don Michele Tagliafierro). Mons. Pasquariello nel corso della sua testimonianza in occasione della presentazione del libro di Nardi del 30 aprile 2015 ha ricordato il giorno della morte e quello dell’esequie di don Salvatore così come la lettura immediata dello statuto, e quindi anche del testamento, subito dopo le esequie. Lo stesso sacerdote ha fatto presente che, stante la clausola che il presidente della Fondazione è a vita, sia mons. Nogaro che mons. Farina, Vescovi, hanno insistito perché l’incarico fosse affidato a lui che in quanto Vicario della Diocesi non aveva mire sulla gestione nel tempo della Fondazione. Qui vi è stato il ricordo, ripreso anche da mons. Nogaro, dell’insistenza nei confronti di don Salvatore di far cambiare la clausola statutaria, quando questi era in vita, affinché la presidenza non restasse a vita. Don Antonio ricorda che il rapporto con don Salvatore si perde nel lontano 1952 allorquando questi curando la guida del Seminario riceveva dalla Fondazione dei giovani che frequentavano il Seminario casertano e qui poi si sviluppavano altri rapporti di amicizia fraterna prima ancora che sacerdotale. Don Antonio ha chiarito che quando vi è stato il passaggio ai Legionari di Cristo avrebbe voluto lasciare lo statuto e l’organizzazione dell’Ente così come disposto da don Salvatore ma, riferisce don Antonio, che perché subentrassero alla guida vi è stato necessario il trasferimento del possesso della Fondazione e la facoltà, come successo, di cambiare anche lo statuto. Inoltre, ha ricordato il sacerdote che a sostegno della tesi che la Fondazione passasse ai Legionari di Cristo vi è stata anche una petizione del personale (sei giorni dopo la morte di don Salvatore con allo stato la terna della gestione post morte ed ancora non entrato nelle sue funzioni il presidente pro tempore, che tra le altre cose invitava la cessione – proprietà comprese – cosa che non voleva don Salvatore – ai Legionari per favorire l’accoglimento da parte loro della gestione della Fondazione) in tal senso orientata. Petizione realmente esistente che poi tanti sostenitori hanno confermato essere stata una mossa che gli si è andata a ritorcere contro. Don Antonio ha ricordato che nei primi mesi della sua presenza ha avuto modo di mettere a posto le diverse problematiche aperte e ha ricordato come “ grazia di Dio” la presenza delle suore messicane. La cui presenza, con la gestione dei Legionari di Cristo, in particolare sotto la gestione amministrativa del dott. Nunzio Cappuccio, per esigenze economiche dopo tempo furono costrette ad andare via (ndr: nel corso dell’evento la testimonianza e l’intervento di taluni educatori ha riportato una visione diversa, e tutt’altro che aperta alla collaborazione e alla fraternità, delle medesime suore). Nel mentre dunque il Consiglio di Amministrazione di 7 componenti vedeva 4 Legionari per cui la presenza del rappresentante interno, di quello della Diocesi de del Comune era sempre elettoralmente deficitaria. Con questo periodo, ricorda don Antonio, le cose iniziarono ad andare non più secondo la mentalità di don Salvatore. Il resto è storia, trascritta nel libro di Giusto Nardi. Colonie estive In relazione alla colonia va riferito che inizialmente don Salvatore organizzò la colonia nella stessa Caserma Bixio dove i bambini accolti la mattina venivano consegnati alle famiglie in serata e qui intrattenuti con giochi e altre attività tipiche di una colonia estiva. La prima Colonia Elioterapica, dunque, si svolse all’aria aperta, nel cortile della caserma e si andava alle spalle della chiesa di San Benedetto accompagnati dalle educatrici nella zona delle “calcarelle”. Nell’estate del 1947, don Salvatore fece affiggere per le strade di Maddaloni un manifesto, dal titolo “Amico, fermati e Leggi!”, con il quale invitava i ragazzi orfani e derelitti, di età oscillante tra i cinque ed i dodici anni, a partecipare alla colonia estiva. In quest’occasione, don Salvatore conobbe Francesco Angioni (sportivo, figlio di sportivo ed Insegnante di Educazione Fisica) suo braccio destro nelle attività ginnico atletiche e da allora divennero amici inseparabili. In questa prima colonia Francesco Angioni ebbe l’incarico di Direttore Ginnico e la futura moglie, prof. Ida Santonastaso fu una delle direttrici e responsabili dei bambini. È da sottolineare come di fatto Angioni possa essere considerato il primo collaboratore di don Salvatore d’Angelo. Questi abitava al Palazzotto ducale, che affaccia proprio su quello che sarà il Villaggio dei Ragazzi. La loro fu un’amicizia fraterna e sincera. Don Salvatore contava molto su di lui e sulla sua professionalità; fatto sta che era proprio lui a chiedergli di organizzare manifestazioni sportive, non solo alla fine di ogni anno scolastico, ma soprattutto quando alla Casa/Villaggio erano invitate personalità religiose, politiche civili e militari. Don Salvatore, per riuscire nel suo intento di assistere ed educare alla vita sana, morale, civile e cattolica i bambini orfani, poveri e sfortunati, non poteva agire da solo. La collaborazione con Angioni durò fino al 1979 (anno della sua morte), e fu appassionata, disinteressata e competente. I ragazzi, anche i piccolissimi prendevano parte ai giochi ginnici con gioia, perché si concedeva loro la possibilità di dare sfogo alla propria esuberanza. Da questa esperienza a distanza di un paio di mesi don Salvatore, occupò, con circa sette ragazzini bisognosi di tutto, la vecchia caserma militare abbandonata Bixio e, grazie alla buona volontà di tanti e fatto forza dell’invidia e contrasto di tanti altri, avvio l’opera della Casa del Fanciullo. La prima colonia estiva dopo la nascita della Casa del Fanciullo fu fatta nell’estate del 1948 nello stabile del Seminario e Curia di Caserta città. A seguire ne 1949 la colonia si realizzò presso l’Hotel “Stemma Maris” di Mondragone che per tanti segno la vista del mare per la prima volta. Questa struttura era gestita dall’Opera Nazionale Orfani di Guerra guidata da Renato Iaselli in provincia ed attraverso questi vi alloggiavano le colonie dei ragazzi di don Salvatore d’Angelo provenienti da Maddaloni e quelli di don Mario Vallarielli dell’Orfanatrofio Maschile “Sant’Antonio” di Caserta (G. De Nitto, Renato Iaselli – testimone del suo tempo, Caserta 2019, pagina 51-52) A Parigi (dove tra l’altro indirizzò e andò a trovare confratelli sacerdoti interessati da problemi di salute, essendo, tra l’altro, don Salvatore un mecenate della sanità (pagava anche biglietti e albergo o altre spese per chi mandava all’estero per interventi chirurgici) in quanto stringeva rapporti con personalità e istituzioni sanitarie a cui indirizzava amici e bisognosi di cure di una certa levatura) si tenne nell’estate del 1950 la colonia estiva e come accompagnatore spirituale vi era don Salvatore Izzo (ordinato sacerdote a Maddaloni il 16 luglio del 1950) caro amico di don Salvatore e suo aiutante anche nel Villaggio (si ricordano le passeggiate primaverili ed estive dei due sul corso cittadino maddalonese di sera per parlare degli argomenti più vari e confrontarsi). Zimbardi ricorda di essere andato in visita ai luoghi e di aver visto anche la Tour Eiffel. Per la lingua l’accompagnatore era Michele Fuccellaro, già maestro nella scuola della Casa del Fanciullo, perché esperto di francese. In quella occasione lo stesso Fuccellaro ne approfittò per prendere contatti con dei collegi del posto ed ivi vi rimase come direttore senza più far ritorno a Maddaloni. La colonia in Francia fu in un enorme castello e i ragazzi che vi parteciparono, ricorda Zimbardi, erano cinquanta circa. I gestori avevano lunghe barbe, ricorda sempre Zimbardi. Altre colonie furono fatte in Italia, come nella zona di Salerno (per qualche anno non vicino al mare dove si andava con i bus la mattina e si rientrava la sera) prima ancora della Svizzera dove a cucina fu chiamato dalla prima ora la fidata cugina e assistente alla sua persona Rosa che passava gli inverni a sistemare gli orli alle stoffe comprate e destinate alle lenzuola e le estati a dedicarsi alle colonie ed in primis alla cucina con i piccoli, in quanto i grandi avevano per la cucina la cuoca Severina Cafarelli. Un anno che la cugina Rosa non ce le fece venne la cognata, la moglie del fratello Antonio a cucinare, sempre perché mancavano soldi per pagare gli stipendi. La prima colonia estiva in Svizzera a Grindelwald si tenne nel 1953 (nel 1954 a Weissenburg) e per la partenza con una divisa azzurra scintillante la banda precedette la sfilata di bambini pronti per partire che fecero un percorso che partendo dal Villaggio li schiero sul corso cittadino e qui in una doppia ala di cittadini la banda musicale con la divisa azzurra introduceva la lunga fila di ragazzi destinati alla colonia. In Svizzera almeno ci saranno 5 anni di colonie consecutive. In occasione dell’ultimo anno in Svizzera, l’ultima sera della colonia il sacerdote era solito chiamare le educatrici assunte, e non quelle ospite collaboratrici, e dare loro lo stipendio, salvo nel caso di Marietta chiamarla poco dopo e dirle che avrebbe dovuto restituire lo stipendio in quanto era rimasto senza soldi e se non con i soldi di Marietta era possibile finire di pagare il viaggio verso casa. Zimbardi ricorda che ovunque si andava in colonia vi erano dei pullman che portavano i ragazzi in visita turistica in tutte le località più importanti della zona. Ad esempio, delle visite a Berna resta nella memoria il fascino della torre dell’orologio astronomico. La scelta della Svizzera (a Le Focette) è legata alla compostezza, all’ordine, alla disciplina che ispira quel paese e a cui tendeva don Salvatore per i suoi ragazzi. A questo si aggiungeva il fatto che aveva la possibilità di fittare a poco delle baracche militari. Le stesse erano destinate ai militari che ogni sei mesi, al tempo, erano chiamati a fare delle esercitazioni. Queste baracche con cera a terra, piumoni suoi letti, tendine alle finestre, insomma militari si ma accoglienti. In treno si andava con un treno speciali con due vagoni con trasporto viveri per la colonia. C’erano anche 400 – 500 ragazzi coinvolti. Per il viaggio è successo che don Salvatore mercanteggiava con chi gli organizzava il viaggio in treno. Ad esempio, se il costo del viaggio era di tre milioni faceva un assegno a 90 giorni almeno di cinque milioni e due milioni liquidi se li faceva restituire. Con questi due milioni si pagavano le baracche e quanto eventualmente necessitava ancora e poi con calma saldava l’assegno post datato. In occasione del decennale della morte di De Gasperi dovrebbe essere stata fatta a Trento, quindi 1964, perché qualche ex allievo ricorda la partecipazione con tanto di gonfalone del villaggio alla celebrazione per il decennale della morte Negli anni sessanta, e comunque prima del 1965 don Salvatore portava i suoi ragazzi in vacanza in Svizzera. A metà degli anni ’60 vi era stata anche la colonia è stata prima Pinarella di Cervia (sicuramente nel triennio 1966-68) e poi ad Acquafondata (FR) località vicino Cassino. Successivamente la sede della colonia fu una struttura di San Mauro a Mare nell’Emilia Romagna, attiva negli anni ’70 e forse anche sul finire degli anni ’60 per tre anni in tutto, e in contemporanea a Pinarella e Cesenatico, ovvero la stessa regione che ospiterà il Villaggio dei Ragazzi presso la colonia, ultima utilizzata e ad oggi a disposizione del risanamento dell’ente maddalonese, di Torre Pedrera a Rimini. Prima di Torre Pedrera è da segnalare, dopo la su menzionata terza la località Igea Marina per un anno dove il passaggio al mare era garantito da una colonia gestita da suore a cui don Salvatore, per la cortesia, faceva recapitare ogni domenica dolci per tutta la comunità. Oltre alla colonia riminese, da quel periodo, vi era in contemporanea anche una sede a Roccaraso presso l'hotel Suisse, a Rivisondoli, Piana delle 5 miglia, presso l'hotel 5miglia e, poi, a Civitella Alfedena presso l'Hotel Valdirose. Circa la colonia di Torre Pedrera don Salvatore conosce il bagnino di una colonia sanatorio di Brescia che occupava lo stabile, che andava ristrutturato e il cui parco giardino era dato al medesimo personale in qualità di custode per le sue colture nel periodo di non utilizzo. Don Salvatore gradualmente ha acquistato un pezzo alla volta la proprietà mettendola nelle condizioni di essere destinata alla colonia. Nel periodo 1982/1983 comprò un terreno adiacente su cui realizzò una pineta, con alberi grandi (comprati nel vivaio di Pistoia), adiacente alla colonia e in tre mesi per fare ombra. La direzione della Colonia negli anni ’70 era affidata a Chiara Angarella, Elena Lombardi direttrice e sua vice Correra. Negli anni ’80 Marietta subentra ad Angarella perché stanca. Di solito, quando la partenza era alle prime ore del mattino, i ragazzi destinati alla colonia veniva fatti alloggiare nelle camerate e di mattina presto si partiva. In effetti la sera di solito si faceva indossare una piccola divisa radunati prima nel cortile interno, dove venivano date le istruzioni sul da farsi e poi nelle camerate. La mattina presto sveglia, colazione e partenza per la colonia. Quella di Torre Pedrera era una colonia destinata ai bambini e agli adolescenti di età compresa tra i 6 e i 14 anni, caratterizzata da una struttura immersa nel verde con pineta. Bambini oramai cresciuti ricordano che utilizzavano le cortecce dei pini per realizzare barchette; grazie a Don Salvatore, spensieratezza e gioia di vivere prevalevano sulle oggettive situazioni di disagio economico con cui le nostre famiglie erano costrette a convivere. Un clima familiare, un personale educativo qualificato, attento alla psicologia dei piccoli ospiti provenienti da umili e/o disagiati ceti sociali. Durante tali soggiorni, erano previste anche escursioni nel territorio limitrofo ed una serie di visite guidate. La colonia, quindi, rappresentava un momento teso a favorire l'integrazione sociale e l’aggregazione di tutti i bambini, senza alcuna differenziazione di classi sociali. La direzione delle colonie era prima affidata ad Elena Lombardi e poi a seguire a Marietta, la sorella, o comunque a entrambe e molto rigida era la selezione del personale e le regole e il comportamento che lo stesso doveva avere nel corso di tutta la colonia. Il giorno 8 maggio di solito e un mese prima della apertura della colonia don Salvatore, e le sorelle Elena e Marietta, andavano a Torre Pedrera per le verifiche e le commissioni per la partenza della colonia. Tra gli aneddoti, quando si era in colonia fuori sede di Torre Pedrera, Marietta ricorda che don salvatore la chiamava come le altre per il pagamento del lavoro estivo e prima che si allontanasse le richiedeva i soldi indietro perché non ne aveva per pagare la struttura alberghiera con la promessa, mai onorata, della restituzione. Collateralmente alla colonia di Torre Pedrera ve n’era un'altra a Roccaraso così da distribuire i ragazzi e le cui organizzazioni per l’avvio prevedevano almeno tre mesi di preparativi, del resto anche nel mentre terminavano le lezioni di un anno scolastico già don Salvatore dava indicazione su come preparare ambienti ed attività per il successivo anno scolastico. La “macchina” organizzativa di don Salvatore non conosceva soste. La città dei suoi figli A don Salvatore ci si rivolgeva per la scuola, per il matrimonio (ristorante e mobilio compreso), per il lavoro e qualche suggerimento. Quanti giovani, anche non suoi ospiti, non per forza con legame di amicizia o di parentela diretto o indiretto attraversavano l’ingresso e seduti nel suo studio (magari dopo un po’, a volte tanta anticamera) manifestavano i propri bisogni e venivano accolti e suggeriti o aiutati. Tanti li ha accolti come suoi dipendenti o di aziende, società dove poteva suggerire qualche bravo ragazzo o ragazza bisognoso di lavoro, altri ha cercato di trovare le strade più idonee. Di tanti è stato il celebrante del matrimonio, battesimo, comunione e così via facendo diventare estranei membri della sua famiglia allargata. Del resto della sua famiglia d’origini avevano accesso libero, il fratello Giuseppe e il nipote Franco; neanche il fratello Antonio (papà di Francesco poi sindaco di Maddaloni) che tanto ha fatto per la sua formazione e per il Villaggio e che aveva una formazione patriarcale e non concepiva il ruolo determinante e di peso della famiglia nella sua vita. Infatti, don Salvatore riusciva a carpire le angosce, le insoddisfazioni e le insicurezze di coloro che si trovavano al suo cospetto; ciò anche attraverso la semplice lettura fisiognomica della persona, anche quando non conosceva direttamente. Tanti non avevano bisogno di parlare al suo cospetto, era lui direttamente a comprendere i bisogni e all’occorrenza a “rifocillare” nel silenzio solo un “grazie” dell’interessato. Certo c’erano al suo cospetto anche persone che ne hanno denigrato l’operato. Ma il modo di porsi di don Salvatore, in determinate circostanze, indicava il suo disappunto verso coloro che pensavano di utilizzarlo per un proprio obiettivo. Ebbene, don Salvatore, per la sua ampia saggezza, stava al gioco e in tal modo aveva la meglio sulle presunzioni altrui. Eppure, nonostante continuavano a ottenere tanti sui “marciapiedi” continuavano a denigrarlo e dopo la morte ad aver cura che non venisse fuori quanto ottenuto per i propri scopi nonostante le contestazioni. Elio Rosati Parlare delle amicizie di don Salvatore porta automaticamente il pensiero ad Elio Rosati, entrambi tra i fondatori della nascita della Democrazia Cristina nel dopoguerra. Elio Rosati non era solo un parlamentare sopraffino ed un galantuomo, un maddalonese soprattutto ed un casertano, era anche l’amico caro, l’uomo con cui confrontarsi, di uno dei maggiori esponenti politici italiani che hanno segnato la storia del nostro Paese e che hanno sacrificato la propria vita per la democrazia: Aldo Moro. Elio Rosati era l’uomo che, spesso, traduce in realtà i pensieri e le idee di Aldo Moro. Collaborava e si confrontava con Lui e poi era anche l’amico filiale, l’uomo con cui confrontarsi, quello che non abbassava mai la testa, quello di cui don Salvatore poteva fidarsi cecamente, di don Salvatore d’Angelo. La sua dipartita è stata una perdita colossale per Terra di Lavoro, per Caserta che ha perso uno degli ultimi Politici pensanti, anche se non più operativi, uno degli ultimi intellettuali veri della nostra Terra. Un uomo che nel bisogno non ha mai fatto venire meno il suo sostegno al Villaggio dei Ragazzi per il quale scrisse la preghiera del “fanciullo” seduto con il sacerdote sulle brande della camerata. Lo storico e presidente della Società di Storia Patria di Terra di Lavoro, avv. Alberto Zaza d’Aulisio, all’indomani della morte del parlamentare su “Il Mattino”, a sostegno dell’impegno indiscusso e trasversale da tutti per lo sviluppo dell’opera di don Salvatore d’Angelo, scriveva: «Nella vicinanza al Villaggio dei Ragazzi Elio Rosati non era «moroteo», come Giulio Andreotti non era «andreottiano»: erano le due colonne a sostegno di quell’impianto di assistenza sociale nato nella mente di don Salvatore d’Angelo. Per decenni l’alzabandiera e l’ammainabandiera nel cortile dell’istituto fu scandito dalla recita della «Preghiera del Villaggio», pochi versi, un concentrato di sacralità sociale, l’ispirazione di don Salvatore, la stesura di Elio Rosati. Un passaggio: «Donaci, o Signore, la sapienza per conoscere le cose vere, buone e belle: aiutaci a credere negli altri, ad amare il lavoro». Una firma, questa di Rosati, in calce ad una vita intera». Il parlamentate è coetaneo di don Salvatore (nasce a Maddaloni il 21 febbraio del 1923) e fu parlamentare a Montecitorio per 5 diverse legislature e per ben tre volte rivestì il ruolo di sottosegretario di Stato nei governi Rumor I, II e III e successivamente fu sottosegretario nel governo Colombo ed ancora nel governo Andreotti I. Infatti, lo troviamo nella Camera dei Deputati nel gruppo DC dal 5 giugno 1968 al 24 maggio 1972 (II Legislatura Camera - IV Legislatura Camera - V Legislatura Camera - VI Legislatura Camera - VII Legislatura Camera) La sua formazione politica e umana è legata a quella di don Salvatore e degli altri coetanei che hanno contribuito allo sviluppo del territorio come Salvatore Cardillo e Giuseppe Caliendo. Al tempo la formazione religiosa, umana e politica a Maddaloni aveva il distinguo maschile e femminile. Quella maschile aveva come guida il can. arciprete Michele Cerreto che formava presso l’arcipretura di San Pietro Apostolo con la sua “Unione Cattolica Uomini”. Le componenti femminili avevano come punto la chiesa di San Benedetto Abate con il can. e vicario foraneo fon Giuseppe Santonastaso ed i gruppi “Pia Casa di Apostolato” e il Centro Italiano Femminile. Va detto che una volta cresciuti il can. Santonastaso di servi per la sua formazione spirituale sociale e politica anche di alcuni collaboratori tra cui suoi collaboratori don Salvatore d’Angelo, don Salvatore Letizia, don Salvatore Izzo e don Giuseppe Magliocca. Vincenzo Santangelo ricorda che quando don Salvatore andava a trovare i piccoli nella “Pia Casa di Apostolato”, retta dalle signorine Anne e Olimpia, aveva sempre con sè due seminaristi Stefano Tagliafierro e Pietro Farina , ovvero le sue prime due vocazioni della “Casa del Fanciullo”. L’amicizia tra il parlamentare e il sacerdote è forte al punto che da subito il professore è a disposizione di don Salvatore per la formazione umana e scolastica dei suoi ospiti ed orfani, e le tante testimonianze umane e fotografiche consolidano la conoscenza di questo impegno. Un legame, nell’ambito della Democrazia Cristiana, che porterà Elio Rosati sempre presente nei momenti clou della politica amministrativa cittadina e a favore del Villaggio di don Salvatore fino ad essere con don Salvatore d’Angelo artefice del primo compromesso storico, da sempre ha avuto l’apertura alla sinistra ed al partito socialista in particolare, e che poteva servirsi di un fare Politica onesto per la Città anche con la collaborazione dell’antagonista partitico, il PCI, dove nei momenti del bisogno, per la Città, trovava un alleato capeggiato in questa visione dal Senatore Salvatore Pellegrino in occasione dell’approvazione del bilancio comunale maddalonese del 1980 e che favorì l’esperienza dal 1981 e fino al termine del mandato del 1983 di una giunta vedrà l’alleanza politica tra la Dc con Psi, Psdi e Pci, 38 consiglieri su quaranta, guidata dal dott. Giovanni Di Cerbo. I due erano anche una coppia solida nella guida della DC locale, che aveva sede nell’ex Padiglione Farina in piazza Matteotti nei locali al piano terra alla sinistra dell’ingresso principale del Villaggio dei Ragazzi, più a sinistra poi avrà sede nella seconda metà degli anni ’90 la Pro Loco cittadina. Tornando alla coppia in segreteria si ricorda il direttivo del 1976 che vede l’On. Elio Rosati (di cui si ricorda l'immane cultura,il garbo e la gentilezza) segretario cittadino, don Salvatore d’Angelo suo vice, il diciannovenne Luca Tramontano responsabile elettorale del partito e tanti altri come Vincenzo Brancaccio, Carlo Bernardo, Gaetano Mandato, il compianto Plinio Salanti, Gaetano Giglio, Alfonso Grimaldi, Matteo Coppola, Francesco Sollitto, Luigi Farina, Domenico Mosca, Luigi Di Rosa e Maddalena Varra. Va detto che in quel periodo nella sezione cittadina della Democrazia Cristiana vi erano dei locali dove si giocava a carte e dei locali per le riunioni. Quando, però, si riuniva la Segreteria era assolutamente vietato giocare a carte e chi si intratteneva nelle altre stanze doveva stare in assoluto silenzio. Le riunioni si svolgevano in modo molto spartano (talvolta trasferite nel Villaggio dei Ragazzi dove magari c’era anche un ristoro/bibite, soprattutto nel periodo estivo) e che comunque in ogni caso ogni riunione aveva un comunicato per la stampa. Con quel direttivo gli interpartitici avevano di base la seguente rappresentanza: Rosati, d'Angelo, Brancaccio e Tramontano. Tra gli aneddoti che legano don Salvatore ed Elio Rosati vi è quello che rimanda al ritrovamento dell’on. Aldo Moro. Infatti, in quella occasione i due, che conversano nei sedili posteriori, con auto guidata dal nipote del sacerdote l’avv. Francesco d’Angelo, sono a Roma per degli impegni sociali e istituzionali. Mentre sono per strada la vettura viene bloccata da altre con uomini dei servizi segreti che raggiunta la vettura prelevano Rosati. Qui a nulla valsero i tentativi di don Salvatore (tutti ancora ignari della esigenza che si richiedeva a Rosati cioè avvisare la moglie del Presidente Moro del suo ritrovamento deceduto) di far seguire la propria vettura con Rosati. Don Salvatore fece si che il nipote si mettesse alla volta delle auto dei servizi per capire la destinazione. Qui si crearono i giusti impedimenti per bloccare dopo poco l’auto guidata da Francesco d’Angelo e con dentro don Salvatore. Don Salvatore si adoperò subito a promuovere una manifestazione pubblica a Caserta con le bandiere listate a lutto della DC che si realizzò nel giro di due ore dall’annuncio ufficiale del ritrovamento del Presidente Moro. Il resto è storia. Elio Rosati come amministratore cittadino fu molto vicino alla Fondazione Villaggio dei Ragazzi ed alla persona di don Salvatore d’Angelo e durante la sua amministrazione, il comune di Maddaloni si fece carico delle spese di fornitura elettrica della fondazione. Nel tempo ci furono anche altri e numerosi interventi dell’amministrazione cittadina a favore del sacerdote e della sua opera. Francesco d’Angelo Francesco d’Angelo e Maria Lombardi, il primo allievo e nipote e la seconda nipote ed assistente personale fino agli ultimi giorni, sono i due eredi spirituali di don Salvatore d’Angelo. l suo ingresso in politica attiva, dopo un lungo periodo nel movimento giovanile della D.C., avviene con le elezioni amministrative del 1979, dove la DC decise di candidature tutti consiglieri non uscenti dalla precedente legislatura. Nel 1966 venne qui a trovarlo, unica volta, lo zio don Salvatore d’Angelo ed essendo stato messo in punizione ( cella di rigore) all’arrivo del sacerdote il Comandante Col. Foti chiese a questi se era il caso concedergli la visita. Don Salvatore da parte sua ritenne che se era stato punito ed era giusto che lo restasse e così andò via. Mai preferenze per il nipote. Aneddoticamente va detto che, in questo periodo, quando Francesco ritornava a casa aveva innanzitutto il dovere di andare a salutare l’avv. Renato Sena (che faceva le riunioni in casa – avendo problemi di mobilità con le gambe - ed abitava in piazza Umberto I° nello stesso palazzo della farmacia), rappresentante della Dc a casa sua, cioè nell’attuale palazzo Manfredonia di piazza Umberto nell’appartamento sopra il portole posto con ingresso alla sinistra della lapide a Garibaldi. Diversamente era al circolo sociale, sulla sua carrozzina, nel lato opposto della piazza. Ciò pur il padre Antonio non condividendo la linea politica di Sena. Subito dopo il saluto era riservato a don Salvatore d’Angelo e quindi poteva andare a salutare la madre e gli altri familiari a casa. Tanti sono gli episodi che li legano Francesco a don Salvatore di cui era anche allievo. Uno tra questi è quello che vide Francesco autista di don Salvatore e dell’on. Elio Rosati a Roma nel giorno del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro. Occasione in cui i servizi raggiunsero la vettura per prelevare l’on. Rosati e se a nulla valsero i tentativi di don Salvatore (tutti ancora ignari della esigenza che si richiedeva a Rosati cioè avvisare la moglie del Presidente del suo ritrovamento deceduto) di far seguire la propria vettura con Rosati almeno si tentò di seguire le auto dei servizi per capire la destinazione. Qui si crearono i giusti impedimenti per bloccare dopo poco l’auto guidata da Francesco e con dentro don Salvatore. Ricordo personale di Michele Schioppa Per ciò che concerne la mia testimonianza su don Salvatore d'Angelo posso dire che per la maggior parte delle occasioni ho avuto modo di incontrarlo nel periodo in cui ero in Seminario, qualche volta successivamente per la collaborazione a giornali, in questo caso per la seconda metà degli anni '90 pur avendo iniziato la collaborazione redazionale all'inizio dello stesso decennio, ed infine in virtù della presenza nel Cda della Pro Loco sotto la presidenza di Salvatore Cardillo. Premetto che fino al 1991 con l’ingresso in Seminario mi era nota l’esperienza di don Salvatore e della sua Fondazione ma i rapporti diretti non vi erano salvo poche occasioni, favorite dalla mia funzione di ministrante nella attuale Basilica Pontificia Minore del Corpus Domini, presso cui si era soliti celebrare le principali ricorrenze con tutta la comunità della Fondazione. La presenza in Seminario e l'affetto, l'attenzione e la cura che don Salvatore aveva per il Seminario e i seminaristi era palese. Condividevamo, ricordo, in Seminario l'economo della Fondazione: il rag. Benito. Don Salvatore nelle feste comandate e non solo si ricordava dei seminaristi e nelle anzidette occasioni natalizie e pasquali aveva cura a farci pervenire busta con panettone e spumante, calendari, agende e altro che richiamava la Fondazione. La stessa Fondazione ho avuto modo in più di una occasioni di visitarla e conoscere, nelle diverse sedi e attività, perché a lui premeva presentare a noi Seminaristi la sua Opera. Ci ospitava e ci raccontava la sua esperienza. Nel suo studio, tra i suoi cimeli, ricordo, che aveva in bella mostra i dizionari della lingua italiana e diversi volumi di quelli dei sinonimi e contrari. Mi resi conto così della ricercatezza nella terminologia per una dialettica, la sua, che difficilmente era contrastabile. Non a caso, da testimonianze varie, anche nel corso della presente “indagine”, esce fuori una figura che amava avere ragione, che lasciava parlare, soprattutto se il campo, il tema non era suo pane quotidiano, apprendeva facendo propria la tesi altrui s condivisa e diventando esso stesso esperto del tema posto se ne aveva necessità. Certo è che se faceva proprio, se buono e/o utile, un pensiero o valutazione altrui. Don Salvatore, ricordano, aveva l'abitudine di sera di ripensare a tutta la giornata, l'indomani, se l'interessato fosse stato fortunato si sarebbe sentito dire che “forse” qualche cosa di buono c'era nella sua osservazione, diversamente diventava farina del sacco sacerdote. Tornando alle visite in Fondazione da Seminarista, ricordo la cura che aveva nel presentarci la cappella a fianco lo studio e la statua di San Giovanni Bosco e San Domenico Savio a cui ispirava il suo amore per i fanciulli e la loro formazione. In relazione a questi due luoghi, in una delle tante conversazioni di questi giorni con il nipote di don Salvatore, l'avvocato Francesco d'Angelo, ho appreso che il sacerdote quando era a Maddaloni, ovvero quasi sempre, prima di andare a dormire si portava a salutare don Bosco (don Salvatore come don Bosco, Maddaloni come Valdocco, assistenza ai bambini e con l’aiuto della madre don Giovanni e della cugina – e della famiglia tutta allo stesso tempo – don Salvatore) e Gesù nella cappella. Le seconde occasioni, ricordavo, in cui ho avuto modo di incontrare don Salvatore sono state quelle delle collaborazioni giornalistiche per lo più con Avvenire, Il Caffè e il Corriere di Caserta. Qui la cronaca di eventi mi portava ad incontrarlo e in particolare in una occasione fui proprio ricevuto senza motivo di articolo. Ricordo che andai per conto del settimanale “Il Caffè” con cui collaboravo dal 1997, e credo che la visita si ebbe proprio nei primi mesi di collaborazione. Il motivo è presto detto, visto che parlavamo della Fondazione con i miei articoli lo incontrai, autorizzato del direttore, a nome della testata, al fine di inviarlo a leggere il giornale, di cui gli portai un nutrito numero di edizioni precedenti e settimanalmente da qual momento ne lasciavo una copia per lui in portineria della Fondazione. Ricordo che don Salvatore all'inizio non aveva colto che l'incontro e il motivo dell'appuntamento era solo quello, cioè che era gradito che lui ricevesse e leggesse il giornale, ma poi comprese che questo era il vero fine e da qui scrisse al giornale ringraziando per l'attenzione riservatagli. Infine, le occasioni, brevi, di relazioni furono quelle in virtù della presenza nel Cda della Pro Loco di Maddaloni con la presidenza, come accennato, del dott. Salvatore Cardillo, fortissimamente legato a don Salvatore, prima ancora che alla Fondazione, e che è stato da molti considerato anche l'autore della Preghiera del Villaggio. In effetti, questa, come testimonia Maria (Marietta) Lombardi, collaboratrice diretta del sacerdote del Villaggio, che ha assistito in prima persona alla sua redazione , è stata scritta dall'allora neoprofessore di filosofia Elio Rosati e da don Salvatore d’Angelo nella prima camerata (attuale Sala Chollet),seduti sulle brandine militari, dono dei militari di stanza in Maddaloni, e lì i due composero questa meravigliosa e sempre attuale preghiera. Il mio incarico, in questo sodalizio inizio dal 1999, e sono stato presente per due mandati, per cui il tempo, stante la Nascita al Cielo di don Salvatore d'Angelo, è stato breve per maturare più occasioni di incontro. Ricordo certamente l’attenzione massima che il sacerdote aveva per la Pro Loco, dalle semplici manifestazioni, ai pranzi a sacco per i soci in occasioni di visite esterne, all’immancabile supporto per la realizzazione della Sagra del Carciofo paesano sia quando questa era svolta sul monte San Michele presso l’eremo del santo Arcangelo o in città dove la sede operativa era proprio nel cortile del villaggio che si affaccia sulla piazza oggi intitolata allo stesso sacerdote (area messa disposizione anche per il comitato festeggiamenti patronali o altre organizzazioni per concerti il cui palco era messo a ridosso della stessa struttura) e la promozione della Città anche per il tramite del supporto alle iniziative della Pro Loco. Cardinale Giovanni Benelli Il Cardinale Giovanni Benelli fu compagno di Seminario di don Salvatore, e fu Segretario di Stato del Vaticano, per tutto il mandato del porporato, quindi grosso modo dal 1967 al 1977, ma anche oltre don Salvatore il mercoledì oltre ad andare dal Presidente Andreotti (dove gestiva anche amministrativamente la segreteria del senatore) andava anche in Vaticano. Prima di Benelli erano più rare le visite settimanali, con lui divennero regolari, anche perché le mancate coperture assistenziali del pubblico sui ragazzi ospiti del Villaggio dei Ragazzi erano, nei limiti delle possibilità, trovava conforto spirituale e materiale. Mons. Benelli è stato uno dei sostenitori spirituali e materiale di don Salvatore per regalare alla città quello che nel tempo è stato il Villaggio dei Ragazzi. Va ricordato ancora che lo stesso prelato venne a Maddaloni nel 1970 e fu l’unica volta. Qui rimase particolarmente colpito per la grandiosità di tale opera. Infatti, per il raggiungimento di tale obiettivo, don Salvatore ha sacrificato se stesso, la sua crescita per donare la luce ai meno abbienti. Per garantire appieno una così grande opera, don Salvatore doveva conoscere tutto e tutti, sapeva apprezzare coloro di cui fidarsi e diffidava di coloro di dubbia attendibilità. Tra gli amici del periodo del Seminario Francese capitava che non era lui che li andava a trovare ma loro e tra questi don Salvatore era molto legato, negli anni ’80 e ’90 al Prefetto per gli Affari Economici della Santa Sede, cioè la persona la cui firma abilitava l’uscita e la spesa di ogni somma della Chiesa. Era persona di bassa statura, tanto che lo appellavano “Don Donatino” , in effetti era il Cardinale Donato De Bonis. Passaggio di proprietà dal Demanio al Villaggio della Caserma Bixio. Don Salvato nella sua lungimiranza si è sempre preoccupato non solo di rimodernare e sistemare la sede della fondazione ma anche di acquisirne la proprietà in capo alla fondazione stessa. Naturalmente quando don Salvatore si adoperò affinché il villaggio passasse dal possesso demaniale alla Fondazione per far ciò fece intervenire, come era solito in situazioni in cui era preferibile l’azione trasversale, un senatore di Santa Maria Capua Vetere del partito comunista: l’on. Antonio Bellocchio. Questi fu il primo firmatario di una proposta di legge alla Camera dei deputati dell’agosto del 1989. Altri firmatari con lui furono l’on. Mario Usellini della Dc, l’on. Francesco Piro del Psi, l’on. Filippo Caria del Psdi, l’on. Pietro Sorrentino del Pli, l’on. Giuseppe Rubinacci del Msi-Dn, l’on. Luigi D’Amato del Fee, l’On. Giuanluigi Ceruti dei Verdi e l’on. Guido Martino del Pri. L’intervento dell’on. Bellocchio portò problemi allo stesso a quanto sembra per intervento di un suo ex collega maddalonese a cui non andò giù l’operazione, il Senatore Salvatore Pellegrino. Alla fine, comunque, la legge fu approvata in seduta lampo al Senato e definitiva il 19 dicembre dello stesso anno, è composta da soli cinque articoli, oggi identificata come Legge n. 420 del 28 dicembre 1989. Da quanto abbiamo appreso la Legge fu pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana il 3 gennaio 1990 n. 2, con il seguente oggetto: “Autorizzazione a cedere, a titolo oneroso, alla fondazione "Villaggio dei Ragazzi" di Maddaloni, la porzione del complesso immobiliare denominato ex caserma Nino Bixio, padiglione Farina e padiglione S. Pietro, in Maddaloni (Caserta), scheda n. 85, appartenente al patrimonio dello Stato” . La stessa è firmata dal presidente della Repubblica Cossiga mentre Andreotti è Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro Guardasigilli è Vassalli. La Legge è stata approvata con la X Legislatura e con gli identificativi dei resoconti parlamentari S1973 e C4167. La proposta passa per le Finanze e Tesoro, Affari costituzionali Programmazione economica, bilancio del Senato. Il tutto è evidente dalle Fonti Parlamentari. Naturalmente fatta la legge bisogna materialmente pagare l’acquisto e in ciò torno provvidenziale l’intervento del senatore Carlo Lavezzari (imprenditore, dirigente sportivo e politico) coetaneo del sacerdote (Menconico, 2 agosto 1924 – Milano, 25 dicembre 1994) e andreottiano. Ebbente, un giorno apparentemente come altri, subito dopo l’approvazione della legge, il senatore Carlo Lavezzari, molto amico del Senatore Andreotti, era in viaggio verso Reggio Calabria si fermò al Villaggio per lasciare una donazione di un miliardo e cento milioni di lire. Alla notizia dell’arrivo di Lavezzari don Salvatore chiamò tutti a rapporto, e fece tornare al villaggio anche quelli che erano fuori sede tra cui il segretario Donato Proto che era al lavoro al Comune. Il comando era semplice, tutti subito qui senza se e senza ma. Ai fidati collaboratori subito confidò l’arrivo del senatore per la donazione e fece allestire il salone con le luci accese e tutto come si conveniva al solito per un illustre ospite. Nell’attesa generale, a portone spalancato, entrarono due auto, quella di dietro era la scorta. Nella prima auto c’era il senatore Carlo Lavezzari con la moglie, che don Salvatore “commosso per la visita” accolse in modo molto partecipato ed “emozionato”. Qui commosso, ricevuti gli ospiti, iniziò ad introdurre la storia del villaggio, nel mentre aveva fatto accomodare il senatore nello studio e aveva chiesto che si preparassero dei caffè per i presenti. Nel frattempo, la signora Lavezzari, come da programma, fu accompagnata dal preside prof. ing. Giusto Nardi, in una breve visita degli Istituti Tecnici. Il senatore, con molto garbo, lo interruppe quasi subito dicendo che ben sapeva del Villaggio per la presentazione fatta da Giulio - e che da lì a poche ore aveva un impegno importante a Reggio Calabria, sapendo che era di strada il senatore Giulio Andreotti lo aveva invitato a fermarsi per conoscere questo suo amico sacerdote, cogliendo l’occasione per mettersi a disposizione all’occorrenza. Don Salvatore fece presente che dopo tante vicissitudini si stava per concludere l’acquisto della ex Caserma Bixio – don Salvatore la chiamava la “nostra casa”-, e che mancava il miliardo per formalizzare il passaggio del bene. Il senatore, con molta eleganza, estrasse il libretto degli assegni e ne compilò uno con l’importo di un miliardo, chiedendo se intestarlo a don Salvatore che chiarì subito che andava intestato alla Fondazione. Ovviamente, provvide anche a compilare un secondo assegno di cento milioni per le spese di registrazione dell’atto di cessione. Dopo di che il senatore gustò il caffè e, ritornata la signora Lavezzari, insieme continuarono il loro viaggio verso il sud Italia. Così il Villaggio divenne proprietà, la tanto auspicata “casa” della Fondazione. Inutile dire ala contentezza e la soddisfazione di don Salvatore che da decenni sognava quel momento: a dire il vero, gli brillavano gli occhi; forse era pure un tantino emozionato ma non voleva, al solito, darlo ad intendere. Altro particolare di quella donazione fu la ricevuta, come ricorda il segretario Proto, nel senso che don Salvatore, che per certi versi era abituato a ricevere donazioni, trattandosi questa volta di donazione che superava il miliardo decise di far preparare una ricevuta autografa sulla donazione che su fatta trasmessa al senatore laddove ne avesse avuto bisogno per tasse e/o la sua ordinaria contabilità. Da che è dato sapere non ci sono state occasioni di incontro o di contatto tra il sacerdote e il benefattore, quando la provvidenza vuole la bontà interviene! Don Salvatore d’Angelo e don Mario Vallarelli Il dopoguerra casertano ha visto nascere a Maddaloni con don Salvatore d’Angelo la “Casa del Fanciullo” poi “Villaggio dei Ragazzi” e a Caserta con don Mario l’Orfanatrofio Maschile “Sant’Antonio”. Due realtà quasi parallele in due contesti di un territorio martoriato, due istituzioni che contribuiranno nei decenni a seguire a garantire un futuro a diverse generazioni di bambini. I due sacerdoti erano molto sostenuti in quegli anni dal loro vescovo mons. Bartolomeo Mangino, alla guida della Diocesi dal 1946 al 1965. I due sacerdoti e le loro opere nascono in una Italia che raccoglieva i cocci e si leccava le ferite. Entrambi volevano offrire ai figli della propria terra la possibilità di vivere, di studiare o imparare un mestiere. In modo diverso ma con lo stesso spirito si preoccupavano di raggiungere lo scopo. Il Villaggio dei Ragazzi di Maddaloni con don Salvatore d’Angelo riusciva a veicolare, anche con le sue qualità politiche e relazionali ad alti livelli, somme dal pubblico e privato e da Roma, mentre don Mario è riuscito nella sua opera grazie alla sua identificazione con la casertanità. E, la Caserta doc fino agli anni ’90 sosteneva, anche economicamente, la casertanità perché il suo impegno era riconosciuto e riconducibile all’identità di Caserta. Negli anni del dopo guerra entrambi visto il tipo di utenza furono sostenuti dall’organizzazione dell’O.N.O.G. (Opera Nazionale Orfani di Guerra), che era presieduta dall’avv. Renato Iaselli, quando nel 1948 nacque, ed ebbe con braccio rappresentativo e operativo anche lo stesso don Mario, presso la cui sede aveva sede l’Opera. Tra Don Mario Vallarelli e Don Salvatore d’Angelo non c’era ambito o personalità della politica nazionale che non conoscesse Caserta ed i due operatori diocesani che, per strade diverse, perseguivano uguali obiettivi, cercavano, spesso riuscendoci, un futuro ed uno sbocco lavorativo per i ragazzi e le opere di carità avviate. Circa il rapporto tra i due, ricorda sempre il nipote Mario, questo era ottimo. Spesso don Salvatore faceva visita anche all’Orfanotrofio a Caserta, le posizioni durante le assemblee di clero erano sempre collaborative e unite. Don Mario Vallarelli e don Salvatore d’Angelo con il Villaggio dei Ragazzi sono stati punti di riferimento per diverse generazioni pur operando in contesti e con metodologie differenti, infatti, come ha ricordato l’on. Elio Rosati in occasione del 40° anniversario della Fondazione maddalonese, soleva dire mons. Mangino che mentre don Mario correva a piedi don Salvatore aveva già preso l’aereo. Comunque, don Salvatore è stato spesso all’orfanotrofio da don Mario. Politicamente sono stati punti di riferimento nazionale per quanti militavano nella DC. Entrambe le opere beneficiavano del’aiuto dell’Amministrazione Provinciale anche se questo per crisi di bilancio con gli anni ’90 iniziò a mancare e come ricorda l’avv. Maurizio Gallicola, il 20 agosto del 2011, « nel 1994, allorquando da assessore provinciale di Caserta, con tutta la squadra della DC, a fronte di deficit di bilancio al fine di evitare che i problemi di bilancio comportassero ben altre conseguenze, fummo costretti a tagliare delle voci di assistenza alle opere e attività del territorio. Ricordo che fino all’anno prima all’Orfanotrofio di Sant’Antonio e attività di don Mario erano assegnati all’incirca 400 milioni di lire mentre ad esempio alla Fondazione Villaggio dei Ragazzi di Maddaloni di don Salvatore d’Angelo un miliardo di lire. Ebbene, come DC, considerata l’importanza di queste opere e la difficile responsabilità e scelta di cui ci faceva carico, informammo gli interessati. Don Mario con il sorriso capì la situazione, don Salvatore scatenò l’impossibile … Sta di fatto anche ancora per quell’anno concedemmo ad entrambi, credo, la metà della cifra in bilancio e dall’anno successivo nulla più». Don Mario Vallarelli come tanti altri confratelli sacerdoti della Chiesa di Caserta il 31 maggio 2000 andarono a salutare don Salvatore, entrato con l’auto nel Villaggio fu accolto dal nipote di don Salvatore, e tra le lacrime, alludendo all’inizio delle loro opere affermò «Erano anni del dopoguerra, anni di macerie, ma mai, come quelle che vi sono oggi, anche nelle istituzioni, e che nessuno intravede. Don Salvatore è stato ambasciatore dell’Italia e un alto prelato, pur rinunciando alle insegne prelatizie. Mi rammarica di non aver partecipato alla festa per i suoi ottant’anni. Non stavo bene. Ma gli telefonai. Due caratteri uguali? No, io sono stato sempre un francescano. Lui, invece, è stato più politico, riuscendo a fare cose ben più colossali di quelle che ho saputo fare io». Tra i collaboratori c’è qualcuno che riprende qualche critica che il “prete” di Maddaloni faceva al “prete” di Caserta, il fatto di non aver alienato da sé e famiglia nel corso della vita e dunque a seguire ogni sorta di bene e titolarità, anche se per una motivazione o l’altra entrambe le eredità non sembrano ad oggi di vivere di “luce propria” in quanto a messa a frutto dei lustri dei decenni passati. Al di là che con don Mario don Salvatore ha sempre cercato di avere buoni rapporti con i confratelli e con la vita della Diocesi, seguendo da vicino attività come il processo per la canonizzazione di Giacomo Gaglione così come la partecipazione “spirituale” e non solo della figura di don Giuseppe Diana del quale se all’inizio vi erano dei dubbi su talune situazioni poi si convinse, approfondendo, della santità del sacerdote. E diversi sacerdoti, anche quelli che poi hanno cercato di denigrarlo, hanno avuto il suo aiuto nella risoluzione di problemi anche seri e di natura civile e penale. Situazioni che lui non ha volutamente mai rendere noto per evitare di influenzare la loro reputazione, perché sacerdoti di Cristo. Festa di San Michele Era il 1976, pretese da Amedeo Marzaioli ed altri di far parte del comitato festeggiamenti patronali dei quali Lui era presidente. In quell’anno riuscì a portare sul palco in Piazza Matteotti il Piccolo Coro dell’Antoniano di Bologna una vera novità per la festa di San Michele. Fu un successo clamoroso. Ricordo che la storica maestra del coro, Mariele Ventre, dopo l’esibizione dei suoi bambini uscì dal Villaggio per guardarsi la festa e si intrattenne con don Salvatore e il comitato. Mariele in quell’occasione soggiornò più giorni a Maddaloni, come ricorda suo amico giornalista Riccardo Pellati e se non fossero sopraggiunti i problemi di saluti e la morte, per suo desiderio, oltre che per volontà di don Salvatore, la stessa sarebbe intervenuta a Maddaloni in occasione del 50° anniversario sacerdotale di don Salvatore, infatti, lo stesso ricorda che «era entusiasta di poter portare il suo messaggio di “pace e di amore” tra le mura del Villaggio». Festa Provinciale dell'Amicizia A Maddaloni si tenne la prima Festa Provinciale dell’Amicizia per volontà del sacerdote, prima ancora che nel capoluogo e negli altri centri. Era l’anno 1977 mese di settembre che coincise con i festeggiamenti patronali a cui don Salvatore ha sempre dato un certo apporto, anche prendendo la carica di presidente del comitato organizzatore nel 1976. A occuparsi della festa don Salvatore mise il giovane Luca Tramontano che talvolta lo accompagnava a Roma il mercoledì e in quelle occasioni, ricorda Tramontano, era uno spettacolo vedere i Presidenti del Consiglio e Ministri corrergli incontro, abbracciarlo e spesso baciargli la mano. Il riguardo, il rispetto e la considerazione nei suoi confronti era massima e dignitosi e lusinghiero trattamento lo ricevevano anche i suoi accompagnatori. Tra l’altro era facile che i suoi accompagnatori, anche in suo assenza ricevevano il rispetto per la sua interposta persona, infatti, racconta Tramontano che qualche volta si recò da solo a Roma, durante il rapimento del Presidente Moro o per l’organizzazione della prima Festa Provinciale dell'Amicizia del settembre 1977 ( i cui preparativi iniziarono nel settembre 1976) a Maddaloni, ha ricevuto uno squisito trattamento, perché vedevano nel giovane collaboratore del grande sacerdote lo stesso sacerdote. Dunque, nel settembre 1977, si svolse la prima Festa Nazionale dell'Amicizia ovvero la Festa Ufficiale della D.C.. Ebbene, mentre in tutte le altre parti d'Italia, si svolgeva nei capoluoghi di provincia, quella in Provincia di Caserta si svolse a Maddaloni ed ebbe il suo quartier generale nel Villaggio dei Ragazzi. Il “Festival” riuscitissimo con cantanti di fama nazionale, sbandieratori, rassegne cinematografiche e dibattiti. Protagonisti furono i leader DC dell'epoca ed il tutto ebbe risonanza sulle testate giornalistiche nazionali. Instancabile protagonista di quella kermesse fu il compianto Giuseppe Caliendo, stretto amico sostenitore e talvolta complice del sacerdote, sempre per iniziative volte al bene comune. La festa si tenne una settimana prima della programmazione della festa patronale, in onore di San Michele Arcangelo, e furono sfruttate le strutture dei festoni per la luminaria (in particolare il “capostrada”) per mettere quelli della Festa dell’Amicizia. Luca Tramontano, componente del comitato festeggiamenti patronali dal 1975 al 1978,ricorda che quell’anno fu il primo anno della trentennale presidenza del cav. Pietro Varra (infatti era morto nell’agosto di quell’anno lo storico presidente cav. Salvatore Croce) e per i due anni precedenti era stato a capo del comitato la coppia Ninì Omaggio – don Salvatore d’Angelo. Don Salvatore e il piazzale della fondazione Il piazzale della Fondazione così come un’Agorà è stato sempre il centro degli eventi e il luogo di raccolta, di partenza o di arrivò di ogni attività di don Salvatore e del suo Villaggio e all’ingresso dello stesso da sempre vi è la statua di don Bosco dove don Salvatore e ogni ragazzo e collaboratore si doveva trovare in preghiera per la protezione del proprio ruolo e per la vita del Villaggio. L’alza Bandiera e gli schieramenti dei plotoni in divisa, la fontana e i momenti di conversazione e gioco libero, il tutto sotto l’occhio vigile del direttore don Salvatore, dalla finestra dello studio piuttosto che dall’ombre della quercia sotto cui si fermava principalmente in primavera e d’estate dove sorbendo una bibita o un gelato, soprattutto d’estate, il pensiero andava ai ragazzi in colonia. E, negli ultimi anni, lì il pensiero a prendere l’aereo a Napoli fino a Bologna per poi fare l’ultimo tratto in auto perché era stanco e soffriva nel fare tutto il viaggio in auto fino a Rimini. Lì nei pressi oggi si erge la statua di don Salvatore inaugurata il 29 luglio 2001 opera in bronzo di Domenico Mavino. In origine la statua doveva essere posta dov’è la statua di San Giovanni Bosco davanti la quale intere generazioni si sono fermate a pregare. A evitare ciò fu un intervento di Marietta Lombardi che si rivolse alla gestione dei legionari ricordando che don Salvatore di sera prima di andare nel suo alloggio passava a pregare nella cappella davanti al Santissimo di fianco lo studio e poi davanti alla statua di don Bosco e poi rientrava. Inoltre, anche la preghiera del Villaggio richiama San Giovanni Bosco da qui sostituire la statua di un uomo, per quanto sacerdote, a quella di un santo è anche liturgicamente inappropriato. Anzi visto che gli ex allievi e quello stesso uomo hanno vissuto i momenti di vita del villaggio davanti quella statua, e gli ex alunni che vengono dopo tempo ad essa si rivolgono, era il caso non toglierla e così è accaduto. La statua, dunque, poteva essere messa in altro posto, ugualmente importante e che ricorda don Salvatore nella sua relazione e nei suoi discorsi ai ragazzi, anche quando sfidavano le migliaia di presenze, e questo post è in un punto del cortile, dove poi sarà messa la statua degli ex allievi. In effetti il posto è dove si trova il traliccio con la bandiera, vicino la fontana, ma essendo inopportuna al centro è stata messa lateralmente nello stesso punto. Finisce qui l’approfondimento sulla ipotesi della statua di Mavino al posto di quella di don Bosco, che fu riposizionata in quanto si era già provveduto a sradicare il complesso statuario. Soprattutto nell’ultimo periodo, nel periodo in cui non era più considerato “il grande che era stato” sedeva sulle panchine sorseggiando un pompelmo con i pachi amici fedeli rimasti. Lì anni prima si faceva la fila per stare seduti con lui e ascoltare le storie della sua vita, delle sue gesta, considerazioni di politica e di educazione scolastica, pensieri sull’andamento del mondo e delle sue prerogative. Lì come un vigile attento alla pulizia del piazzale chiamava chicchessia per intervenire a prendere una carta piuttosto che una foglia o a far sistemare qualcosa che non andava e con la stessa meticolosità sosteneva la lotta contro il tempo di coloro i quali imbrattavano la facciata su via Capillo, area adiacente piazza della Vittoria, facendo provvedere subito a far ripristinare pulizia e tinte. In quel piazzale, don Salvatore, con le sue adunate, era solito condividere i propri pensieri e condividere il percorso della Casa, Villaggio Fondazione con i suoi fanciulli, ragazzi. Il cortile era sempre pieno di ragazzi festanti, rumorosi ma tanto allegri. Quando don Salvatore si intratteneva con i ragazzi era solito fare battute, tante risate e molte riflessioni insieme. Si ricordano con nostalgia le calde serate trascorse da don Salvatore con qualche amico, confratello (con don Salvatore Izzo - morto per molti in concetto di santità nel novembre 1976 - era solito soprattutto in primavera fare lunghe passeggiate su e giù per il corso cittadino e confrontarsi) con lui nel cortile, sulla panchina davanti alla fontana, ad ascoltare consigli ed a volte a ricevere confidenze. Per don Salvatore, del resto, il Villaggio dei Ragazzi era a disposizione di ogni maddalonese, tutto era a disposizione: la tipografia, le aule, il teatro, etc. E il sacerdote era per il coinvolgimento, e si lasciava coinvolgere. Don Salvatore e la Donna Don Salvatore aveva in forte considerazione la figura della Donna, ad iniziare dalla Madonna, che è Mamma di Gesù e protettrice sua e dei “suoi ragazzi”. Grande importanza e ruolo don Salvatore riconosce alle Donne, intesa come persona, come altra metà del cielo, come figura mamma e sostenitrice dell’opera benefica e sociale della Casa del Fanciullo prima e del Villaggio dei Ragazzi poi. Tante sono state, infatti, le donne di umili origini o dalla casta nobiliare e borghese che, da subito, si sono protese nel soccorrere l’opera maddalonese. Anche e se non altro in mansioni umili, e nobili al contempo, come il rammentare calzini o confezionare indumenti. Tra gli aneddoti vi è quello di Francesca Lombardi, la prima sorella di Elena e Marietta, coniugata Coppolino che dopo poco il matrimonio mise a disposizione gli ori del matrimonio e dei regali ricevuti da pignorare per sbloccare il pignoramento dell’ufficiale giudiziario, Questa cosa resto impresa e lo richiama spesso alla memoria don Salvatore ai suoi cari. Donna e ruolo della Donna si intrinseca con don Salvatore nella collaborazione con il C.I.F., come ricorda Anna Giordano riferendo che:« del C.I.F. - Centro Italiano Femminile -, ero presidente provinciale, poi regionale, poi consigliera nazionale. Il C.I.F. era stato costituito nell’immediato dopoguerra come federazione di tutti i movimenti cattolici. La mission: quella di educare la donna per la quale si aprivano i primi scenari di parità e partecipazione e di tenere saldi i valori della famiglia. Una mission che ben si sposava con quella di don Salvatore, che lottava per assicurare ai suoi ragazzi, oltre che un mestiere, soprattutto una madre e una famiglia. Al C.I.F. si contrapponeva un altro movimento femminile, U.D.I. - Unione Donne Italiane - , espressamente laico. Si fronteggiavano rispecchiando la dicotomia che in politica rappresentavano la D. C. - Democrazia Cristiana e il P.C. - Partito Comunista». E parlando della collaborazione a Maddaloni e della presenza dello stesso C.I.F. aggiunge: «a Maddaloni e in molti Comuni del territorio fu istituito, come per statuto, un C.I.F. comunale. E presto iniziò il feeling tra il Villaggio dei Ragazzi e il C.I.F. I bambini assistiti nel Villaggio dei Ragazzi e le famiglie assistite nelle loro modeste dimore. Un sacerdote e le donne del CIF in trincea con un preciso programma etico e sociale. Furono anni di intenso lavoro e di straordinaria condivisione. I frutti non mancarono. Gli anni sono passati, ma chi, come me, ha avuto la grazia di operare in sintonia con don Salvatore, li porta nel cuore e nella mente. Per sempre. Il C.I.F. ha organizzato molti eventi sia direttamente che indirettamente. Gli eventi venivano programmati con lo stesso don Salvatore, che era anche consulente ecclesiastico del C.I.F., e realizzati con i suoi consigli e anche il suo sostegno. Nel primo caso si trattava di eventi anche pubblici ma realizzati nello stesso Villaggio. Nel secondo caso venivano realizzati in altre location, quali scuole, clubs service, incontri vari. Don Salvatore aveva un grande rispetto per la donna. “Dio uomo e donna li creò”, ripeteva. I momenti più significativi, diceva, Gesù li ha consegnati alla donna. Ricordava, infatti, il primo miracolo di Gesù, le Nozze di Cana, per corrispondere alla sollecitudine di Maria, l’incontro di Gesù con la Samaritana al pozzo, l’annunzio della Resurrezione che l’Angelo fa alle donne che vanno al sepolcro, Maria e Maddalena sotto la croce. E nella donna riponeva buona parte della sua speranza per un tempo migliore. Credeva nella parità uomo-donna anche sul piano sociale e lavorativo, credeva nella famiglia, della quale diceva che la donna ha un ruolo fondante, fu sostenitore del riconoscimento giuridico della maternità anche in materia di lavoro, che la Regione Campania riconobbe con una specifica legge». Livia Danese coniugata Andreotti e don Salvatore All’età di 94 anni è morta il 29 luglio 2015 Livia Danese (nata il 1° giugno 1921) coniugata dal 1945 con Giulio Andreotti dalla cui unione sono nati quattro figli: Maria Elena (1946), Lamberto (1950), Stefano (1952) e Serena (1954). Livia Danese è figlia di un funzionario delle Ferrovie dello Stato, chi l’ha conosciuta riferiva che non amava apparire in pubblico, avendo un carattere schivo ma deciso. La signora Livia, soprannominata “la marescialla” per il suo avere il Comando in casa. Appassionata del cucito e della moda era Lei a preparare ogni mattina il vestito al Presidente Andreotti. Si ricordi che don Salvatore era vanitoso e quindi anche l’approccio era molto galante alle Donne, mentre quando la donna era la madre diventava particolarmente affettuoso. Sappiamo che le visite a Maddaloni della signora Livia con il Presidente Andreotti, così come quelle della signora Francesca Paparelli coniugata con l’on. Elio Rosati (deceduta a distanza di qualche giorno il 27 luglio 2015), erano immancabili nelle occasioni ufficiali. A titolo esemplificativo si ricorda l’anniversario dei 40 anni del Villaggio dei Ragazzi nel 1987 e l’80° anniversario della nascita di don Salvatore d’Angelo nel gennaio 2000. In particolare, rispetto a quest’ultimo evento, ricorda Maria (“Marietta”) Lombardi, la fidata nipote di don Salvatore, in una testimonianza del 30 luglio 2015, “la signora Livia e il di Lei consorte soggiornarono negli appartamenti del presidente nel Villaggio dei Ragazzi”. Sempre “Marietta” ci dice che “la defunta era una estimatrice di don Salvatore. Lo ha sempre sostenuto nella sua Opera. Per ben tre volte ha soggiornato in colonia preferendola al Grand Hotel di Rimini dove Comunione e Liberazione aveva prenotato una suite”. Va detto poi che in occasione della morte di don Salvatore d’Angelo accadde che il 2 giugno 2000: “alla morte di don Salvatore è venuta ad onorare la salma presso il cimitero cittadino. In quella stessa occasione ha espresso il disappunto sul fatto che [don Salvatore] non avesse lasciato nulla alle due nipoti che lo avevano assistito per tanti anni”. Presenti nel cimitero di Maddaloni, in occasione di tale visita, oltre a Marietta anche la sorella Elena. La visita fu in forma strettamente privata, infatti, precedentemente all’arrivo del Presidente Andreotti giunse il sindaco pro tempore di Maddaloni, il dott. Sen. Gaetano Pascarella con la consorte, i quali accertatisi che tutto era in ordine e pronto per la visita, non temporeggiarono altro tempo e si allontanarono perché la visita avvenisse per più totale riservo. Nel medesimo appartamento, in cui il solo Presidente Andreotti aveva il diritto di entrarvi e soggiornarvi, Marietta Lombardi ricorda che la signora Livia si è fermata a pranzo in occasione della presenza del giudice Brancaccio e in occasione della presenza del Vescovo mons. Cuccarese. La signora Livia era affascinata da don Salvatore, uomo galante. Un rapporto forte don Salvatore oltre che con la moglie di Giulio, il sacerdote, lo aveva con la madre, la signora Rosa Falasca. A lei celebra in agosto una messa alla memoria a Torre Pedrera e alla di lei statua lignea della Madonna di rivolge a Maddaloni per assistenza e preghiera per quanti sostengono le sue opere. Al settimanale “Gente” nel 1990, di questa statuina, riferirà «È la mia Madonnina portafortuna. La teneva in casa la povera mamma di Giulio che è mancata nel 1976. Una donna religiosa alla quale anch’io volevo molto bene. Pensi: nella sua vita era uscita di casa soltanto due volte. Io andai alla cerimonia in Chiesa, con quattro ragazzi del Villaggio, Giulio mi scrisse, mi mandò un vaglia di 455.000 lire, che erano i soldi tenuti in casa dalla madre, e quando ci vedemmo la volta successiva mi consegnò la Madonnina». In quella occasione al sacerdote ebbe a mandare la missiva contenente il seguente testo: «Caro don Salvatore, appena rientrato dal cimitero, desidero rinnovarti il più affettuoso ringraziamento per la tua vicinanza, così fraterna in questi giorni di trepidazione e poi di lutto. Credo che, nella vita completamente domestica di mia madre, le due eccezioni siano state la presenza a Priscilla, quando Giovanni XXIII si recò a visitare don Giulio Belvederi malato, e la partecipazione alla proiezione romana del film sul Villaggio. Così stamane, quando ho visto i ragazzi di Maddaloni, mi è sembrato che l’estremo commiato di mamma fosse esattamente quale desiderava. Fammi avere i nomi dei quattro giovani, perché possa scrivere loro. E ora, consentimi un duplice segno di ricordo. Un piccolo oggetto che fu di mia mamma (la statuina della Madonna n.d.r.) viene a te come a noi di famiglia. E al Villaggio va il “resto” del fondo di casa con cui mia madre alimentava una esistenza mai uscita dalla parsimonia più rigorosa. Non guardar la cifra. Ma sono sicuro che mamma sarà felicissima di provvedere per un giorno al pane del Villaggio. Naturalmente Francesco (fratello dell’on. Andreotti n.d.r.) e tutti gli altri si uniscono a me nel dirti grazie. Con tanta amicizia, Giulio Andreotti». Il ricordo di Salvatore Cardillo Salvatore Cardillo, nel settembre del 2000, pubblicava su “Orizzonti” “Il Villaggio nella storia della città” - “Una riflessione sulla figura e l'opera di don Salvatore d'Angelo”, così ricorda il sacerdote: «Il 30 maggio non è morto solamente uno di noi. Quanti vorranno riflettere su quel denso tratto di storia, che è stato il dopoguerra maddalonese, dovranno accorgersi di dover interpretare una realtà politica singolare, se è vero che esso fu attraversato con passione, speranza, dignità critica, impegno politico, in un contesto nazionale, giocato ai livelli di una contrapposizione radicale di valori. Dovranno sapere che si era anche alla vigilia del rinnovamento conciliare e del transito all'età adulta del mondo cattolico italiano, con la proposta di nuovi problemi ai credenti in seno alla società civile. Su questa strada e in questo contesto inciamperanno inevitabilmente in Salvatore d'Angelo; naturalmente, senza speranza di imbattersi in alta pedagogia, né in forte teoresi di cammino, ma nella vigorosa presenza, che ne è stata coerente e operativa espressione. Il Villaggio fu il prodotto della reazione contadina di giustizia insieme al tentativo culturale e religioso di rendere vera una presenza cristiana nel tempo che invocava contro violenze e ingiustizie, quando il disordine segue ad una immane tragedia con il fallimento delle istituzioni. In fondo a queste rovine erano chiaramente i più deboli. È così che, nel tempo senza profezie e sulle ceneri delle palingenesi distrutte, spunta qualcuno - ruvido e testardo - che ripropone la speranza e chiama a raccogliere lo smarrimento di quelli che, non riuscendo a capire, dilatano le piccole pupille a chiedere le ragioni della distruzione e del rifiuto della vita. Il senso storico del Villaggio sta nell'essere in mezzo all'impatto drammatico delle forze storiche al confronto per l'uscita verso una società diversa, modellata ognuna sulla sua verità, con il fallimento storico della civiltà, letto nello sguardo delle vittime più innocenti. Più avanti nel tempo, si parlerà anche di un'appartenenza partitica del Villaggio, addirittura come avamposto locale della Democrazia cristiana. La verità, per chi ha vissuto intensamente quegli anni, è che questa città trovò in sé la qualità di intuire, attraverso la sua classe politica (cattolici, comunisti, socialisti, liberali) i termini reali di quanto bloccava la democrazia italiana e di alimentare una dialettica politica libera, creando, qui - e forse solo qui - ampi spazi di dibattito con irripetuto stile di tolleranza. L'opinione politica regionale pose attenzione al dibattito maddalonese; le prime esperienze amministrative con cattolici e comunisti fanno fede di una ricerca di compatibilità e fecondazione reciproca tra cultura comunista e quella democratica dei cattolici. Il Villaggio fu al centro di questo sforzo di interessi nuovi per volere una città diversa, liberata dalla miseria, dalla protezione secolare della grande rendita agraria. Salvatore d'Angelo non nasce a caso nel rione Pignataro, non diverso da altri quartieri periferici, segnati dalla teoria dei bassi, dove l'urbanistica della povertà consentiva letti e stalle insieme nella coatta promiscuità della specie. Ma per tante altre ragioni, la verità sul carattere politico del Villaggio non è riferibile ad alcuna appartenenza, che non fosse la testardaggine di un prete. Era questa a fare giustizia delle differenze politiche, dando luogo anche - perché non riconoscerlo - ad uno sconcertante sincretismo di contraddizioni ed irriducibilità. La storia del Villaggio, della sua sopravvivenza nel suo primo tempo di vita, è stata l'acrobatica scrittura di linee oblique, intersecate, anche di grovigli difficili, da cui si uscì, con la caparbietà contadina dell'uomo, tendendo a ogni costo alla prospettiva del recupero alla vita e alla speranza di centinaia di ragazzi. Essi erano i non-colpevoli, ed insieme, la coscienza critica di una società, che, con essi, scopriva il valore represso della solidarietà. Che le ragioni della solidarietà e della tolleranza si affacciassero al centro del dibattito politico del Paese per definire la democrazia italiana e si determinasse allo stesso tempo il passaggio ad età adulta del cattolicesimo italiano, sta a indicare la sintonia con la quale la vita culturale e politica della nostra città e la nascita del Villaggio si muovessero, segnando una consapevolezza critica adeguata dei problemi della società italiana. Su questo tempo, anche partendo dal Villaggio, sarebbe utile nel futuro una riflessione, per misurare la tensione e la consapevolezza culturale della città alla partecipazione della ricostruzione del dopoguerra. Certamente, molte di quelle promesse sognate gemono ancora nelle doglie di una prospettiva migliore; ma, allora, furono immaginate e, tra esse, c'era il Villaggio. Non attore soltanto, don Salvatore, quando lascia dietro di sé migliaia di mondi e di storie, tradito da un cuore, che aveva battuto per cinquant'anni per migliaia di cuori, fa scoppiare un dolore, che, da sempre scontato nella coscienza, non rea mai stato come adesso. Il tempo chiede lo sconto di sogni e illusioni, ma bisognerebbe chiedere ai giovani di fermarlo, opponendogli la memoria di una tenacia, anche orgogliosamente nostrana, al servizio della convinzione cristiana, perseguita per un'intera esistenza. Attorno al prete si materializzò concretamente lo sforzo di opporsi, per qualche verso, al corso violento ed ingiusto della storia; luci e ombre non riuscirebbero a sminuire la scelta cristallina di stare con i deboli e le vittime, pur di ogni razza e colore. Se ne va il testimone, sicuramente contento dell'indifferenza al luccichio delle palandrane romane, e lascia l'eredità di una prospettiva incompiuta di una società ancora senza pace e completa giustizia. Ricordarlo serve a non dover riscrivere una storia di lacrime, se ancora il firmamento di questo Paese dovesse ripopolarsi di tante piccole pupille dilatate e stupite per la follia degli uomini». Sono stati anche altri i momenti e le testimonianze che indirettamente Salvatore Cardillo ci ha lasciato sulla figura e sul rapporto che aveva con don Salvatore d’Angelo, uno per tutti l’intervento videoregistrato, con Elio Rosati e Giulio Andreotti, in occasione del 40° anniversario della Fondazione maddalonese, però mi sembra giusto, per il momento fermarmi a questo, aggiungendo ancora un contributo. Il contribuito che unisco alle parole di Cardillo è quello di Giovanni Matteo Centore, dello scorso 22 dicembre 2015, molto vicino a Salvatore Cardillo, suo erede spirituale, politicamente parlando, e che ci offre un bel pensiero sui due Salvatore. Ecco la testimonianza: «Salvatore Cardillo e Don Salvatore d'Angelo nascono nello stesso quartiere, Pignatari, ed appartengono alla stessa generazione, quella che nell'immediato dopoguerra promuove la ricostruzione civile e morale della Città. Decidono entrambi di aderire alla Democrazia Cristiana ed in essa si collocano in due correnti diverse. Cardillo si riconoscerà in quella più a sinistra, “cronache sociali”, mentre Don Salvatore in quella più centrista, seguendo il suo amico e compagno di seminario Andreotti. Tuttavia, l'amicizia è forte, come la collaborazione politica. Siedono negli stessi banchi del Consiglio comunale. Di poi, Cardillo sarà Sindaco e Don Salvatore assessore ai Lavori Pubblici. Una delle imprese che resta nella memoria di quanti la hanno vissuta si rimanda al gennaio febbraio del 1956 allorquando Maddaloni fu letteralmente invasa dalla neve. La città era in tilt, e in quei giorni per ripulire le strade don Salvatore si attivò, come lui sapeva fare, in quanto assessore ma anche come protagonista della città, ad organizzare gruppi di volontari per spalare la neve dalle strade e solo così si ritorno alla normale mobilità. Per gli aneddoti, Cardillo raccontava di Don Salvatore che, da assessore ai lavori pubblici, girò in lungo e largo la Città, quando negli anni Cinquanta fu vittima di un’alluvione e contribuì al rifacimento di strade. Ed ancora, negli anni Ottanta, Don Salvatore chiese a Cardillo di insegnare religione ai ragazzi, attività che gli piaceva molto. Cardillo raccontava come gli piacesse provocare i ragazzi per far comprendere loro come la fede non consistesse nell'andare a Messa la domenica, quanto piuttosto vivere con coerenza certi valori. Veniamo agli anni Novanta, da Presidente della Pro-Loco, Cardillo, chiese a Don Salvatore la disponibilità del Villaggio per ospitare e supportare alcune attività della Pro -Loco. Ricordo, a tal riguardo, la collaborazione per l'organizzazione di una gara internazionale di pattinaggio, curata da Raffaele Santonastaso, detto Logos, allora componente del Cda Pro Loco, con delega allo Sport e tra gli animatori del pattinaggio a Maddaloni per anni. Ed ancora, sempre nell’ambito della Pro Loco, ricordo l'ospitalità per la Sagra del carciofo paesano, che si svolgeva a piazza della Pace, mentre le cucine erano collocate all'interno della Fondazione nella parte che affaccia sulla suddetta Piazza. Accompagnai diverse volte Cardillo da Don Salvatore e quello che mi colpiva dei loro incontri era, ad un tempo, il rispetto reciproco e l'affetto che li legava. Cardillo, nonostante questo, lo chiamava "Don Salvatore" e si rivolgeva a Lui sempre con molto rispetto e deferenza. Per Don Salvatore, invece, Cardillo era semplicemente "Salvatore". Insomma, tra quello che Cardillo mi raccontava e quello che ho vissuto da testimone posso ricavarne i profili di due personalità permeate, anche in età avanzata, di passione per la Città, voglia di fare e capacità di elaborare idee». Altra testimonianza a firma di Salvatore Cardillo su don Salvatore è in Michele Schioppa, Aniello Barchetta. Note biografiche sul violinista compositore, Maddaloni 2001. L’accoglienza dei minori L’accoglienza e la permanenza dei convittori nel tempo ha avuto una certa evoluzione. Soprassedendo sui primi tempi, volendo contestualizzare ciò che accade prima e dopo gli anni settanta, va detto che con il passare dei decenni va rilevato che laddove è possibile, settimanalmente, dal sabato al lunedì, il minore doveva passare il fine settimana (sabato pomeriggio, domenica fino al lunedì mattina) assieme ai familiari. Questo tenendo conto della reale possibilità di accoglienza da parte dei familiari. In ogni caso bisognava fare in modo che andassero mantenute in quelle sufficienti ore della settimana i necessari agganci con il “suo” vissuto ambientale e familiare, in una prosecuzione di rapporto di amore genitoriale che nessun affetto terzo potrà mai dargli e che nessun altro sistema educativo è in grado di dare. Passato il fine settimana il lunedì successivo lo studente doveva rientrare nel Villaggio, dove formazione, istruzione e cultura si combinano assieme in un processo osmotico di rivitalizzazione di tutti i principi educativi positivi e civili di convivenza, fino a dargli alla fine un insieme di preparazione culturale tecnica o umanistica, di maturità, di spirito civico, collegati come a un “fil rouge” ad una coscienza ideologico-politica aperta e critica, non preorientata, che gli farà valutare e fargli misurare con una sua dimensione critica, e non in via preconcetta, le scelte obbligate della società in cui sarà inserito proficuamente per un nuovo Paese, formato assieme ai suoi compagni coetanei, avendo contemporaneamente mantenuto in piedi e rispettato il rapporto affettivo primario e vero con i propri familiari ed i consanguinei. Non solo, ma con questo sistema, la famiglia viene attivamente coinvolta e corresponsabilizzata. Infatti, restano loro costantemente vicini pronti a dare suggerimenti ed aiuti materiali, ove possibile, ma tramite questa vicinanza e familiarità, che diviene assistenza ed amicizia, possono così risalire alla scoperta di tante motivazioni psicologicamente occulte, però presenti nell’ambiente di origine, distorcenti la personalità del giovane, e conseguentemente provvedere alla neutralizzazione di quei fattori negativi. Il Progetto prosegue dalla metà degli anni settanta, dopo la creazione degli Istituti Tecnici e del Liceo Linguistico sotto un altro aspetto, quello scolastico. Il minore “assistito” viene immesso in un ambito scolastico promiscuo, ma soprattutto cresce insieme non solo a coetanei poveri ma a compagni solventi, provenienti da famiglie di censo superiore socialmente ed economicamente. In tale situazione scatta in ogni soggetto un processo di agonismo innato che lo stimola ad un rendimento competitivo, per cui, messo da “un caso della vita” sulla stessa linea di partenza, ricerca migliori risultati di affermazione sui cosiddetti compagni migliori, nel campo in cui si trova e dispone: la scuola. E in questa chance gli verrà assicurata una corsia preferenziale di rimonta, assistito in questo da particolari aiuti e sostegni di studio che gli vengono forniti da tutta una serie di supporti. Inoltre, avviene un processo lento e naturale di osmosi e di ambientamento con gli altri, pian piano non si sentirà più emarginato dalla società ma parte integrante, non sarà contro il gruppo degli altri perché più fortunati, ma ne è entrato a far parte di fatto. Nell’estate 1988 a seguito di un accordo tra il Ministero degli Affari Esteri e la Provincia di Caserta giungono in Italia 45 orfanelli libanesi ospiti della Fondazione Villaggio dei Ragazzi nelle due strutture di Torre Pedrera e Roccaraso. Ben 45 bambini tra i 9 e i 14 anni raccolti dai campi di Beirut con questa esperienza, grazie a don Salvatore, hanno acquistato serenità, vivacità e allegria. Il Villaggio, l’eredità alla Diocesi e città Don Salvatore, dopo la scelta del suo successore naturale mons. Pietro Farina di diventare Vescovo, decise che era arrivato il momento di affidare il futuro della Fondazione a una struttura solida e stante già l’identità del Villaggio associato alla città questa struttura doveva essere la Diocesi di Caserta. Tanti e in tante occasioni sono state le richieste del sacerdote di passare la Fondazione alla Diocesi, anche alla vigilia della morte nonostante gli intercorsi colloqui con i Legionari di Cristo. Nelle occasioni di precetto, allorquando il sacerdote con i suoi ragazzi si accompagnava alla chiesa del SS. Corpo di Cristo, oggi Basilica del Corpus Domini, per le messe comunitarie (prima fuori la direzione ammirava la bellezza degli studenti in divisa ben ordinati avviarsi e poi si preoccupava di andare lui) e lì in chiesa continuava ripetutamente a chiedere al Vescovo, in quegli anni mons. Nogaro, di prendersi, come Diocesi, la guida del Villaggio dei Ragazzi senza rischiare di darlo a terzi, sui quali magari non aveva fiducia, e del resto anche la storia dei Legionari era una soluzione B, probabilmente neanche l’unica, la cui funzione principale nei dialoghi era quella smuovere la Diocesi. Don Salvatore voleva dare il Villaggio dei Ragazzi solo alla Diocesi di Caserta. E comunque, va aggiunto, che quando don Salvatore morì erano mesi che i Legionari, nell’attesa di decidersi se accettare una eventuale proposta di don Salvatore, che nel frattempo non sembrava decidersi a loro favore, vedi quanto detto prima, si erano preoccupati di sapere vita morte e miracoli del villaggio, consistenze, patrimonio e debiti fisiologici data la portata economica dell’Opera. Qui probabilmente neanche la politica locale capì la portata in gioco. I 70 anni della Fondazione Sono stati due i momenti di celebrazione dei 70 anni della Fondazione di don Salvatore, il primo più in sordina del 25 novembre 2017 per iniziativa di alcuni ex allievi la Fondazione e poi quello più istituzionale del 14 dicembre 2017 a cura della medesima Fondazione Villaggio dei Ragazzi “Don Salvatore d’Angelo” in occasione della celebrazione del 70° Anniversario (1947 - 2017) con ospiti di riguardo come il Vescovo di Caserta e l’Assessore regionale Fortini. Auesto secono evento, tra le altre cose, è stato preceduto il 2 dicembre 2017, nella sede dalle Fondazione, dalle telecamere di Rai 1 (Tg1), per uno speciale per il 70esimo Anniversario della Fondazione Villaggio dei Ragazzi, con la giornalista Patrizia Angelini. In questi momenti, con testimonianze, mostre, foto e video si è ricordata la nascita dell’opera di don Salvatore d’Angelo dal 1947 che fu l’anno della nascita della “Casa del Fanciullo”, divenuta successivamente “Villaggio dei Ragazzi” con il 1951 e, poi, nel 1969, Fondazione “VILLAGGIO dei RAGAZZI”, eretta nel 1975 come Ente Morale. Il giorno giovedì 14 dicembre 2017 per la celebrazione del 70° anniversario dell’opera maddalonese a partire dalle ore 10.00, la Fondazione guidata dal Commissario Straordinario, dott. Felicio De Luca, ha organizzato nella chiesa di Santa Maria della Pace, ubicata all’interno dell’Opera, una Santa Messa presieduta da mons. Giovanni D’Alise, Vescovo di Caserta, a cui è seguito un momento commemorativo innanzi alla statua di don Salvatore posta nel Cortile dei Tritoni, che ha coinvolto diverse autorità civili e militari tra cui il Prefetto Benedetto Basile, Commissario Straordinario del Comune di Maddaloni, il dott. Giorgio Magliocca, Presidente della Provincia di Caserta e la dott.ssa Lucia Fortini, Assessore alla Pubblica Istruzione e alle Politiche Sociali della Regione Campania, nonché tutti gli studenti della Fondazione che hanno recitato la “Preghiera del Villaggio”. Nel corso dei ricordi si è passato anche a ricordare i tanti momenti interni come le comunioni e le visite illustri che fino agli anni ’80 circa avevano diversi fotografi che immortalavano ma uno su tutti era il riferimento e questi era Michele Cicchella, ex allievo e amico di don Salvatore nonché suo supporter e candidato nelle liste della DC. Tra i collaboratori di quel periodo, per il giornale del Villaggio e talune modulistiche, si ricordano l’apporto di Luigi Renga e Pasquale Pirone. Ultimo editoriale di don Salvatore d’Angelo su “Villaggio dei Ragazzi” Quello di aprile 2000 è stato l’ultimo numero del periodico “Villaggio dei Ragazzi” che don Salvatore ha avuto tra le mani e a cui ha dedicato l’editoriale “La scommessa sul futuro”, profetico potremmo aggiungere. Ecco il contributo: «Da più parti si sente ripetere che nel nostro tempo è di decisiva importanza il problema dell’educazione e della formazione. In particolare, si parla della necessità che nella nostra società si sappiano prospettare forme permanenti di educazione. Oltre alla famiglia e alla scuola, hanno un ruolo educativo anche gruppi come gli scouts, per esempio. Il professor Bertolini, ordinario di Pedagogia all’Università di Bologna, ha messo in rilievo come gli ultimi cent’anni abbiano visto l’azione educativa oscillare tra due estremi: da un lato quello di una concezione educativa che sacrifica il bambino alle aspettative della società e degli adulti, dall’altro una concezione che ne accentua troppo la spontaneità. Entrambe però non tengono conto delle esigenze proprie dell’educazione. Prima di tutto educare è educare all’autonomia, ossia alla libertà e insieme alla coscienza dei propri limiti. Educare poi significa rispettare i tempi propri della crescita e dunque saper valorizzare il tempo del giocare come creatività, .saper infondere speranza nel futuro e ottimismo. Fondamentale è saper educare alla gioia, alla felicità. Purtroppo, queste esigenze educative si scontrano con difficoltà legate all’organizzazione sociale del nostro tempo. Per il professor Zamagni, ordinario di Economia all’Università di Bologna, l’azione educativa è oggi particolarmente urgente. Educare è un atto che si rivolge alla totalità della persona, alla sua mente e al suo cuore. È una scommessa con la libertà dell’altro. L’educazione non è semplicemente formazione, ma è azione per qualcuno e con qualcuno, è coltivare il senso della possibilità, in questo senso è infondere il senso del futuro, della speranza. Il nostro tempo vede la necessità di un’educazione che sappia prospettare ai giovani scelte di valori e non solo di interesse, che sappia orientarli davanti alla necessità di scelta (un paradosso!) tra diversi scopi possibili. La famiglia deve tornare ad essere in particolare centro dell’azione educativa come luogo di ricomposizione del conflitto generazionale che si sta profilando. Lo scoutismo che rompe la logica della separazione tra mondo dei grandi e mondo dei piccoli. I grandi si mettono accanto ai più piccoli condividendo con loro un insieme di valori, diventando così comunità educante. Esso offre poi un tempo di progressione personale scandito da riti di passaggio che marcano il senso del tempo e dell’acquisizione della coscienza di sé nel mondo. L’avventura nella natura diviene in questo contesto il luogo in cui ci si misura con l’estraneità dal quotidiano della città e ci si appropria di sé misurando le proprie forze e le proprie capacità. Il senso dell'esperienza scoutista è in un`educazione alla persona come responsabile di sé e degli altri all`interno di una comunità che dia senso». Don Salvatore da sempre sensibile al messaggio educativo di Robert Baden Powel ha sostenuto lo scautismo e le associazioni di richiamo fin da dopo guerra e suoi collaboratori, come don Salvatore Izzo, sulla base di questo impulso ne favoriranno lo sviluppo anche in altre realtà della Diocesi di Caserta. Don Salvatore e il ruolo in Diocesi di Caserta Don Salvatore oltre a sostituire e a coprire gli uffici liturgici e di catechesi direttamente o indirettamente della chiesa parrocchiale di San Benedetto, almeno fino alla nomina a parroco di don Stefano Tagliafierro del 23 marzo 1969, aveva la cura per esigenza della chiesa del santissimo Corpo di Cristo, sempre direttamente o per tramite di suoi collaboratori come don Salvatore Izzo, a sostegno del vecchio parroco don Clemente Bove (21 maggio 1878 – 11 gennaio 1969). È stato parroco e facente funzioni per brevi o medi periodi di chiese come la Cattedrale di Caserta vecchia e oltre all’assistenza spirituale a lavoratori e giovani universitari lo è stato anche per i militari delle Caserme di Maddaloni. Nel Bollettino Ufficiale delle diocesi di Caserta e di Alife (gennaio luglio 1967) don Salvatore è componente commissione diocesana di Arte Sacra. Nel Bollettino Ufficiale delle diocesi di Caserta e di Alife (gennaio luglio 1969) don Salvatore è componente del Consiglio presbiterale per il triennio 1967-1971. Nel Bollettino Ufficiale delle diocesi di Caserta e di Alife (dicembre 1970) don Salvatore è componente il 30 settembre è inserito con decreto di costituzione di una speciale commissione per il riordino dei confini parrocchiali di Maddaloni e in vista della costituzione delle nuove parrocchie. Oltre ai parroci ci sono lui e don Salvatore Izzo. Nell’Annuario Diocesano 1985 apprendiamo che è: Componente del Collegio dei Consultori nel periodo 29 settembre 1984-1989; Membro Eletto del Consiglio Presbiterale dal 1° marzo 1984 per il mandato quinquennale fino al 1989; Referente per il costituendo Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero. Si occuperà della direzione dello stesso dal 1985 al 1995 e giunto al 75° anno d’età fu invitato a rassegnare le dimissioni per raggiunto limite d’età dal Vescovo Nogaro cosa che accetto suo malgrado anche se si aspettava un’azione formale di prorogratio dal vicario generale, suo figlioccio, successore ed esecutore testamentale mons. Pietro Farina. Don Salvatore Ambientalista della prima ora Se da un lato abbiamo spesso parlato del rigore con cui don Salvatore voleva che venissero trattate le cose, con il rispetto della pulizia (qualcuno dirà che era maniacale sotto questo punto di vista) e l’uso appropriato delle cose e la condanna dello spreco è altrettanto vero che è possibile considerarlo tra i primi ambientalisti di Terra di Lavoro, dove sicuramente la sua formazione e il suo essere assistente e sempre pro filosofia boy scout ha contribuito. Don Salvatore da sempre si è impegnato per la salvaguardia e la promozione del verde, la tutela e la salvaguardia di alberi datati o secolari ne sono stato un chiaro esempio di intervento. Forte è stato l’indirizzo affinché le giovani generazioni si adoperassero per il rispetto dell’ambiente e la salvaguardia della natura come bene inviolabile e di cui prendersi cura. Circa la sua vena ambientalistica si racconta che quando bisognò consolidare lo sviluppo locale, siamo nella seconda metà degli anni ’60 e già don Salvatore aveva portato in città la Face Standard, avviatasi nel novembre 1961, e si puntò sulla estrazione delle pietre calcaree e la Cementir don Salvatore cercò di opporsi (la cava già esisteva e si chiamava “Cave Meridionali” anche se aveva un indotto occupazionale limitato – circa 50 unità omnicomprensive - e un impatto ambientale anch’esso limitato rispetto al futuro) cercando di veicolare l’operazione sulla realizzazione e trasferimento in loco di una fabbrica per la realizzazione di giocattoli (che poi fu insediata nella zona di Frosinone non avendo la disponibilità sul territorio) così da cercare di salvaguardare le montagne maddalonesi già deturpate da estrazioni dei decenni precedenti. Ciò anche se la fabbrica di giocattoli offriva una comunità occupazionale minore. Don Salvatore nel ricordo del Poeta Francesco Di Vico Diversi nel tempo sono stati gli omaggi e le dediche a don Salvatore d’Angelo tra queste quelle del poeta e saggista maddalonese Francesco Di Vico che ha dedicato a don Salvatore una lirica dal titolo “Io e Dio” e il libro dello stesso libro del gennaio 2013, stampato a Foggia. “Io e Dio” A Don Salvatore D’Angelo: «Io e Dio: Anime di un Solo Spirito,/ insieme Creatori e Creature (Dio Crea/ l'Uomo che Lo Crea!), Uniti in Un”unica/ Dimensione e Divisi da una “D”: “D” come/ Dolore, “D” come Distacco, “D” come Disperazione». Nel dettaglio della dedica Di Vico spiega: «Ho dedicato questo libro a Don Salvatore d’Angelo. Chi era?.. Per capirlo è opportuno partire da chi non era: - non era un Prete da santini, ma un carro armato che sfondava fortini trincerati e fortezze blindate; - non era un Sacerdote da rosari, ma un Combattente di Prima Linea, un Prete d”Assalto, dalla Volontà dirompente, dallo spirito irruente, incontenibile, travolgente; - non era un Predicatore dalla Grande Parola, dal Pensiero disarmante, dalla Lunga Preghiera, forte ed avvincente; era una mitraglia che sparava all’altezza del cuore, che feriva profondamente le anime per le loro ottuse resistenze e le salvava poi con le sue ali d’Amore. Detto in modo paradossale, era un “Diavolo” con la Forza di una Fede Immensa che anteponeva l”Azione alla parola, la Volontà di un Condottiero alla spiritualità eroica di un Santo disposto a dannarsi per il Bene del Prossimo. Era un Prete da Crociata, coraggioso ed istintivo, pronto a svendersi per la Salvezza altrui, a rubare in casa propria ed anche in Chiesa, se nella Chiesa non avesse incrociato ladri più ladri di lui. Non aspettava che il Cielo si muovesse a far Miracoli per lui; i Miracoli li anticipava lui per il Cielo e li imponeva alla Società e alla Chiesa, aspettando la Sanatoria del Signore. Non c`era Autorità, laica o religiosa, che resistesse alla sua ossessiva, suadente caparbietà persuasiva. La sua Azione avvolgente atterriva per l’istintività dei suoi interventi, terrorizzava per i suoi assalti improvvisi ed ostinati qualsiasi Fortezza laica o religiosa, a costo di compromessi. Così operando, ha costruito una Città nella Città di Maddaloni: “La Città del Fanciullo”, parallela a quella degli Adulti per l’Educazione e la Formazione degli Uomini Futuri. Una Comunità laica che ha salvato tante creature ed ha generato tante Anime, tra cui l'attuale Vescovo di Caserta, Mons. Pietro Farina, nativo della mia Cittadella. Aveva difetti?.. Tanti!.. ma tutti umani. Non temeva Nessuno, tranne UNO! Lo disse in un film di sua produzione: “SOLO DIO MI FERMERA’ !”». Continua la nostra indagine conoscitiva … Certamente continua la mia indagine con articoli, speciali, eventi e libri, anche contestualizzando il periodo in cui ha operato Salvatore, poi don Salvatore d'Angelo, figura, per molti scomoda. Scomoda a una parte considerevole della borghesia del dopo guerra, salvo una rappresentanza che lo sosteneva a tal riguardo si ricorda la figura del Notaio Gennaro Delli Paoli, e, quando "la Casa del Fanciullo" poi "Villaggio dei Ragazzi" è diventato di comodo generale, il suo essere scomodo è stato collegato al fatto che il sacerdote si serviva della militanza nella Democrazia Cristiana e attività politico amministrativa a favore della sua Creatura, Opera, la Fondazione e non per la Città. Sarà stato, forse, anche vera quest'ultima cosa, resta il fatto però che tutto quanto don Salvatore d'Angelo ha fatto lo ha fatto per la Fondazione, e come recita il suo testamento, di cui prossimamente parleremo, la Fondazione, e tutte le sue sostanze, comprese quelle personali del sacerdote, sono della Città. Dunque, don Salvatore tutto quello che ha fatto lo ha fatto per la Fondazione ovvero per la Città di Maddaloni. Ho detto tutto su don Salvatore con queste piccole note? Non credo proprio, anzi ne sono certo. Ecco il perché ho deciso di portare avanti questa esperienza, indagine, studio, progetto conoscitivo/biografico su e di don Salvatore d’Angelo. Non mi aspetto di essere esaustivo e di non cadere, involontariamente in qualche errore storico/testimoniale. La mia è un’indagine che nasce dalle testimonianze dirette ed è supportata, dove è possibile anche da documentazione scientifica ma sicuramente con uno sguardo critico e verificato dei fatti e delle testimonianze. Legata al presente progetto di ricerca è nata una Pagina Social, disponibile al link https://www.facebook.com/donsalvatoredangelo/ e #ricordaredonsalvatoredangelo oppure #donsalvatoredangelo, oltre ad account di posta elettronica Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. dove poter ciascuno fornire testimonianza, testuale e fotografica se opportuna, etc., e comunque si raccomanda la necessità di riportare i propri dati e i propri recapiti per opportuno contatto. Per gestione dello spazio di stampa non è stato possibile inserire i contributi fotografici che sono disponibili sia tra i media che negli articoli richiamati editi all'interno della pagina social https://www.facebook.com/donsalvatoredangelo/. a cura di Michele Schioppa #cronistoricomaddalonese |